Doom 3 BFG Edition – Recensione Doom 3 BFG Edition

Doom è certamente uno di quei nomi che non ha bisogno di presentazioni: che lo si ami o che lo si odi, qualsiasi persona che si definisca giocatore ha sicuramente avuto a che fare con questo titolo nella sua vita. Partorito nel 1993 da un gruppo di pionieri del videogioco, id Software, Doom è stato per anni l’icona del first person shooter, nonché calamita per innumerevoli controversie legate alla violenza nei videogiochi, sia per il coinvolgimento adrenalinico che per l’eccessiva esposizione di elementi visivi macabri e satanici. Eppure eccoci qua, due decenni dopo, in un mondo sicuramente più tollerante nei confronti dell’espressività dei videogiochi e in un mercato che ha visto sviluppi impensabili da allora. E quale miglior modo di festeggiare i 20 anni con un porting per console HD del terzo episodio della saga di fps più famosa di sempre? Doom 3 BFG Edition, questo il titolo, ci riporta in quel di Marte ad affrontare i demoni dell’inferno in una raccolta che include i primi due Doom nelle versioni già rilasciate su Xbox Live Arcade, ma soprattutto un Doom 3 rivisitato e contorniato da una manciata di migliore e, udite udite, una serie di livelli inediti. Ma ce n’era davvero bisogno?

La storia la conosciamo già: è il 2145, la UAC è la più grande corporazione esistente e sta colonizzando Marte, conducendovi al contempo ricerche di varia natura. Qualcosa va storto, e nella base si scatena l’inferno – letteralmente. Orde di demoni usciti da portali dimensionali massacrano tutto e tutti, e al giocatore, il classico marine senza nome, tocca fare pulizia e salvare sé stesso e la Terra.
Certamente Doom non è popolare per l’originalità della trama o della sua cura narrativa, ma se nei primi due episodi ciò era totalmente ininfluente, nel terzo c’è stato un tentativo di renderla un po’ più coinvolgente farcendo il gioco di PDA ed altri elementi interattivi contenenti informazioni che approfondissero gli eventi occorsi prima dell’invasione infernale. Non solo: anche il gameplay ha abbandonato la struttura strettamente "arcade" dei titoli passati, veloce e dinamica e piena di livelli labirintici, per conformarsi al gusto sempre più cinematografico dei giocatori. Ma se Doom 3 non ha potuto essere una rivoluzione in termini di videogioco, certamente lo è stato dal punto di vista grafico, rendendo ancora una volta id Software la pietra di paragone per l’evoluzione dei motori grafici e garantendo al titolo lo stile per differenziarsi. Non pochi hanno infatti definito il gioco come un "fps horror", che ha lasciato alle spalle sprite 2d multicolore per presentare un ambiente oscuro e coerente, imbrattandone l’aspetto futuristico di sangue e contorniando gli ambienti di cadaveri ed elementi disturbanti di ogni tipo, con effetti di luce dinamici  e con creature così ben definite da rendere la campagna un’esperienza inadatta alle persone più sensibili.

Finito di parlare dell’esperienza provata dai giocatori PC nel 2003, esaminiamo ciò che ci troviamo ad affrontare sulle console di oggi. È bene sottolineare che si tratta di un porting, e che chi pensa di avere a che fare con un remake sbaglia di grosso: i cambiamenti apportati sono sottili e non stravolgono l’esperienza originale, e su console sembra incredibile ma i limiti hardware non consentono ancora di benificiare di effetti quali l’anti-aliasing e il motion blur – presenti invece nella versione PC. Ciò però va a benificiare nella fluidità del gioco: raramente capita di vedere un gioco a 720p su console girare fluidamente a 60 frame per secondo senza incertezze, tant’è vero che a detta stessa degli sviluppatori questo è stato il principale obbiettivo da raggiungere. Va anche citato il supporto al 3d stereoscopico, ovviamente appannaggio di chi possiede un display adatto e certamente non garante dei citati 60 frame per secondo. Ma come già detto, non aspettatevi assolutamente di vedere texture rifatte da zero o un maggior numero di modelli poligonali che rendano meno vetusto questo titolo, che a onor del vero non è nemmeno invecchiato troppo male.

Se la grafica non è cambiata, non lo è nemmeno il gameplay – o quasi. C’è solo un piccolo cambiamento, tanto unico quanto discutibile: la torcia. La versione originale la prevedeva come oggetto impugnabile esattamente come ogni altra arma, diversamente dalla BFG edition che la vede direttamente incorporata nell’armatura e accendibile a piacimento. Un bene o un male? Questione di punti di vista: impugnare la torcia piuttosto che un arma aggiunge il rischio di essere colti impreparati quando dall’ombra appaiono cose che avremmo preferito colpire alla cieca, aumentando la tensione e richiedendo al giocatore un cambio d’arma tempestivo. Ai tempi, alcuni accolsero l’idea positivamente, mentre altri lo trovarono solo fastidioso e non beneficiante per l’atmosfera, tant’è che vennero creati dei mod appositi per cambiare questo aspetto. La scelta della casa di dare retta a questo secondo gruppo di persone forse è da imputare anche ad un fattore pratico per i giocatori console: se su tastiera si può configurare a piacimento ogni tasto per scegliere l’arma preferita in ogni momento, il pad costringe ad usare i dorsali per cambiarle una ad una. E allora, cosa offre davvero questa BFG edition?

La versione di Doom 3 inclusa nella BFG Edition porta con sé le missioni originali, insieme all’espansione Resurrection of Evil ed una campagna totalmente nuova, denominata The Lost Mission. Quest’ultima è il vero motivo per cui qualunque appassionato di Doom 3 vorrebbe comprare la BFG edition: come resistere alla tentazione di rigiocare un titolo amato se c’è la possibilità di provarlo in versione ampliata?
The Lost Mission si compone di 7 livelli che contengono elementi tagliati dalla versione finale del gioco base. È una campagna breve (meno di due ore per terminarla) che vede impegnato un marine superstite della squadra Bravo in una missione di salvataggio. Sul piano narrativo, compaiono nuovi dettagli che svelano qualche retroscena lasciato poco chiaro, mentre come gioco è francamente deludente e non è altro che un "more of the same". Laddove Resurrection of Evil arricchisce l’esperienza aggiungendo nuovi elementi di gameplay, The Lost Mission non offre altro che un mischione di cose raccolte dall’espansione (vedi: mostri e armi) e livelli di Doom 3 rivisti: molti ambienti sono stati palesemente riciclati, rendendo il risultato finale piuttosto deludente.

Torniamo alla domanda iniziale: Doom 3 BFG è davvero necessario? Ne sì, ne no. È un prodotto chiaramente dedicato ai fan e utile a placare la voglia di Doom fintanto che non si saprà qualcosa sul quarto episodio, ed è offerto a un prezzo (giustamente) inferiore alla media delle nuove uscite. Va vissuto come l’occasione di rivivere momenti nostalgici, ma allo stesso tempo è lecito chiedersi perché si dovrebbero spendere soldi per qualcosa che sicuramente già si possiede. È un po’ come quelle ripubblicazioni di film che contengono poche decine di secondi di scene inedite: per i fan più accaniti può essere un "must have", per tutti gli altri è superfluo. Con questo vogliamo intendere che The Lost Mission sicuramente non giustifica l’acquisto, rendendo il prodotto probabilmente più interessante per chi, per una ragione o per l’altra, non ha mai giocato prima Doom 3, e magari nemmeno i primi due episodi, ottenendo così la possibilità di vivere un pezzo di storia dei videogiochi.

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