The Cave: un viaggio nella caverna di Gilbert

"Volevo semplificare al massimo il gioco d’avventura, ridurlo al suo nucleo essenziale. Il primo passo era cestinare l’inventario."

“Volevo ridurre il gioco d’avventura al suo nucleo essenziale, semplificarlo al massimo – la prima cosa che dovevo fare era cestinare il classico inventario. I personaggi possono trasportare degli oggetti, ma solo uno per volta. Quindi, con tre personaggi controllabili, si possono portare tre oggetti. Questo è tutto. In Monkey Island, Guybrush Treepwood poteva raccogliere qualcosa e quel qualcosa sarebbe semplicemente svanito nel nulla. Sarebbe scomparso in quei suoi pantaloni. Non è affatto realistico”.

Gilbert vuole preservare quella sensazione di conoscenza, legata al vedere; quella sensazione di assoluta certezza di avere quello di cui si ha bisogno quando ne hai bisogno, lì visibile e a portata di mano e non in uno zaino pieno di cianfrusaglie. L’intero The Cave si basa sul principio del vedere per credere: vedere la personalità e le motivazioni del personaggio nei suoi movimenti, vedere il possesso nelle loro mani, conferendo fisicamente un ulteriore valore all’assordante suono di una lingua muta.

Per Gilbert, il potere è nella vista.

Bagliori nell’oscurità

The Cave è solamente uno di una manciata di giochi, di tipo Metroidvania, previsti per l’anno corrente. Un incentivo in più per continuare a dedicarsi alla speleologia. “I giochi, in generale, stanno diventando un po’ troppo brevi. Penso sia proprio questo il motivo per cui i titoli Metroidvania stanno ridiventando così popolari. È una cosa che va di pari passo con la già nominata estensione dell’utenza e la sua conversione al casual. La gente non ha più 20 o 100 ore a disposizione per completare un gioco, quindi bisogna ridurre quell’esperienza a qualcosa che possono completare in quattro, cinque o sei ore.

“Se poi riesci a rendere il tuo breve gioco rigiocabile, concependo un’esperienza a strati, in modo da offrire nuovi contenuti e nuovi sentieri da seguire ad ogni giocata, allora avrai raggiunti tutti i tipi di utenza. Incontrerai il favore di coloro che vogliono una rapida esperienza di gioco, così come di coloro che vogliono esplorare e godersi tutto ciò che il prodotto ha da offrire”.

I videogiochi raccontano storie in molti modi, ma si differenziano dai film e dalla letteratura per l’assenza di passività. L’inazione non è affatto contemplata, non ci sono momenti in cui puoi sederti e assistere al prosieguo della tua storia. The Cave vi guida, vi affianca a Gilbert, vi osserva sbrogliare una storia intricata sino allo sfinimento, mettendovi profondamente alla prova.

“Non penso ci siano altri media di cui si possa dire altrettanto, ma di certo i videogiochi sono un’arte interattiva. Sono un’arte che non va guardata né letta, bensì una forma d’arte che va manipolata da chi la ammira. Noi, in quanto giocatori, in quanto persone che apprezzano l’arte, abbiamo il compito di immergerci in un determinato gioco e bistrattarlo quanto più possiamo, dobbiamo spingere e tirare e provare a distruggere qualcosa. Penso sia questo che rende i videogiochi, nonché le esperienze interattive tutte, una forma d’arte davvero unica e speciale, oltre che una vera sfida. Provi a raccontare una storia, ma devi anche permettere ai giocatori di pasticciare nei modi che troveranno più interessanti. Devi lasciare che facciano ciò che vogliono".

"Sono terrorizzato", risponde Gilbert riguardo a The Cave e a quella che sarà la sua accoglienza. "Sono sempre terrorizzato. Arrivo a questo punto e non posso mai fare a meno di sentirmi così, perchè ormai ho varcato la soglia". Gilbert, infatti, sostiene che vi sia un punto di non ritorno, superato il quale non si possono più modificare le cose facilmente quanto all’inizio del processo di sviluppo. "Hai preso tutte le tue decisioni e non vi è modo di tornare indietro. Hai fatto tutto. Tutto quello che ti resta da fare è definire quelle decisioni e metterle a punto. Si tratta sempre di una fase cruciale per me. All’inizio puoi escogitare qualsiasi cosa, in ogni momento, ed aggiungere qualsiasi cosa. Tuttavia, superato quel punto, non puoi più fare nulla. La cosa comincia a farsi terrorizzante".

