Vermiglio Recensione Blu-ray
L'altroieri noi, oggi io.
Non ho troppi pregiudizi verso il cinema italiano, lo ammetto. Non abito più in Italia e, a meno che il prodotto non sia italiano, non consumo nulla nella mia madrelingua, dalle serie tv, ai film, ai libri, senza dimenticare ovviamente i videogiochi. Trovo comunque che la lingua italiana sia straordinaria nella sua capacità di esprimere in modi molto diversi concetti simili e in modi molto riconoscibili e simili, realtà incredibilmente lontane.
“Vermiglio”, film del 2024 scritto e diretto da Maura Delpero, non lo conoscevo prima che Plaion mi desse l’opportunità di recensirne l’uscita in Bluray, e ci ho messo un po’ a prendere la rincorsa e a guardarlo. Mi spiego: non avevo dubbi fosse un buon film, ma la lettura della trama mi aveva fatto desistere dal guardarlo immediatamente perché la “serietà” del suo comparto narrativo non solo merita attenzione, e non uno sguardo disinteressato, ma ha bisogno del mood giusto per essere affrontato.
Sin dal trailer riconoscevo i tratti del neorealismo che avevo di mia sponte studiato al liceo – e portato come tesi, da idiota, per un liceo scientifico – e che, proprio con le sue frizioni e toni, mi aveva insegnato che ci sono generi cinematrografici che non puoi semplicemente “affrontare”: serve la rincorsa, serve avere l’airbag pronto per lo scontro con realtà di solito dure, spesso violente, quasi sempre drammatiche.

Sia chiaro, non mi sbagliavo, ma “Vermiglio” è più del dramma che racconta, va oltre di esso.
Vermiglio – Recensione Bluray
Uno sguardo rapidissimo alla trama, che non ti racconto per intero:
“Nel 1944, nel remoto villaggio trentino di Vermiglio, l’arrivo di Pietro, un soldato reduce dalla guerra di origini siciliane, stravolge la quotidianità di un insegnante e della sua famiglia.”
Sin dalle prime immagini si nota una predominante blu che non lascia davvero mai il film. È un ottimo eco del biancoblu della neve delle montagne che circondano Vermiglio, ma anche un voluto rimando al dramma che sta per consumarsi nel piccolo paesino e nella famiglia Graziadei.
Altrettanto evidente è la predominanza della natura, costantemente sfondo delle vicende dei piccoli uomini che la abitano e sempre “più grande” di essi, quasi più come fosse una protagonista e non una mera cornice. In posti così remoti la natura, e non solo quella fatta di alberi e cervi, ma quella della Vita con la V maiuscola, è intoccata ma tocca le vite di tutti, e bisogna essere pronti ad affrontare quel che viene, per vivere un altro giorno.
Che la famiglia Graziadei sia povera, nel contesto dell’Inverno del 1944 nel quale la storia è ambientata (passeremo 4 stagioni, con la famiglia, fino all’Autunno del ’45), lo si può capire: i tanti figli condividono i letti a 2 a 2, se non addirittura 3 a 3. Delpero ci concede uno sguardo verso una quotidianità che sì, è fatta di quella povertà bastarda, quella che magari ti mette anche il cibo in tavola ma non abbastanza per saziare tutti, ma è anche strutturata e retta da quelli che non posso non chiamare rituali.

