Final Fantasy Type-0

Gli uomini non possono scegliere né in che mondo né in che epoca nascere.
Tuttavia, possono scegliere come condurre la propria vita.
Questa non è solo una semplice banalità.
È il destino, è il corso naturale della storia.

Accingersi a recensire un gioco così tanto attesto ma ancora inedito in occidente è quantomeno problematico. Non essendo presente nessuna precedente analisi da parte della critica specializzata occidentale prima di tale tentativo (escludendo la stampa nipponica, da sempre sospettosamente generosa con i franchise a lei più cari come è il caso di un titolo quale è Final Fantasy 0 Type), manca una schiera di giudizi con cui confrontarsi, condividendo o dissentendo con il proprio pensiero. Prendere la parola, in questo caso, si configura come un’assunzione di responsabilità non indifferente, esponendosi sin da subito a critiche future difficilmente evitabili. Consapevoli di questo, e posticipando il confronto a un prossimo futuro quando il lavoro di Square-Enix sarà disponibile anche ai giocatori americani ed europei, offriamo una prima risposta a poco più di un mese dall’uscita in Giappone a tutti quei giocatori che si stanno interrogando sull’effettiva qualità raggiunta dal gioco a fronte di aspettative indiscutibilmente elevate. 

Uno dei molti difetti messi in luce dai giocatori di tutto il mondo relativamente a Final Fantasy XIII, di cui, lo ricordiamo, FFT0 ne condivide la mitologia sottostante, era la debolezza della sua storyline. Nonostante abbondasse in dialoghi e sequenze, infatti, FFXIII falliva nel colpire la maggioranza dei suoi giocatori per colpa di un character design forse poco ispirato, o forse per colpa di una narrazione zoppicante e frammentaria che, sebbene non risparmiasse a livello di cura maniacale con la quale veniva raccontata ai giocatori la caratterizzazione dei suoi personaggi, mancava di uno spessore narrativo generale in grado di interessare in maniera altrettanto coinvolgente. Difetto che veniva enfatizzato dall’impossibilità, lamentata da molti, di esplorare liberamente le aree di gioco se non nel momento in cui la linearità del gioco stesso ce lo avrebbe concesso, o anche solo più semplicemente dalla totale scomparsa della componente ruolistica in cui, per puro diletto, l’appassionato di giochi di ruolo giapponesi spende parte del suo tempo ingaggiando spesso futili conversazioni con negozianti, locandieri, innamorati su una panchina o ignari passanti incontrati nel corso del proprio cammino di girovago in qualche modo affaccendato a salvare il mondo da fine certa.


Final Fantasy Type 0, invece, si discosta decisamente dalla direzione intrapresa dal suo capostipite proprio a partire dalle vicende che il giocatore dovrà scoprire procedendo nella sua avventura.

Di vicende, a dire il vero, Final Fantasy Type 0 ne ha due. La prima è sicuramente quella del suo tormentato sviluppo: annunciato alla Square Enix’s E3 2006 Press Conference insieme a ben altri tre titoli – Final Fantasy XIII, Final Fantasy XIII-2 e Final Fantasy Versus XIII – il gioco in questione (a quel tempo conosciuto come Agito XIII e solo nel Gennaio di quest’anno rinominato Type-0) fu presentato agli occhi scettici della stampa specializzata come titolo pensato per “cellulari di prossima generazione”, a seguito forse del grande riscontro commerciale avuto in Giappone dal precedente mobile game Final Fantasy VII: Before Crisis, laddove per gli altri capitoli la destinazione prevista era, come è noto, inizialmente ed esclusivamente, l’allora neonata  PS3 di Sony. Nel 2008, lo sviluppo del gioco fu traghettato improvvisamente su PSP a causa della tecnologia ancora acerba dell’attuale generazione di cellulari per un gioco strutturalmente così complesso. Da questo momento in poi, la versione mobile parrebbe definitivamente cancellata a favore di quella PSP, stando a quanto comunicato dal team di sviluppo.

A dire la verità, nonostante faccia indiscutibilmente parte di un unico universo condiviso, Final Fantasy Type 0 non ha molto a che fare con gli altri titoli annunciati in contemporanea nel lontano 2006. C’è, infatti, qualcosa di stravagante in quest’operazione: i capitoli della saga non sono sistemati in ordine gerarchico, dalla superficie al fondo, o ordinati con una propria logica peculiare, ma abbiamo a che fare con un insieme di prodotti, in un solo caso reciprocamente interferenti (come è il caso del tredicesimo capitolo e del suo diretto seguito) che semplicemente coesistono sullo stesso piano cosmologico. Si tratta infatti di giochi alquanto differenti tra loro, sovrapposti uno sull’altro per produrre un disegno globale battezzato da Square-Enix “Fabula Nova Crystallis”. Da questo punto di vista, FFT0 è per certi versi un più classico gioco di ruolo rispetto a quanto visto in precedenza con Final Fantasy XIII, per tessitura narrativa e possibilità di gameplay, mentre per altri si discosta decisamente dai canoni del genere di appartenenza tanto da far pensare di avere fra le mani un titolo dalla natura del tutto diversa. Ma andiamo con ordine.