"Ci passo tutte le volte", aggiunge. La sua risata è un bagliore nell’oscurità del sentiero che ha lastricato.

Continua poi a pensare ai personaggi che ha creato e si pone le domande che spera si pongono anche i giocatori. "Sono lo zotico? Il cavaliere invidioso degli altri? Ho la tracotanza della scienziata? Loro hanno tutti una loro storia personale e una loro oscurità, così io non posso fare a meno di domandarmi: quale di loro sono io? Questi sette personaggi stanno fronteggiando delle scelte, decisioni difficili ed esistenziali. Questa è una cosa che vorrei far capire ai giocatori   la storia dipende dalle scelte che fanno. Vorrei che la gente, giocando, dicesse cose come wow, sono come il cavaliere, ma non voglio fare le stesse scelte che ha fatto lui. Sapere che qualcuno sia riuscito a fare questa distinzione e che si sia fortemente identificato con un personaggio, bè, sarebbe davvero una gioia per me".

Gilbert è attualmente ancora intento a monitorare con estrema attenzione l’andamento di The Cave, ma esprime ugualmente tutta l’appassionata speranza di poter realizzare molti altri giochi come questo. I giochi d’avventura sono per lui un’intramontabile passione, il loro potenziale narrativo è tale da avviare una serie di sequel.

"A questo si riducono le storie. La storia di The Cave, le nostre storie, non sono altro che le scelte che facciamo".

Fonte: Polygon

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Tutti nascondono qualcosa…

Spirali di nebbia avvolgono la scritta The Cave, nella schermata iniziale. Gli echi di una voce profonda e rimbombante si insinuano tra i silenziosi pini, affacciati su un baratro roccioso. “Si, sono una caverna parlante. Non ridete – mi rende la vita sentimentale un inferno”.

In un gioco di protagonisti muti, Gilbert ha dotato la sua caverna di una voce. Ancor più che della sua multiforme e senziente caverna, egli vuole che i giocatori dubitino costantemente dei sette personaggi giocabili. Il parlare non fa altro che ridurre la tensione in un’atmosfera ricca d’ansia; in quei giochi pieni di enigmi, in cui vi è una componente emotiva da sbrogliare, l’ambientazione è tutto. Il silenzio è d’oro o, in questo caso, intrigante.

La tensione è un elemento assai presente in The Cave. Questo aumenta il senso d’urgenza e fa scomparire ogni possibile esclamazione in stile: sapevo che stava per accadere!
“Sentivo che se i personaggi avessero dialogato per tutta la strada nella caverna, ci sarebbe stato meno mistero”, dice Gilbert. “Avrebbero avuto la possibilità di esternare i propri pensieri e quindi di rivelare la loro natura. La mia intenzione era invece quella di fare in modo che i giocatori, pur avendo finito il gioco, continuassero a porsi domande su di loro”.

All’inizio del gioco, il giocatore può scegliere solamente tre personaggi, tra i sette disponibili, per addentrarsi nella caverna: il monaco, lo zoticone, il cavaliere, i gemelli, una scienziata, l’avventuriera e una viaggiatrice del tempo. Tre maschi, tre femmine e una coppia di bambini, un maschietto e una femminuccia.

La speranza di Gilbert è che chiunque possa immedesimarsi in uno di loro

“Volevo avere un numero eguale di maschi e femmine”, scherza Gilbert, “perché non mi andava bene la solita predominanza, del tipo cinque maschi e due ragazze. È stata una sfida perché sapevo di voler creare un gruppo di sette personaggi, tra cui sceglierne solo tre. Da qui deriva la creazione dei gemelli, che permettono di guidare un personaggio che incarni entrambi i sessi”. 

