The Indiependent – Master Reboot

Con il genere indie non si sa mai quel che ci aspetta. Anche un se un titolo viene etichettato con un singolo genere, non è anomalo vedere delle radicali modifiche all’intero gameplay. E in questi casi, quel titolo riesce a creare un forte senso di meraviglia. E in parte – questo si sà – è il raggiungimento dello scopo ludico. Un po’ il caso di Master Reboot, che merita anche questa brevissima premessa: un titolo egocentrico, ma di forte impatto, che riesce ad “avviarsi” in diversi generi, pur restando genuino e molto simpatico.

I suoi sviluppatori di Wales Interactive lo hanno descritto come un horror psicologico. Eppure non è solo questo. Infatti lo si può inserire nei puzzle game, nei giochi adventure, nei survival o negli action. Non perchè manchi d’indentità! Per il semplice motivo che mentre all’inizio del gioco ci si ritrova a distruggere rami che ostruiscono il passaggio con l’ausilio di un’ascia virtuale, successivamente ci ritroviamo a essere dei bambini in una stanza dei giochi… o in auto, contromano, cercando di arrivare sani e salvi alla fine del percorso. Insomma Master Reboot è un titolo che sà sorprendere e che non può essere identificato come ripetitivo.

L’unico a non conoscere la propria identità è il personaggio principale di quest’avventura. Si troverà racchiuso all’interno della Soul Cloud: una memoria virtuale di ricordi, dove ogni persona può depositare i momenti più felici della propria vita, per poi riviverli in qualsiasi istante, anche dopo la morte.. per l’eternità. Tali ricordi sono anche accessibili da familiari e amici, che potranno restare in contatto con la persona morta-ma-non-scomparsa e lasciar loro dei messaggi.
Il nostro principale scopo è quello di capire qualcosa di noi stessi, e per farlo dovremo risolvere degli enigmi e.. sopravvivere! E (fortunatamente) non è sempre così facile riuscirci. Gli enigmi sopra citati a tratti sembrano ridicoli, mai fin troppo impegnativi (tranne quelli in cui sono necessari ottimi riflessi). Eppure per risolverli è necessario osservare l’intera mappa di gioco, alla ricerca di indizi o strumenti da dover utilizzare. Si potranno trovare anche delle simpatiche paperelle blu, che se cliccate mostrano i messaggi inviati da chi si trova all’esterno della Soul Cloud (ad esempio delle foto, cartoline, ecc.). Non manca, infine, la componente horror che è veramente ben gestita e che diventa ancor più eccelsa grazie alle atmosfere cupe e agli effetti sonori.

In quei momenti in cui si rimane bloccati durante la risoluzione di un puzzle, invece, le musiche rendono il gioco davvero claustrofobico. Sembra di essere entrati in una spirale senza via d’uscita. E per l’atmosfera descritta, non c’è scelta più azzeccata! 
Dal punto di vista tecnico non c’è molto da dire. Master Reboot non è di certo noto per una grafica fantastica, ma per la leggerezza che gli appartiene. I colori delle texture sono praticamente ridotti al minimo, ma ben rifinite nei dettagli. Alcune animazioni, invece, lo rendono davvero fastidioso e infantile. Tralasciando però questi momenti, l’atmosfera virtuale/fantastica viene ben gestita dall’Unreal Engine 3. E fa la sua bella figura senza l’uso di texture particolarmente realistiche. Anzi, sembra quasi che gli sviluppatori abbiano deciso di creare quest’atmosfera surreale in modo da poter meglio definire il concetto di “memoria digitale”.

Insomma, tra quack, la bambina spaventosa che cercherà di farvi prendere un infarto, i numerosi puzzle, le diverse aree di gioco e un continuo variare di stile, possiamo seriamente prendere in considerazione l’idea di giocare Master Reboot. E magari se non cerchiamo di essere pretenziosi a livello grafico, potrebbe seriamente scalfire la nostra emotività. Intanto ve lo mostriamo in video:

 


 

Stoupwhiff

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