Alone in the Dark: The New Nightmare – Recensione Alone in the Dark: The New Nightmare

Alone in the Dark, uscito nel 1992, fu l’archetipo dell’ormai decaduto genere dei survival horror. Ambientato nella prima metà del ‘900, pose il giocatore nei panni di un baffuto investigatore dell’occulto, tale Edward Carnby. Dopo tre episodi, la saga cadde nel dimenticatoio fino al 2001, anno in cui uscì Alone in the Dark: The New Nightmare. Usando un termine contemporaneo, il gioco si potrebbe definire un reboot: il set balzò cronologicamente a fine secolo, e Carnby, pur mantenendo il suo ruolo, assunse le fattezze di un cowboy capellone con tanto di spolverino e revolver (con due canne e due tamburi, peraltro). Attualmente, come molti sanno, quel quarto episodio non è più l’ultimo della serie, sebbene in questa sede sia al centro delle considerazioni sottostanti.

Déjà vu

Una villa tenebrosa in una buia isola: Shadow Island, questo il suo nome. Un set che più classico non potrebbe essere; un set in cui due protagonisti, il già citato Edward Carnby e la ricercatrice Aline Cedrac, giungono spinti da differenti motivi personali (l’omicidio di un amico sull’isola per lui, l’identità del padre mai conosciuto per lei), ma uniti da un superiore obbiettivo comune: la ricerca di tre antiche tavolette della scomparsa tribù indigena degli Abkanis, delle quali, si dice, la comprensione porti a verità inimmaginabili. Il viaggio per l’isola fornisce il punto di incontro del duo, la cui vita precipita presto nel caos insieme al loro aeroplano, attaccato da un’entità ignota. E così, l’appena formata coppia viene già separata: paracadutandosi per avere salva la vita, i due finiscono la loro caduta atterrando in locazioni separate, e l’unico legame che li tiene vicini sono le loro radio. Il nuovo incubo nella solitudine dell’oscurità ha inizio.
 


Dualità

Il gioco inizia. Lo spettatore è chiamato a scegliere quale ruolo assumere: Aline, la giovane studiosa disarmata e relativamente fragile, o Edward, investigatore vissuto e pistola-munito? Qualunque sia la scelta, entrambi scoprono presto come l’isola sia un luogo infestato da creature malefiche e personaggi più inquietanti dei mostri stessi. Ad ogni modo, la divisione genera due avventure distinte: la ricongiunzione dei due è una mera utopia che attraversa direzione diverse, in cui entrambi affrontano separati eventi. Logicamente, tali alternative di narrazione si rispecchiano anche nello stile di gioco: Carnby, caduto nella foresta, incontra presto violenti esempi della fauna locale con i quali confrontarsi a suon di proiettili, mentre Cedrac, atterrata sul tetto della villa, affronta le prime presenze oscure con il solo aiuto di una torcia, fuggendo e usando l’ingegno per avere salva la vita.
Differenti sfide, differenti enigmi, differenti nemici e differenti armi, ma medesima tensione, medesima paura e medesimi timori. In un modo o nell’altro, il giocatore affronta insieme al personaggio prediletto le creature partorite dalla soprannaturale oscurità, le quali non mancano di prendersi gioco della loro sanità mentale con disturbanti apparizioni, incutendo più paura in questo modo che non rivelandosi e colpendo.
 


Sopravvivere all’orrore

Negli anni passati dal primo Alone in the Dark, pochi cambiamenti sono occorsi al genere. Le saghe orientali che lo hanno reso popolare (Resident Evil in primis) hanno raccolto le medesime meccaniche, approfondendone però la scenografia al fine di dare vita a prodotti che esulassero dall’essere semplicemente "giochi", diventando piuttosto profonde narrazioni interattive. Pertanto, quanto descritto nel precedente paragrafo risuona indubbiamente familiare, così come risuonano familiari i modi con cui affrontare questa "narrazione interattiva", la cui definizione è nel nome stesso del genere: "survival horror". Poche armi, ancora meno munizioni, e un disperato bisogno di queste. Ogni oggetto è vitale per poter sopravvivere all’orrore, siano essi per la difesa o per poter avanzare nell’esplorazione, risolvere rompicapi e permettere infine di allontanarsi per sempre dal pericolo.
Logicamente, sorge spontaneo porsi dubbi su cosa caratterizzi l’esperienza offerta da The New Nightmare. Se preso meramente come gioco, nulla o quasi: le già citate caratteristiche sono analoghe a prodotti usciti in precedenza, eccezion fatta per l’uso "difensivo" che si fa delle fonti di luce per proteggere i protagonisti. La caratterizzazione risiede tutta sulla trama, nella possibilità di immedesimarsi in oscure realtà alternative della vita reale, incubi dal quale sopravvivere virtualmente ma provando turbamenti reali. Ed in questo Alone in the Dark riesce bene, facendo bandiera dei temi che distinguono il suo nome.
 


Visioni oscure

Le immagini parlano chiaro: grafica pre-renderizzata. Quest’espressione definisce tutto ciò che c’è da sapere sull’aspetto del quarto Alone in the Dark, nonché su quello di molti altri esponenti del genere. L’interattività di un ambiente tridimensionale reale viene meno per fare spazio ad una cura del dettaglio. Non si tratta dunque di una scelta retrograda, quanto di una scelta stilistica volta a focalizzare l’attenzione sull’atmosfera, sicuramente più efficace in un ottimo ambiente pre-renderizzato che in un 3D mediocre e scarno. Una scelta azzeccata, dunque. Meno azzeccata la cura dell’audio: giustamente da considerarsi il secondo elemento di maggior peso sull’atmosfera in titoli di questo tipo, perde la sua efficacia nel momento in cui sia il comparto musicale che quello prettamente sonoro risultano ripetitivi e di qualità appena discreta. Non aiuta il doppiaggio italiano, palesemente di scarso livello.
 

Nuovi incubi dell’era passata

Un classico. Non esiste definizione più appropriata per Alone in the Dark: The New Nightmare, che riprese in mano il clima lovecraftiano del suo capostipite rendendolo ancora più cupo e macabro. L’avanzamento tecnologico intercorso dall’uscita del predecessore permise alla serie di entrare nel nuovo millennio, purtroppo con grandi ostacoli. Questi ostacoli furono (e sono) serie ben più popolari come Resident Evil, già affermatosi da anni, che tolsero spazio di mercato a un brand datato e sconosciuto alle nuove generazioni di allora. The New Nightmare, al giorno d’oggi, è un’esperienza retrò per chi sentisse nostalgia di quella che potrebbe essere considerata l’unica serie survival horror di matrice occidentale.

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