Ciascun personaggio è nato da un concept che Gilbert trovava interessante, incluso il possibile impatto dei loro difetti. Le motivazioni dei sette non sono quello che appaiono, né tantomeno sono così semplici come potrebbero apparire a prima vista. Il cavaliere, ad esempio, vuole vincere un collana per la principessa, al fine di ingraziarsela – il suo desiderio, tuttavia, preme molto meno per la principessa, piuttosto che per i benefici che la stessa collana porterebbe a lui stesso. Nessuno è perfetto, ma c’è qualcosa di terribilmente sbagliato in ognuno di loro, che travalica il divario tra umano difetto e sinistro segreto.

“C’è qualcosa di malvagio in ognuno di loro”, dice Gilbert, fermandosi un momento per ridere. “È stata una sfida renderli piacevoli per certi versi, ma nello stesso tempo spregevoli per altri”. I personaggi sono mossi da scopi personali, ma Gilbert suggerisce che l’egoismo dei loro propositi va ben oltre il recuperare un antico tesoro o una spada incantata. C’è indubbiamente qualcosa di strano nel modo in cui parla di loro; eppure, vedendoli saltellare nei corridoi di pietra della Caverna, resta ben poco di questa impressione.

Necessitando di un mezzo con cui questi personaggi muti potessero esprimere tutta la loro vera ripugnante natura, Gilbert ha studiato col suo team il giusto stile grafico, uno stile che potesse adeguatamente trasportare questi tratti nelle loro espressioni. Fondamentalmente, hanno deciso di rifarsi ad uno stile cartonesco, con teste grandi e movimenti leggermente esasperati. L’aspetto dei personaggi stilizzati di The Cave è facilmente interpretabile e rende molto bene sullo schermo, permettendo ai giocatori di apprezzare le loro espressioni.

In definitiva, il team ha puntato su una miscela di realtà e fantasia per la leggibilità dei personaggi; il loro lato misterioso viene preservato, senza nuocere alla compenetrazione dei giocatori. "La personalità traspare da movimenti e animazioni", dice Gilbert. "Ogni più piccolo gesto deve svelare la loro natura, perché non parlano. Il cervello umano è naturalmente predisposto a leggere le facce altrui, ecco perché l’espressività, in giochi come questo, è così importante. Se noi conferiamo loro delle teste un po’ più grandi del normale, siamo in grado di individuare anche le più piccole emozioni, come se perforassero il volto del personaggio”.

Così come è avvenuto, parlando dei malevoli segreti dei personaggi, l’eccitazione di Gilbert è palpabile quasi come se stesse parlando delle sue migliori creazioni. “Tutti loro hanno un punto oscuro nei loro cuori. Mentre concepivo le loro storie, ho scelto quelle che erano più interessanti per me. Quali di questi piccoli antri oscuri, nei loro cuori, si sarebbero rivelati più affascinanti dal punto vista della creazione della storia e del loro mondo? Quali effetti avrebbe potuto provocare la loro oscurità interiore sull’oscurità della caverna?”

Gilbert spera che, quale che sia il giocatore, costui possa trovare un personaggio in cui identificarsi. “Quando si parla di arte, questo è il punto – con essa esprimiamo tutto ciò che è davvero importante e significativo per noi. Voglio che i giocatori scelgano i propri personaggi preferiti e comincino a parlare con loro nella caverna. Quello che, del resto, i giocatori hanno fatto con Manic Mansion. Spero che siano legati ad un personaggio, in qualche modo; che capiscano davvero chi sia quell’entità che hanno scelto”.

Allora, chi avrà mai scelto Gilbert come compagno speleologo? Ebbene, la mente di The Cave parteggia per lo zoticone, la scienziata e i gemelli. “Adoro le movenze e le animazioni dello zotico”, ride riferendosi alla grottesca andatura, a piedi scalzi, del personaggio. “I gemelli hanno una fantastica area dedicata, davvero molto interessante e divertente da giocare. La scienziata, invece, ha questa personalità molto strana, quasi nonsense. Se ne sta lì, con le braccia incrociate, e io non posso aiutarla, posso solo apprezzare il suo stile”.