La colazione che vediamo nei primi momenti è un rituale: la famiglia che, in fila e con la tazza in mano, va verso il fornello per farsi versare il latte caldo dalla madre Adele (Roberta Rovelli)v; tutti i familiari intorno alla tavola, dinamici attorno alla staticità di Cesare (Tommaso Ragno), capofamiglia e, lo scopriremo presto, insegnante del paesello. Non c’è dialogo, in questi primi momenti, ma il suono costante del pianto del bambino più piccolo. Una famiglia normale, insomma.
La guerra vicina e lontana
L’ho detto prima, è l’inverno del ’44, e il conflitto è ancora nel vivo del suo fuoco omicida, a mesi dallo spegnersi per sempre nel Settembre del ’45. Il paese la guerra la vive a suon di aerei che sorvolano le case, ai quali si risponde ovviamente spegnendo tutte le luci e attendendo il silenzio, ed è forte la capacità della sceneggiatura di raffigurare una guerra distante e vicina allo stesso tempo.
Ci pensano Attilio (Santiago Fondevila) e Pietro (Giuseppe De Domenico) ad avvicinarla agli sguardi e agli animi di Vermiglio e, più drammaticamente, della famiglia Graziadei. Attilio è infatti di famiglia, un cugino che, stanco degli orrori della guerra, ha disertato ed è tornato a casa per rifugiarsi e, magari, sopravvivere alla guerra da lì. Non si è salvato da solo, però, portandosi appunto dietro Pietro, ragazzo siciliano che, per un po’, troverà dimora a Vermiglio.
Siamo a mezz’ora di film inoltrata, e anche un occhio poco allenato riesce a notare come ogni inquadratura sia incredibilmente statica, sempre più funzionale che artistica, tranne per un paio di situazioni nelle quali il contrasto fra uomo e natura regge il peso più esplicitamente documentaristico del progetto.

Come c’è da aspettarsi, il paese non prende inizialmente troppo bene l’idea di accogliere due disertori, anche se uno di loro è, letteralmente, di famiglia. Danno loro dei codardi, ma con un po’ di cervello qualcuno afferma “Se eravamo tutti vigliacchi, forse non ci sarebbero state guerre” e cala subito un silenzio necessario.
Mette addosso una dolce tristezza anche la scena alla scuola per adulti, sempre gestita da Cesare, per i grandi del villaggio che, per forza di cose, sono cresciuti senza imparare a leggere o fare calcoli. Non è Pietro a portare spontaneamente l’odore della guerra, in questo contesto, ma è Cesare ad estrarglielo, dando al siciliano un sostegno, o almeno una base per trovare parole per esprimere il dolore di chi va in guerra, l’orrore di chi la vive, il bisogno di sopravvivenza di chi ne scappa, e la tristezza per chi da quella guerra non tornerà più.
Una vita finisce, un’altra ricomincia
Prima parlavo di una Vita che va affrontata, sempre e comunque, e infatti i Graziadei dovranno presto seppellire uno di loro, sicuramente troppo giovane: è un barcollamento al quale Cesare non si concede apertamente (e non lo farà mai, in un film che non gli concede una vera catarsi), ma che vediamo riflesso nella tristezza catatonica di Adele e nell’innocente superficialità dei più piccoli della famiglia.
È qui che si capisce che Vermiglio non è solo la storia di Cesare, ma anche quella delle sue figure femminili: la figlia più grande Lucia (Martina Scrinzi) si innamora presto di Pietro; la figlia Ada (Rachele Potrich), di poco più piccola, si autoinfligge penitenze per compensare a atti di masturbazione fatti di nascosto e ancora più segreti desideri carnali, attivati dall’amica ribelle Virginia (Carlotta Gamba); la figlia più piccola Flavia (Anna Thaler), infine, a poco dal diventare donna, è la grande speranza scolastica della famiglia, la figlia perfetta che potrebbe aiutare, e non di poco, la famiglia dal punto di vista economico, una volta che la si è mandata a studiare in città.