Il prologo del gioco narra di come, tempo fa, nel mondo di Oriens comparvero quattro chiarori. Le genti dell’epoca si radunarono attorno a queste luci, che scoprirono scaturire da cristalli incantati, e istituirono attorno a questi quattro peristili. Il mondo si divise da allora in quattro nazioni, ognuna delle quali detiene  un cristallo custodito nei peristili in cui il suo speciale potere viene studiato in quella che è, a tutti gli effetti, un’accademia di magia. I nomi dei cristalli scelti dai programmatori sono quelli delle bestie guardiane Siling provenienti dalla mitologia cinese e poi confluite attraverso il budddismo nella tradizione giapponese (una nomenclatura che dovrebbe, tra l’altro, suonare già familiare agli appassionati della serie in quanto precedentemente utilizzata da Square-Enix per quattro avversari nell’espansione Rise of the Zilart di Final Fantasy XI): Ruburum, nazione in cui inizieranno e da cui partiranno la maggior parte delle operazioni militari del giocatore, controlla il cristallo Suzaku che contiene in sé il potere della magia; l’impero di Milites governa Byakko, cristallo intriso di potere bellico; l’alleanza di Lorican che presiede al cristallo protettore Genbu; il regno di Concordia, infine, è alla guida della forza concessa da Souryu, cristallo del potente drago azzurro che consente alla popolazione di comunicare con draghi e con le creature presenti nel bestiario di gioco. Avremo modo di tornare a parlare di questa suddivisione, in quanto attraversa l’intero aspetto del gioco, dall’iconografia facilmente identificabile su drappi, indumenti e stendardi, alla palette grafica usata per tinteggiare i centri abitati sparsi per l’area di gioco. 

La nostra storia viene introdotta, nell’eccellente filmato iniziale, con quanto narrato da un’antica profezia: un salvatore chiamato Agito apparirà dopo che una grande calamità, Finis, devasterà il mondo conosciuto. Ed è da quando, nel mese dell’acqua dell’anno 842, l’esercito imperiale di Milites sotto il comando del generale Cid viola il “PAX CODEX”, il trattato di pace atto a mantenere l’ordine tra le quattro nazioni di Oriens, che la popolazione comincia a invocare l’avvento di Agito. Violando i limiti imposti dagli antichi l’Cie, infatti, l’equilibrio mondiale comincia a incrinarsi. Noncurante di ciò, e dotato di una sua flotta aerea e una fanteria l’Cie, il comandante Cid concretizza sistematicamente l’invasione delle nazioni confinanti. Dopo aver conquistato con successo sia l’alleanza di Lorican che il regno di Concordia, è a Ruburum, e più precisamente in uno dei quattro peristili di Oriens, il peristilio di Suzaku, che il generale incontra una tenace resistenza mentre le sue truppe si stanno dirigendo verso la conquista della capitale. In seguito, il reparto di ricerca di Milites trovò il modo di annullare i benefici schermando il cristallo di Rubrum, annullando il potere dell’esercito avversario. Il peristilio di Suzaku, che durante la guerra agì da autentica fortezza, non fu più capace di difendersi dagli attacchi nemici e cadde facilmente, sconfitta dall’impero. L’intera nazione di Rubrum fu spogliata così di ogni difesa, inerme al nemico.

Eppure, non tutto è perduto per Suzaku. Nonostante il cristallo sia schermato e i suoi siano soldati ridotti a comuni civili, i dodici studenti della “Classe 0” mantengono i loro poteri. Sembra che questi dodici eletti abbiano ottenuto la benedizione dei cristalli con il compito di difendere la pace e ristabilire le condizioni originarie degli altri cristalli nel mondo. Ed è proprio nel momento in cui Cid tenterà di persuadere il presidente di Rubrum a firmare la resa che O.A., l’Operazione Apostoli, missione intenta a liberare la capitale dagli invasori, che il gioco prende finalmente inizio.

L’eccezionale natura da cronaca di guerra che ostenta in continuazione l’opera ne fa probabilmente il videogioco più enfaticamente bellico che Square-Enix abbia prodotto da anni a questa parte, quello che più di ogni altro pone la guerra, rappresentata quale vera e propria fabbrica di paura e odio, in faccia al giocatore in modo diretto, crudo, a tratti imprevedibilmente reale. Questo effetto è ottenuto grazie anche a interessanti espedienti narrativi disseminati con sapienza nel corso del gioco, primo tra tutti il ricorrente tema del controllo esercitato dalle divinità sul genere umano. Come non stupirsi, per esempio, davanti al fatto che gli abitanti del mondo di gioco siano pervasi da una certa indifferenza nei confronti della morte?  Per effetto del potere dei cristalli, infatti, questi finiscono per dimenticare chiunque muoia perdendo di fatto coscienza della loro stessa esistenza. Ogni appello a sentimenti di tristezza o di disperazione provocato dalla perdita dei propri cari diventa, in questo modo, tragicamente infecondo.

Questo è tanto attraente quanto in contrasto con alcune scelte che ne compromettono, in parte, la credibilità. La prima tra queste scelte, e quella che conviene maggiormente citare, è sicuramente l’aspetto donato al cast principale. Formato da ben quattordici personaggi (alla missione dei dodici studenti si uniranno infatti anche i misteriosi Machina e Rem), la Classe 0 è senza dubbio ben caratterizzata in quanto a sviluppo e produzione che si attestano, in ogni comparto, su risultati più che apprezzabili (ogni singolo personaggio ha un suo doppiatore che evidenzia in modo decisamente ben fatto le sfumature caratteriali di ciascuno; le animazioni dei modelli poligonali sono gradevolmente ricercate, in gran numero e realizzate ottimamente) ma pecca invece nella sua caratura stilistica. Malgrado ci si trovi di fronte a un mondo in cui la guerra è stata esportata e imposta, difatti, il character design di Nomura appare (ancora una volta, viene da dire) fin troppo stereotipato e lineare per cogliere tale portata espressiva, proponendoci dei protagonisti dal look fin troppo impersonale, dei ragazzini che danno l’impressione d’essere agnellini nascosti in una ruvida pelle di lupo, fatta forse eccezione per due di loro.

La classe 0 al completo
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