Jurassic World Rebirth Recensione
Abbassiamo tutti il mignolino e ricordiamoci cosa deve fare un film di dinosauri, ok?
Due ore e un quarto di popcorn, bibitozzo e dinosauri. E va bene così.
Lo dico subito: Jurassic World Rebirth è un buon film. Non un grande film, non un’opera memorabile, ma un film onesto, competente e consapevole di quello che deve essere. Dopo anni in cui ogni blockbuster cerca disperatamente di elevarsi a qualcosa di più – più serio, più cupo, più “da adulti” – Rebirth ha il coraggio di riportare il franchise al suo scopo originale: intrattenere.
Gareth Edwards alla regia, David Koepp alla sceneggiatura (sì, proprio lo storico sceneggiatore del primo Jurassic Park) e un cast di volti noti: Mahershala Ali, Scarlett Johansson e Regé-Jean Page (sì, il belloccio di Bridgerton, anche se per tutto il film lo chiamerete “quello di Bridgerton”). La ricetta è semplice: dinosauri, un’isola abbandonata, mercenari, un misterioso esperimento genetico e due linee narrative che si rincorrono fino a unirsi. Eppure, funziona.
Il gusto dimenticato dell’intrattenimento
Jurassic World Rebirth non vuole stupire. Vuole piacere. E lo fa mettendo in campo ciò che da sempre rende questo brand irresistibile: tensione, creature spaventose, un pizzico di meraviglia e quella voglia adolescenziale di vedere un T-Rex distruggere un elicottero. Il film alterna con intelligenza momenti più riflessivi a sequenze d’azione piene di ritmo. Le scene con i dinosauri sono ben gestite, spettacolari ma mai confusionarie, e sono distribuite in modo equilibrato nell’arco narrativo.
Le linee narrative sono due. Da un lato un team di mercenari (tra cui Scarlett Johansson e Mahershala Ali), incaricati di recuperare campioni di DNA da tre creature leggendarie – una terrestre, una marina e una volante – su un’isola laboratorio abbandonata. Dall’altro, una famiglia in gita finita nel posto sbagliato al momento sbagliato, con tanto di figlie e fidanzatino della figlia grande a fare da magnete per i guai.

La scrittura non reinventa nulla, ma ha il merito di non strafare. Il ritmo funziona perché ogni volta che una delle due storie rischia di esaurire la sua spinta, il film salta all’altra, evitando così la stasi e mantenendo sempre un certo grado di tensione.
Dialoghi così-così, azione molto bene
Il film parte un po’ in salita. Il primo atto, con le sue introduzioni e i dialoghi un po’ meccanici, fatica a trovare il tono giusto. In particolare, il personaggio di Scarlett Johansson, Zora, sembra inciampare nelle proprie battute fino a che – per fortuna – dal secondo atto in poi ingrana, trovando una dimensione più coerente. Molto meglio Ali, che riesce a dare spessore al suo ruolo, e sorprendentemente credibile anche Page, nonostante l’accento americano incollato a forza su quello britannico.
La scrittura dei personaggi non va oltre l’essenziale. Solo Mahershala Ali gode di una backstory un minimo articolata. Gli altri – Johansson e Page in primis – sono carta velina: abbastanza per farli muovere nello script, ma non a sufficienza per farli restare con noi a luci accese.
Le scene d’azione però funzionano. Sono circa cinque, ben coreografate e costruite in modo da sfruttare i dinosauri come vera minaccia. In particolare, la sequenza in barca è un piccolo gioiello di tensione e gestione dello spazio. Il green screen a volte cigola, ma la CGI nel complesso è solida. E il fatto che Edwards abbia scelto di girare in pellicola regala al film un’estetica “calda”, quasi documentaristica, che si sposa sorprendentemente bene con il tema.
Bentornati dinosauri (ibridi)
La vera forza di Jurassic World Rebirth è che non si vergogna di essere un film con i dinosauri. Anzi, li abbraccia. I mostri qui tornano centrali, spaventano e dominano lo schermo. La scusa narrativa? L’isola in cui si svolge l’azione era un laboratorio sperimentale alternativo a quelli visti in passato. Quindi sì: ibridi. Tanti. Alcuni curiosi (velociraptor con le ali), altri inquietanti (il “D-Rex”, trattato quasi come un alieno horror: lo vedi pochissimo, ma quando lo vedi te lo ricordi).
La linea narrativa familiare, con ragazzini nel mirino delle creature, è quella che funziona meno. Complice una certa prevedibilità – quando ci sono bambini, sai che andrà tutto bene – la tensione cala. Ed è un peccato, perché sappiamo benissimo che i bambini possono funzionare anche nei momenti di vero panico. Basta pensare al primo Jurassic Park.