L’equilibrio nella suddivisione narrativa fra le figure femminili è piuttosto competente, con forse una certa reticenza a dedicare spazio al figlio maggiore, partecipe di un’interessante – per quanto già vista – conflittualità con un padre padrone che non gli lascia tregua, vuoi per la voglia del ragazzo di essere adulto senza ben capire che vuol dire, vuoi per la speranza paterna di aver fatto un figlio “migliore”.
A reggere il film, dall’innamoramento di Lucia e Pietro in poi è principalmente Lucia, del quale seguiamo l’amore per il soldato disertore, il matrimonio, la gravidanza, il parto e, giusto per rifarsi al dramma che raccontavo prima, la depressione dovuta alla notizia della morte di Pietro, tornato in Sicilia per avvisare la famiglia di essere sopravvissuto, ma rimasto vittima della moglie che già aveva in Sicilia.
L’ho detto, non sono temi facili, ma il peso emotivo non è mai eccessivo: il blu delle inquadrature sembra quasi impercettibilmente sterilizzare ciò che proviamo, rendendolo digeribile. La gente di montagna parla poco, e lo scarso dialogo riesce a fornire a chi guarda la libertà necessaria per non appesantirsi troppo nella morte inaspettata di Pietro, riuscendo anzi ad avvicinare la spettatrice al percorso di Lucia, che cerca un “perché” e, soprattutto un poi”.
Non voglio d’altronde troppo dettagliare dove andrà la storia, e ti consiglio sicuramente la visione di questo film.
Aspetto tecnico
“Vermiglio” è girato su pellicola, e il bluray restituisce perfettamente l’intento registico di Delpero. La predominante blu ha il potere di appiattire la scala cromatica di un supporto meno capace, ma qui riesce a creare buone parentesi cromatiche anche all’interno dei limiti autoimposti dalla produzione.

Interessante poi l’utilizzo di 2 obbiettivi diversi a seconda della location nel quale si gira, con un 20 mm dedicato ambienti più “comunitari” e aperti, è il 35mm per le scene in casa, ottimo per mostrare quanto un piccolo domicilio sia in grado di ospitare, stretti stretti, i cuori di una famiglia ben più che allargata.
Ottimo il lavoro del reparto sound e ottima la trasposizione in bluray di questo aspetto: avendo guardato il film con una cuffia overear di qualità, sono riuscito a distinguere rumori e dettagli che, nel creare l’ambiente sonoro delle vicende, sono essenziali nel conveire qualcosa che non sia voce di persona, ma voce della natura, come la croccantezza della neve appena caduta, o lo sfrigolare delle torce durante una festa all’aperto.
Extra
Se l’inclusione del trailer fa sorridere per il suo anacronismo, gli extra sono scarsi in quantità ma abbastanza buoni in fatto di qualità e contenuto.
Il backstage regala uno sguardo alla quotidianità del set, fra inquadrature, trucco, e la necessità di gestire un cast molto variegato anagraficamente. Le interviste sono invece molti passi avanti, nel contesto di ciò che in più regalano a chi guarda: parla la regista, parlano attrici e attori principali, e viene offerta una chiave di lettura degli eventi che, probabilmente, sarebbe altrimenti sfuggita senza una revisione del film.
Delpero aveva infatti un intento preciso, con Vermiglio: raccontare un passato che non è distantissimo, un “altroieri” nel quale la collettività, familiare o di una comunità, venivano prima dell’individuo, in una sorta di confucianesimo che non sapeva di esserlo. La regista racconta il “Noi” dell’altroieri, insomma, e nel corso del film ci accompagna alla transizione, forse proprio post-guerra, all’individualismo. Il film inizia in fondo con uno sguardo ad una famiglia, e finisce con uno sguardo dedicato a solo una persona.

Conclusioni
Se la relativa scarsità contenutistica degli extra potrebbe di poco abbassare l’asticella complessiva del bluray di “Vermiglio”, il film, le interpretazioni e la qualità tecnica (visiva e auditiva) offerta dal supporto diventano importanti membri di un’equazione cinematografica della quale vi consiglio la visione.
Preparatevi certo ad una trama forte nella sua semplicità, e a tempi registici lenti, che respirano come respira la montagna, in ere e non secondi, ma potreste non accorgervene, persi come me nella bellezza di una natura ad un passo dall’essere oppressiva e matrona, e nella ritualistica quotidianità del passato di un paese che quel passato sembra averlo dimenticato.
Visivamente splendido, narrativamente forte. L'altroieri del nostro bel paese, a poco dalla fine della guerra.
Pro
- Ottime interpretazioni da parte dei due personaggi principali
- Location dalla bellezza fuori misura
- I profondissimi momenti di silenzio che il film si concede
Contro
- Una struttura narrativa anomala