Black Mirror – Recensione

Nonostante l’omonimia, David Gordon non è il protagonista del pilot dell’attesissima quarta stagione del kolossal (ora) netflixiano che porta il nome di Black Mirror: per quella dovrete attendere ancora qualche mese. Sin da subito però potrete vestire i panni di David, ultimo in linea di sangue di una delle più antiche famiglie delle Highlands scozzesi, nel tentativo di condurlo alla soluzione dei misteri che gravitano attorno agli ancestrali possedimenti che abbiamo imparato a conoscere in quel lontano 2003, data di uscita del primo capitolo originale della saga The Black Mirror.

Black Mirror, (quello di cui vi parliamo è senza il “The”), è a tutti gli effetti un reboot di quel primo episodio da cui trae ispirazione per ambientazione, atmosfera e scenario segnando al contempo un netto distacco dalla concezione old school di avventura grafica punta e clicca. Una storyline intrigante, con un ritmo in crescendo verso il gran finale col botto, il tutto confezionato con una moderna grafica 3D: le carte in regola c’erano tutte, cosa è andato storto?

I primissimi istanti di gioco ci sbattono in faccia senza soluzione di continuità i protagonisti del fallimento dei ragazzi di KING Art Games e THQ Nordic. Ci troviamo su un’auto di ritorno dall’India, dove abbiamo trascorso la quasi totalità della nostra esistenza, diretta verso la Scozia per sopperire alle incombenze burocratiche frutto della prematura dipartita del nostro non esageratamente compianto padre. Noi impersonificheremo David Gordon, erede naturale di una delle più antiche famiglie scozzesi, le cui radici si perdono negli annali in un vortice di storicità sbiadita che mescola fatti realmente accaduti col solido e vivo folklore intriso di magie caratteristico della Scozia.

La macchina corre veloce, condotta dal maggiordomo di famiglia, una delle poche figure con cui avremo modo di interagire nella nostra avventura e che comporranno la ragnatela genealogica degna della peggior partita di Cluedo: per proseguire non ci resta tuttavia che aprire un cofanetto di legno impreziosito per scoprire all’interno una lettera di ammonimento di nostra madre e un paio di criptici ninnoli lasciati in eredità dal defunto John Gordon. Fin qui tutto bene, non fosse che per compiere un semplice puntamento del cursore verso il cofanetto e procedere nella più scontata delle memorie muscolari a recuperarne il contenuto ci rendiamo conto di quanto difficoltoso, macchinoso e poco intuitivo possa essere il sistema di interazione con gli elementi di sfondo.

Black Mirror

Scendiamo dunque dalla macchina e una anziana signora ci dà il benvenuto in quello che è il più classico degli stereotipi di lugubre maniero imponente. È ufficialmente cominciato il nostro pernottamento al Black Mirror, umida, fatiscente e gotica residenza dei Gordon, fulcro di miti e misteriose leggende. Di li a breve ci ritroveremo a scoprire e ad affrontare il nostro passato, portando alla luce i più reconditi segreti della famiglia Gordon in un carnet di incesti, omicidi, follia, spiritualismo e redenzione.

Non a caso ci troviamo nel 1926, in una ambientazione che strizza l’occhiolino ai maestri del mistero E.A. Poe, H.P. Lovecraft e H. Walpole: nella grande libreria di famiglia dei Gordon avremo modo di leggere un estratto del Castello di Otranto e la tentazione di ignorare gli avvertimenti di Nietzsche che ritroviamo in un profetico passo di Beyond Good and Evil risulterà fortissima. Ma ancora inconsci di quel che ci attende all’orizzonte, se ancora non sufficientemente infastiditi dal lento incedere di David Gordon, probabilmente finiremo per proseguire e addentrarci nel fitto sentiero del non ritorno.

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L’entusiasmo di aver riconosciuto alcuni tra i più grandi autori dell’occulto nei primi momenti di gioco svanisce in men che non si dica: l’intero maniero, composto da un numero nemmeno troppo cospicuo di stanze considerando che rappresenta buona parte del setting dei cinque capitoli che compongono il gioco, non rappresenta in nessun modo una sfida ma esclusivamente un impedimento strutturale.