"Non voglio nessun decesso."

“Il numero tre è piuttosto ricorrente”, esclama improvvisamente Gilbert. Un trio è molto più apprezzato, molto più interessante di un duo. Tre è il numero della compagnia.
“Sapevi che se domandi ad una persona di scegliere un numero qualunque, compreso tra uno e dieci, la risposta più comune è tre? Il secondo numero più popolare è il sette. Tutti questi numeri hanno un senso in The Cave, ma perché anche io penso che tre sia un numero interessante, per via delle scelte che questo comporta. Due è un numero binario: è sempre quello o l’altro. Invece, quando devi scegliere tra quattro cose, è troppo”.

The Cave mette a disposizione proprio sette personaggi, ognuno con un proprio obiettivo e un’area tematica da esplorare. Sette scenari, sette storie da approfondire. Allora, i giocatori sceglieranno i loro beniamini , probabilmente i loro due personaggi preferiti, e la terza scelta obbligatoria si rivelerà un fattore a sorpresa. Il terzo personaggio è critico, quindi quale che sia la vera motivazione dietro la scelta, l’estetica o la tattica, è qualcosa che il giocatore non capirà sino alla fine. Almeno questo succede la prima volta. Per coloro che sono intenti a finire il gioco per la seconda o la terza volta, nell’intento di scoprire tutto ciò che questi personaggi hanno da offrire, potrebbe essere una o entrambe le cose. Questo potrebbe suggerire alcuni interessanti dettagli sul modo in cui il giocatore affronta l’ignoto. Bellezza o utilità, comodità o sicurezza?

Con queste domande cardine, il gioco di Gilbert è concepito per evitare il più dannoso degli stati d’animo: la frustrazione. La possibilità di bloccarsi totalmente non è contemplata in The Cave. Gilbert sarebbe davvero molto sorpreso se qualcuno non riuscisse a progredire sino alla fine. “In Manic Mansion, c’erano molti modi di morire, molti modi di bruciarsi completamente e non essere più in grado di finire il gioco”, dice. “Era molto frustrante per me. Se avessi commesso un errore, avessi preso un oggetto o non l’avessi preso – mi sarei potuto bloccare definitivamente, ritrovandomi costretto a tornare ad altre fasi del gioco per correggere lo sbaglio. Penso sia molto frustrante.

“Sono arrivato ad un punto in cui mi sono fermato e ho deciso: non voglio nessun decesso. Non voglio che ci siano scelte sbagliate che il giocatore possa fare. Un gioco d’avventura è tutto incentrato sulla storia e lo scorrimento della stessa. Ogni volta che muori, vieni strappato al gioco”.

Eppure, niente è forse più frustrante di una morte facile. Dato che, ormai, il decesso del personaggio è divenuto un male indispensabile, al fine di preservare una degna posta in gioco, The Cave permette di morire, ma in un modo assolutamente perdonabile. Precipitare su degli oggetti appuntiti, così come l’essere abbrustoliti dal respiro infuocato di un drago, non farà altro che trasformare i personaggi in scie di fumo, le quali fluttueranno indietro di diversi passi, in modo da farvi ripetere nuovamente quel segmento. “Avevo bisogno di includere la morte, ma non del tipo che, se magari sbagli un salto o vieni ucciso, ottieni un game over. Non volevo che si avvertisse come una sconfitta. Non volevo che la morte sembrasse una morte, bensì piuttosto un piccolo contrattempo.

“È l’estrema conseguenza del giocare invecchiando. Ora mi piacciono le esperienze di gioco divertenti, non quelle in cui prendi colpi in testa e pugni in faccia. Passiamo l’intera giornata a sfinirci al lavoro; non voglio che, una volta tornati a casa, fallissimo anche nel nostro divertimento”.

