Ti insegno il videogioco: ecco l’inganno à l’italiana

 Hai sempre sognato di far diventare la tua passione un lavoro? Sei un accanito videogiocatore e vuoi trasformare il tuo hobby principale in un’occupazione remunerativa e redditizia? Allora sei nel posto giusto: preparati a diventare un Game Designer!

Almeno una volta nella vostra vita avrete letto, sentito, visto questa frase e sicuramente tre persone su cinque di voi hanno esclamato, un po’ come Archimede, eureka. D’altronde chi di noi affermerebbe in maniera precisa e composta che trasformare una nostra passione in lavoro non ci interessa? Oso dire nessuno. Poter lavorare con i videogiochi, dopo essere stati dei videogiocatori, significherebbe realizzare un sogno, portare a compimento un processo di crescita che ci permette di iniziare a guidare una macchina per uscire il sabato sera e finisce per farci diventare piloti di Formula 1, retribuiti come nessun altro nella nostra categoria. 

Ma quanta verità c’è in questi annunci? Risolviamo subito la vostra domanda senza ulteriori indugi e chiariamo, immediatamente, che questa non vuol essere attività né di diffamazione né di qualsiasi altra forma ignobile di accusa, bensì di denuncia e di informazione che possa aiutare tutti gli interessati a diffidare dal raggiro italiano. 

Ogni annuncio che viene presentato in tal modo ha alle spalle una struttura ben organizzata, s’intende, ma che fondamentalmente di videogiochi capisce ben poco. Dire al giorno d’oggi in maniera chiara chi è che può dichiararsi cultore del videogioco non è assolutamente facile, soprattutto nel nostro Paese: in Italia abbiamo poche case sviluppatrici – le contiamo sulle dita di una mano – pochi studi indie e ancor più una realtà giornalistica flebile, che si affida a una decina di portali di informazione, spesso e volentieri sì corretti nei contenuti, ma fallaci nell’esposizione. Insomma chi trionfa nella conoscenza videoludica pecca nella resa giornalistica, trovando, inevitabilmente, sempre una lacuna nella propria attività. Viene quindi spontaneo domandarsi perché chi si propone di insegnarci il videogioco dovrebbe essere un gradino più avanti di tutti gli altri.

L’esperienza che vi porto a campione in questa veloce e rapida disamina affronta una tematica chiara e precisa: l’ignoranza intorno al videogioco. Tale fenomeno, che è sicuramente destinato ad aumentare nonostante tutti noi ci auguriamo il contrario, si diffonde ulteriormente in quella fascia d’Italia che si trova a sud della capitale, dove, a mio modesto parere, si interrompe qualsivoglia tentativo di rendere realtà il videogioco. Sia chiaro, non mi assurgo a conoscitore immenso della realtà sociale del Sud Italia, ma semplicemente porgo a voi le conoscenze ottenute toccando con mano, nel tentativo di far conoscere agli altri il videogioco, nella speranza che si rivalutasse partendo dai campi di grano fino al grattacielo al centro di una città. Invano, sia chiaro. Anch’io come voi, esclusivamente per curiosità e fini conoscitivi, mi sono lasciato, a suo tempo, prendere da un annuncio uguale a quello riportato in apertura: spinto dalla necessità di sapere cosa stavolta si fossero inventati i miei concittadini, che per chi non lo sapesse sono i salernitani, gli abitanti di Salerno, e anche dalla voglia di rendermi conto di come stavolta si stesse manifestando il raggiro, in pieno scetticismo, prenotai un colloquio per iscrivermi, ovviamente in maniera del tutto finta, al corso per diventare Game Designer.


                                              Uno dei tanto amati manifesti

Compilo il più anonimo dei questionari – inficiato dalle solite domande del tipo "quante volte a settimana usi i videogiochi?" – "quante ore al giorno usi i videogiochi?" – "ti ritieni un videogiocatore esperto?" – e spinto quasi dalla voglia di dire "sono un beota, di videogiochi non capisco niente, ma almeno lo ammetto", lo consegno cercando di fornire informazioni utili e veritiere, perché in fondo sono una persona elegante. Tocca al colloquio, quindi: il momento più triste. Lancio qualche nome a caso, qualche esponente del videogioco italiano ed estero: non trovo riscontro nel mio interlocutore, che si presenta come Dottore e lancia grandi propositi circa l’importanza di diventare un Game Designer a Salerno. Dopo buoni dieci minuti di tentativi di trovare qualcosa che il mio interlocutore conosca, ricordandoci che ero io che facevo il colloquio, riesco a colpirlo nominando David Cage: curioso come il creatore di Heavy Rain sia inevitabilmente legato a GameSource e alla mia persona. Poche chiacchiere su Heavy Rain, scambiato per Fahrenheit ovviamente, e poi mi arrendo. Partono le solite frasi di routine che cercano di convincere il malcapitato ad affidare anima, corpo e portafoglio alla scuola, e la descrizione del corso: divisi in due classi, composte da dieci alunni l’una, si arriverà, dopo circa tre mesi, alla creazione di un gioco per piattaforma Android basato sui concetti di Space Invaders. I professori che terranno le lezioni verranno ogni sabato mattina dall’Università Federico II di Napoli, che, fino a oggi, non è sicuramente rinomata per la conoscenza videoludica, anzi. 

Chiarito in mente mia che il corso è palesemente un raggiro o un tentativo di avviare un’attività di pollame, arriviamo alla cifra: per tre mesi di corso, insieme con professori che professano conoscenza del videogioco, seguiti da un diploma dalla valenza nulla, unite alla creazione di un videogioco a venti mani che non verrà riconosciuto sul curriculum di nessuno, la cifra, modesta, è di 2400 euro. Pagabili anche a rate, s’intende: basta che li paghiate. Ai posteri l’ardua sentenza di intuire come sia andato a finire il colloquio. 

Alla fine della fiera, quindi, non ci resta che renderci conto di come realmente le cose stanno andando al momento in Italia, e probabilmente anche nel resto d’Europa: approfittando del desiderio di tanti adolescenti attratti dalla possibilità di lavorare con la propria passione, il mercato ingurgita tutto ciò che si può, vendendo l’arte a prezzi esorbitanti. Concludiamo allora con una riflessione. La AIV, Accademia Italiana del Videogioco, oltre a offrire un roster di insegnanti muniti di esperienza e professionalità – parliamo di dipendenti della Ninja Theory, della Codemaster, della Creative Assembly – offre un corso accademico di più anni, di programmazione e grafica, con prezzi sicuramente più alti, ma giustificati, e si basa su un concetto di professionalità diverso dalle altre scuole private. Morale della favola: diffidate da chi vuole insegnarvi a diventare Game Designer, soprattutto se a farlo è una persona che non conosce la differenza tra Kinect e Move o pensa che Heavy Rain sia Fahrenheit. Diffidiamo dall’inganno à l’italiana: truffare i sogni altrui è indubbiamente la più becera forma di idiozia. 

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