Un mondo post-World
Jurassic World Rebirth si inserisce in un universo narrativo ormai completamente cambiato. Dopo gli eventi dei precedenti film, i dinosauri vivono liberi, ma confinati nella fascia equatoriale del pianeta. Un’area considerata off-limits da tutti i governi del mondo. È una premessa intelligente, perché permette al film di esplorare nuovi spazi e situazioni. Non più parchi tematici o città infestate, ma una zona dimenticata dalla civiltà, dove i protagonisti si muovono sapendo di entrare in un ecosistema dominato dai rettili preistorici.
L’idea che tutto ruoti attorno al recupero di campioni per una casa farmaceutica, con il fine (forse) nobile di sviluppare cure per malattie cardiache, aggiunge un sottotesto interessante. Certo, il villain è lo stereotipo dell’uomo d’affari senza scrupoli, ma almeno ha una motivazione che, nella prima parte, si regge in piedi. Peccato che il film non abbia il coraggio di spingersi oltre, perché il potenziale per una riflessione più strutturata sullo sfruttamento bioetico c’era, e allora tutti sul carrozzone del “il mercenario dal cuore buono cambia idea e sceglie la cosa giusta invece di quella profittevole”.
Regia, fotografia e musica: solidi, ma non memorabili
Gareth Edwards è un regista competente, e qui si vede. La regia è sempre chiara, leggibile, priva di fronzoli. Non ci sono inquadrature memorabili, né scelte di montaggio che facciano gridare al colpo di genio, ma il risultato è solido. La fotografia, calda e granulosa, sfrutta bene la pellicola e restituisce un look più “organico” rispetto alla plastica digitale degli ultimi episodi del franchise.
La colonna sonora è affidata ad Alexandre Desplat, che si limita a fare il compitino. I temi di John Williams vengono richiamati in un paio di momenti, e sono ancora oggi i passaggi più emozionanti. Il resto è accompagnamento onesto, ma dimenticabile.
Non è ancora uscito in home video, ma Jurassic World Rebirth è uno di quei film che immagini già con piacere in Blu-ray. La pellicola, il lavoro sulla fotografia, la costruzione di alcune scene lo rendono perfetto per una seconda visione tecnica. Sarebbe bello ritrovarlo con una bella traccia 5.1 e magari qualche contenuto extra degno di nota – interviste, dietro le quinte e perché no, qualche approfondimento paleontologico un po’ nerd.

Considerazioni finali su Jurassic World Rebirth
Ci siamo. È il momento del verdetto. Jurassic World Rebirth è un film da 7.5. Anzi, diciamola tutta: è un 7.5 abbondante, un 8 meno. Non reinventa nulla, non pretende di farlo, ma si prende il tempo di essere esattamente quello che serve oggi: un blockbuster d’intrattenimento puro, solido, onesto. Non pretende di essere Dune, né The Last of Us, e nemmeno ci prova. Ti porta su un’isola con i dinosauri, ti fa stringere i braccioli della poltrona in un paio di scene, ti fa sorridere in altre, ti ricorda per un attimo com’è sentirsi piccoli davanti a qualcosa di enorme. E poi ti rimanda a casa.
Consigliato al cinema, possibilmente con la vaschetta di popcorn più grande che trovate. Perché no, non tutto deve essere Nolan. Ogni tanto, va benissimo anche un bel dinosauro con le ali che ti insegue nella giungla.
Una valida aggiunta alla saga di Jurassic Park e Jurassic World
Pro
- Scene d'azione molto efficaci
- I nuovi dinosauri sono una sorpresa quasi continua
- Il fatto che il film sia girato su pellicola è straordinario
Contro
- Alcuni personaggi ci mettono un po' a "partire"
- Non c'è una cifra stilistica di nota dal punto di vista registico