Un sistema di controllo del personaggio impreciso, che si arresterà inarrestabilmente in prossimità di pressoché qualsiasi elemento scenico vi porterà alla frustrazione in meno che non si dica. A spezzare il ritmo di quelle che sarebbero potute essere una decina di interessanti e godibili ore di gioco sono gli infiniti tempi di caricamento ricorrenti tra una stanza e l’altra del maniero. Trascorreremo un quantitativo di tempo assolutamente troppo consistente in attesa di passare dalla sala istituzionale alla cucina, dalla cucina al giardino, dal giardino alla serra, per poi rientrare in cucina e scoprire che a seguito di una banale interazione comandata ora è possibile raccogliere un oggetto di gioco non interagibile in precedenza, ma da sempre scenicamente presente.

L’assenza di una mappa non contribuisce inoltre alla compensazione dei tempi biblici di caricamento: ben presto ci accorgeremo che gli scarni e oltremodo intuitivi puzzle che compongono l’avventura punta e clicca non sono sufficienti a giustificare l’esperienza di gioco. Vanno ad aggiungersi drastici e impressionanti cali di framerate che accompagnano dialoghi sterili e che nella quasi totalità delle selezioni risulteranno fini a se stessi senza condurre a molteplici scenari, opzioni o finali. Persino l’interfaccia coglie l’occhio impreparato, figlia qual è di un lavoro che sembra non concluso, degno a malapena di una versione alpha.

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Se possiamo attribuire la sufficienza al doppiaggio inglese, basteranno invece pochi minuti per rendersi conto del pessimo lavoro messo in atto durante la compilazione dei sottotitoli italiani, che risultano zoppi e spesso un mix di frasi inglesi, quando non addirittura tronche o assolutamente inconsistenti. Non aiuta la telecamera, che nonostante l’imprecisione e l’improbabile fisica di spostamento non presenta tra le impostazioni quelle dedicate a calibrarne la sensibilità: l’unico risultato che raggiunge è quello di puntare il riflettore sui i ben poco nascosti limiti tanto tecnici quanto grafici dell’esperienza complessiva di gioco. Gli unici frangenti di pallida azione sono rappresentati da una serie di quick time event dove dovremo premere letteralmente un totale di due tasti o muovere una levetta analogica: vien da chiedersi in che modo siano finiti dentro la versione finale del gioco.

L’intera esperienza di gioco da mistica e horrorifica si riduce così a un vagare di stanza in stanza in maniera poco intuitiva, guidati da piccoli cerchi che col proseguire della trama evidenzieranno gli elementi di volta in volta interagibili. Le infinite attese vi porteranno a dimenticare persino quello che è il vostro prossimo obiettivo, e non sarà il gioco a venirvi in soccorso con dei menu e diari ben costruiti. David Gordon dovrà affrontare e sconfiggere la maledizione che grava sul nome della sua famiglia da tempo immemore e può contare solo su di noi: un vero peccato che la sua condivisibile crociata non abbia trovato un miglior canale di risoluzione.

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Reduci dall’esperienza tutt’altro che negativa di The Dwarves, i ragazzi di KING Art Games questa volta falliscono su tutta la linea. E chi vi scrive ha tuttavia avuto premura di concludere l’avventura, platinando il gioco nell’invana speranza di ritrovarvi uno spiraglio di luce, un appiglio o differente prospettiva. THQ Nordic ci consegna un prodotto acerbo e perde una valida occasione di attualizzare e render onore a quella ambientazione e letterarietà sempreverdi figlie dei grandi maestri dell’orrore e dell’occulto: a nulla è servito l’impiego di un motore grafico 3D e l’indipendenza narrativa dal primo capitolo della serie originale The Black Mirror del 2003 che avrebbero potuto convogliare in un prodotto di ben altra fattura e spessore.

4.9

Pro

  • Ambientazione e storyline dal concept intrigante
  • Riferimenti ai grandi maestri dell'horror e dell'occulto quali Lovecraft e Poe

Contro

  • Eccessivi tempi di caricamento
  • Realizzazione tecnica insufficiente
  • Dialoghi scarni, ripetitivi, prevedibili
  • Sottotitolaggio impreciso quando non incompleto
  • Interfaccia spoglia e sistema di controllo eccessivamente meccanico
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