Xbox 720 rivaluta il mercato dell’usato

Avete mai comprato un’auto usata? Siete assidui frequentatori di quei così ameni mercatini saturi di libri di seconda mano? Non vedete l’ora di indossare quel delizioso capo d’abbigliamento acquistato da una dolce signora in un thrift store? Se la risposta è positiva, allora benvenuti amici nella movimentata realtà del commercio, un elemento atavico che risale all’Età della Pietra. Una realtà che potrebbe venire presto compromessa.


Microsoft
e i suoi partner nel business videoludico vorrebbero porre fine al commercio di giochi usati, o perlomeno renderlo così complesso da rivelarsi infruttuoso e sconveniente.
Se quanto abbiamo appreso di recente corrisponde a verità, avrebbero intenzione di eliminare la compravendita di giochi usati aggiungendo una nuova tecnologia alla prossima generazione di console, l’attesa Xbox 720 ad esempio. Questo dispositivo bloccherebbe in qualche modo i giochi originariamente acquistati da qualcun altro.

Certo, come Kotaku ha giustamente fatto notare, i dettagli di questo progetto, se poi esiste, sono piuttosto approssimativi. Non c’è però alcun dubbio riguardo al fatto che tutte le compagnie videoludiche siano fortemente intenzionate a combattere il mercato dell’usato. Qualora questa manovra venisse confermata, si tratterebbe solo dell’ultima mossa nella guerra contro i giochi di seconda mano, il cui commercio riveste un ruolo fondamentale non solo per i giocatori ma anche per tutti quei rivenditori che fungono da intermediari tra acquirenti e produttori.

Ora, tanto per essere chiari, bisogna puntualizzare che c’è un problema etico alla base del commercio dei giochi usati che val la pena di considerare. Quando acquistate un gioco usato, nessuna percentuale dei vostri soldi verrà incassata da chi ha creato quel determinato prodotto. Di fatto, in questa sorta di transazione fantasma, state privando gli sviluppatori delle cosiddette royalty, dei salari, di tutti quegli investimenti in denaro che avrebbero guadagnato se voi aveste acquistato il prodotto nuovo. 


In secondo luogo, esiste un aspetto negativo nelle dinamiche di quasi tutte queste transazioni: i rivenditori si riservano un margine di guadagno oscenamente alto nella vendita di giochi usati. Chiunque abbia provato, solo poche settimane dopo il lancio, a comprare un gioco usato dalle grandi catene, sarà sicuramente rimasto stupito nel constatare quanto irrisorio fosse il risparmio rispetto alle sue aspettative (qualcosa come 5$ in meno del prezzo pieno). Una condotta ancora più vergognosa se si considera che queste stesse catene vi offrono poi pochi spiccioli nel momento in cui vi accingete a vendere loro un gioco acquistato la settimana prima, magari al day one, e che siete riusciti a finire in fretta. 

Tuttavia, nessuna di queste motivazioni autorizza i produttori o chicchessia a ledere il sacrosanto diritto di una persona di vendere beni di sua proprietà e per cui ha pagato.

Tutto questo si riduce inevitabilmente a una discussione tecnica sulla natura di un prodotto. Non siamo certo soliti acquistare copie di seconda mano di Microsoft Office; in che modo questo si distingue dai giochi? Nello stesso tempo però tutti compriamo sicuramente DVD usati; in che cosa questi si distinguono dai giochi. Chiaramente va bene vendere la vostra collezione di vinili ma non è accettabile vendere la vostra musica di iTunes.
Comprendete quanto questi siano argomenti più confacenti agli avvocati. Resta il fatto che abbiamo comprato, venduto, commerciato, scambiato, prestato e regalato giochi retail usati per oltre trent’anni e abbiamo usato materiale d’intrattenimento per secoli. A questo punto è legittimo ritenere che questo, si, sia un nostro diritto. Certo, per varie ragioni è piuttosto diffusa nel mondo l’idea incoerente che l’universo dei prodotti digitali non sia commerciabile. Questo però non rientra nella tradizione storica di commerciare prodotti fisici.

Esistono poi anche altri argomenti. Il noto magazine digitale MCV, che rappresenta ufficialmente gli interessi dei rivenditori, ha espresso chiaramente la sua opinione in merito alla questione definendo i giochi usati come essenziali alla sopravvivenza dell’intero business videoludico. In questo gravoso clima di difficoltà economica, la rivendita dei giochi è una delle cose che ci permettono di acquistarne di nuovi. Se tutti i consumatori che fanno questo ragionamento, attenendosi alle loro realtà personali, cessassero di acquistare nuovi giochi, allora l’intera politica di guerra aperta contro il mercato dell’usato porterebbe solo ad una vittoria pirrica.

Dire che i giochi di seconda mano privano i creatori di un compenso è condivisibile. Tanto per essere realisti, bisogna però riconoscere che, parlando di gente comune, la maggioranza dei lavoratori creativi che riescono ad ottenere dei profitti direttamente dalle loro creazioni, stanno incassando soldi dal mercato digitale o da quello delle applicazioni per cellulari.

È assai più realistico immaginare che ogni centesimo guadagnato grazie alla fine del mercato dell’usato vada solo a rimpinguare i portafogli dei soliti ricconi al potere, piuttosto che consolidare i pacchetti salariali di chi svolge il duro lavoro di sviluppatore.
Non si può non considerare questa eventualità come disastrosa per i consumatori, per l’universo videoludico tutto e per chiunque sia invischiato in questa stupida guerra.
 

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