The Cave ha anche eliminato il classico sistema d’inventario dei giochi d’avventura, un elemento storico ed irrinunciabile ora ridotto a niente più che mero optional. Gilbert spiega le ragioni del gesto. “Una delle cose che ho sempre sostenuto sfuggissero al controllo, nei titoli di questo tipo, era proprio il concetto di inventario illimitato. L’idea che le persone potessero trasportare centinaia di oggetti, tutti insieme, ha condotto al concepimento di molti pessimi enigmi. La gente è confusa da tutti quelli oggetti nell’inventario, di cui peraltro solo uno sarà utilizzato per risolvere l’enigma. Ecco perché così ottengono degli enigmi che risultano oscuri e bizzarri".

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“Non so proprio dire in che modo qualcuno possa guardare i videogiochi, non pensando che siano forme d’arte”. C’è una certa animosità nella voce di Ron Gilbert, quando illustra questo concetto, il suo punto di vista sul dibattito del decennio. “Chiunque lo pensi, non ci ha mai giocato veramente. Devono averne un’idea piuttosto vaga, come di uno stupido giocattolino per bambini, non realizzando che una grossa fetta di popolazione adulta ci gioca ugualmente”.

Gilbert fa una pausa, immergendosi in un silenzio riflessivo. È persino possibile udire l’eco dei suoi sentimenti, la fermezza della sua affermazione, nel suo respiro. “Le persone che dicono cose del genere non capiscono minimamente quale sia il livello di sofisticatezza artistica raggiungibile da un videogioco”, aggiunge. “Non riesco a immagine nient’altro che richieda una maggior espressione di creatività, per essere realizzato. Alcuni giochi rappresentano molto per le persone che li giocano. Come può qualcosa significare tanto per qualcuno, ma non essere considerata arte a certi livelli?”. Gilbert vuole far provare alla gente la sensazione che ciò che hanno davanti sia andato oltre l’essere solo un gioco.

Il sogno della caverna

Ron Gilbert è convinto che ci sia una profonda e mistica potenza nell’atto di narrare delle storie attraverso i videogiochi. Un anno prima di entrare a far parte della Lucasfilm, unione avvenuta nel 1983, Gilbert iniziò ad immaginare una caverna. Tre persone si avventuravano in questo antro oscuro, misterioso e bizzarro, in cerca della cosa che più desideravano. Gilbert disegnò delle mappe estese e iniziò a tracciare degli enigmi che avrebbero garantito l’accesso alle più inaccessibili profondità della caverna. 

 “Non andai più avanti di così”, dice Gilbert. “Subito dopo avrei, in realtà, iniziato a lavorare a qualcos’altro, altri progetti che allontanavano l’idea della caverna; eppure, quasi ogni anno, avrei finito col ripensarci”. Poi, un anno e mezzo fa, Gilbert entrò in contatto con la Double Fine Productions e con l’amico e veterano di LucasArts, Tim Schafer, e condivise con loro l’idea di esplorare una caverna senziente. Schafer chiese a Gilbert di farsi assistere dalla Double Fine nella realizzazione di questo progetto. “Si tratta di un idea che ho sempre avuto, per oltre vent’anni, e improvvisamente ci ritrovammo a modellarla e a sviluppare personaggi ed enigmi, nonché a decidere chi sarebbe stata la caverna parlante”.

Le caverne sono sempre state un chiodo fisso per Gilbert. “Sono tremendamente claustrofobico”, dice tra le risate. “Ci sono cose in quei luoghi che mi terrorizzano a morte. È davvero affascinante pensare come una cosa così spaventosa possa diventare tanto divertente e interessante”.


Antichi indovinelli

L’umanità ha cominciato nelle caverne. Potrebbe anche finirci.

Gilbert riconduce la sua morbosa attrazione per le caverne alle nostre esperienze primordiali, guardando alle caverne come rifugi dalla pioggia e dal vento, un posto in cui recarsi quando ogni altra volta sopra le nostre teste fosse venuta a mancare. Un elemento così ricco di storia e metafore, antico quanto il tempo, sembra un perfetto candidato per costruirci un gioco attorno. “Ho sempre pensato che le caverne fossero un posto molto speciale per noi, in quanto essere umani, perché per decine di migliaia di anni sono state le uniche fonti di riparo per noi”, dice Gilbert. 

La caverna di Gilbert trae spunto da una rete di caverne nel sud-ovest della Francia, rifacendosi all’aura di mistero e di intrigo che circondano Lascaux e le sue popolari pitture rupestri. Cristallizzata nel tempo, Lascaux disegna, con dita primordiali e precise, un ritratto dell’umanità nella sua infanzia. Animali e persone, disegnati lì più di 17.300 anni fa, macchiano le pareti insieme a simboli, il cui significato sfugge al tempo e alla memoria. Qualcosa di così antico rappresenta una maglia di solido acciaio per qualcuno con un’immaginazione affilata al punto da aver voglia di penetrarla.

E così Gilbert iniziò a disegnare i suoi antichi enigmi sotterranei. Nel rispetto di una concezione romantica di caverna, che deve essere enorme e labirintica, Gilbert decise che la sua sarebbe stata molto estesa. Scribacchiò su una lavagna, nel suo ufficio, tutte le idee che gli venivano in mente, da quelle che si intrecciavano insieme, in una perfetta tessitura, a quelle che non legavano affatto. Classificò tutti gli archetipi di personaggi che poteva ricordare, ottenendo una lista di 20/30 figure, tra le quali doveva poi scegliere le sue preferite. “Per un lungo periodo, sono rimasti in nove”, dice Gilbert con la tenerezza di un padre che ricorda i propri figli. “Nove era ancora troppo, così fui costretto a ridurli a sette. Un’operazione del genere risulta sempre dolorosa, ma fa parte di praticamente ogni ricerca creativa”.

La Double Fine, inizialmente, era indecisa sul pubblicare il gioco di Gilbert da sola, oppure affidare la cosa ad un publisher esterno. Dopo molti incontri, gli sviluppatori trovarono un possibile partner in SEGA. Con questa sicurezza, il team cominciò quindi ad approfondire ulteriormente il progetto di quello che sarebbe divenuto The Cave.
L’avventura, sfortunatamente per tutti gli avventurosi, non sembra essere attraente per gli sviluppatori così come lo è per i giocatori. “È stata davvero dura perché, se stai cercando di realizzare un gioco avventuroso, sono tanti i publisher che preferiscono tirarsi indietro”, dice Gilbert. “Invece Sega si rivelò entusiasta di questo gioco misterioso e bizzarro, cosa che non fece altro che elettrizzare noi, per il semplice fatto che un publisher si dimostrava tanto appassionato all’idea. Non so davvero cosa i publisher odierni possano disdegnare dei giochi avventurosi. Questa tendenza, comunque, sembra star cambiando, grazie anche allo sviluppo su iOS. Stanno offrendo un ventaglio di giochi, più ampio e più vario, ad un’utenza decisamente più casual, cosa che tra l’altro favorisce l’avvicinamento di molta gente al mondo dei videogame.

"I giochi stanno maturando al punto che non c’è nessuno che non ne giochi almeno uno."

“Gran parte dei giocatori hardcore”, dice Gilbert, “trova tutto ciò di cui ha bisogno su PlayStation o Xbox, le più affermate e avanzate famiglie dell’universo console. I giochi d’avventura, invece, coprono uno spetto più ampio che si addice soprattutto ai casual gamer, che potrebbero cimentarsi in qualche round di Angry Birds durante la loro trasferta mattutina o distrarsi con un mini gioco di ruolo su iPhone durante la pausa caffè pomeridiana. Gli sviluppatori non nutrono molto interesse per i giochi avventurosi, ma il fatto di averli ridotti alle fulminee e vivide esperienze dei dispositivi mobili sta incrementando la loro popolarità”.

“I giochi stanno maturando al punto che tutti ne hanno giocato almeno uno, in qualche modo”, dice Gilbert. “Non è più un’attività da nerd. Quando prendo il treno, vedo la metà dei passeggeri giocare con i loro iPhone o iPad. Questo aiuta i giochi d’avventura”.

Fonte: www.polygon.com

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