Gabriel Knight: Sins Of The Fathers 20th Anniversary Edition

Narrativa videoludica

La moda dei remake negli ultimi anni ha coinvolto numerosi campi videoludici. Dal genere azione (i vari God Of War e Prince Of Persia) passando per il platform, fino all’intramontabile punta e clicca (un titolo fra tutti: la serie di Monkey Island, i cui due primi episodi sono stati rimasterizzati in modo eccellente). Se in alcuni casi si tratta di semplici operazioni commerciali, buone solo a riesumare in alta risoluzione la fama di un marchio celebre, in altre situazioni i titoli che hanno fatto la storia del videoludo vengono sottoposti a un evoluzione che ne coinvolge non solo il lato estetico, ma ne modernizza le dinamiche e lima alcuni difetti del passato.
Il genere che risente di meno del passar degli anni è quello delle avventure grafiche, dal momento che una buona storia non invecchia mai, e Jane Jensen di buone storie ne ha sempre scritte. Già programmatrice, scrittrice e autrice (insieme a Roberta Williams) di King’s Quest VI, Jane “Jensen” Elizabeth Smith nel 1993 creò una delle migliori saghe narrative e videoludiche in assoluto: Gabriel Knight.
Riprendendo la mitologia voodoo, documentandosi in modo maniacale e abbandonando completamente le solite trame videoludiche, spesso ridotte a un semplice scontro tra buono e cattivo (con contorno dell’immancabile principessa rapita), la Jensen creò un titolo che, insieme ai suoi eccellenti seguiti, rappresenta ancora oggi una delle vette più alte del genere. Originariamente sviluppata dalla Sierra Entertainment, la prima avventura dello schattenjager (cacciatore d’ombre) più sfacciato ed egocentrico del videoludo, Sins Of The Fathers, viene oggi riproposta tramite canale Steam dalla Pinkerton Road, fondata dalla stessa Jensen (che ha ottenuto i diritti di Sins Of The Fathers dalla Activision) insieme al marito Robert Holmes nel 2012, e dallo studio Phoenix Online.

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Un antieroe a New Orleans

Nel quartiere francese di New Orleans vive un giovane uomo che rappresenta quanto di più lontano possa esserci dal classico stereotipo dell’eroe perfetto e infallibile. Donnaiolo impenitente, sfaccendato, inaffidabile e immaturo, Gabriel Knight passa le sue giornate scrivendo romanzetti horror e gestendo una libreria, aiutato dalla sua assistente Grace Nakimura, donna paziente, seria e lavoratrice.
La storica patria del blues e del voodoo, dove i nostri vivono, viene sconvolta da una serie di delitti rituali pochi giorni prima della festa di St. John Eve. Frettolosamente ed erroneamente archiviati come regolamenti di conti tra bande rivali, i crimini sembrano risvegliare l’attenzione di Gabriel, pigro finché si vuole, ma comunque sempre alla ricerca di materiale interessante per i suoi romanzi, specialmente se stimolato dalla fidata Grace.
Ormai da tempo preda di misteriosi incubi notturni, che sembrano avere un nesso con i delitti, il nostro antieroe viene aiutato nelle sue ricerche dall’agente Mosely, amico di vecchia data. A mano a mano che i due mettono insieme gli indizi e le testimonianze lo stesso Gabriel diviene sempre più ossessionato dal caso, fino a scoprire dei collegamenti persino con i propri incubi.
Durante un affascinante viaggio tra Germania, New Orleans e Africa Gabriel, che nel frattempo inizia seriamente a maturare come uomo, scopre di appartenere a un’antica famiglia di cacciatori d’ombre. Anche il suo rapporto con la fida Grace, fatto di continue frecciatine e battute acide, risentirà di questa sua ritrovata maturità, e ne nascerà una storia d’amore che, fra alti e bassi, proseguirà anche nei titoli successivi.
La trama di Sins Of The Fathers, quindi, rappresenta il lato migliore del prodotto, al punto che è rimasta quasi invariata in questo remake. Il cammino che porterà Gabriel a misurarsi con i suoi dubbi e le sue paure, il suo evolversi da donnaiolo sfaccendato a uomo coraggioso e maturo, nonché i suoi complessi rapporti con Mosely, Grace e con un’ambigua Malia Gedde (anch’essi ben caratterizzati), dona al titolo in fascino senza tempo che non risente minimamente dei due decenni trascorsi.

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Un punta e clicca non invecchia mai

La giocabilità e le meccaniche di Gabriel Knight sono rimaste quasi immutate rispetto al titolo originale, a riprova di come il meccanismo dei punta e clicca risenta poco del passar del tempo.
Già nel 1993 in Sins Of The Fathers bisognava andare oltre la filosofia tipica di questo genere videoludico, molte volte ancorata al classico meccanismo “usa tutti gli oggetti su tutti gli hotspot”. La difficoltà media del titolo (la cui longevità si assesta intorno alle 6-7 ore) rimane su standard abbastanza elevati. Gabriel Knight infatti, allora come oggi, richiede una certa elasticità mentale per venire a capo dei numerosi e interessanti enigmi (celebre rimane quello del registratore), nonostante certe meccaniche siano state semplificate per venire incontro a generazioni poco pratiche con i punta e clicca. L’evoluzione tecnica ha permesso l’inserimento di comode scorciatoie da tastiera e la rimozione totale della barra opzioni in alto nello schermo (ora sostituita da veloci e pratiche icone di accesso), che nel titolo originale era sì utile, ma di fatto diminuiva non poco le dimensioni della schermata principale. Inoltre è presente un comodo sistema, tramite pressione della barra spaziatrice, che indica in un solo colpo d’occhio tutti gli hotspot presenti sullo schermo, eliminando la ricerca millimetrica e snervante di ogni singolo pixel con cui interagire, forse il più grande difetto delle avventure degli anni ’80-’90. Un sistema di suggerimenti, per fortuna disattivabile, si unisce a un comodo diario (che sostituisce il registratore del titolo originale) in cui verranno segnati in automatico indizi importanti e consigli. Ma le meccaniche, in generale, rimangono ancorate ai classici canoni del punta e clicca e all’interazione tra oggetti ed elementi dello scenario, oltre che allla giusta risposta ai dialoghi, anche in questo caso abbastanza complessi e molto importanti per scoprire nuovi indizi e proseguire nella nostra avventura.
Ma forse la volontà di rendere più leggero e scorrevole questo remake ha snaturato alcune caratteristiche del gioco originale. Nel titolo del 1993, infatti, il nostro Gabriel poteva muoversi sin da subito nella maggior parte delle zone, senza seguire un percorso prestabilito, e la successione nella scoperta degli indizi variava di molto tra una sessione e l’altra. Questa meccanica, anche se per forza di cose creava dei momenti morti, dava all’utente una vera sensazione di libertà di movimento. Nel remake, invece, nonostante la presenza di alcuni nuovi enigmi e scene, si ha la sensazione che la trama sia molto più guidata e le ricerche proseguano su dei binari abbastanza prestabiliti. Nulla di grave, ma potrebbe far storcere il naso ai puristi di questo genere di prodotto.
L’inserimento di numerosi extra, tra i quali spiccano il fumetto (digitale) realizzato da Terese Neilsen e i bozzetti del titolo originale, arricchiscono l’intera esperienza a New Orleans.

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Voodoo e poligoni

Il lato tecnico del titolo originale vantava tutto il potere dell’allora avveniristica scheda VGA a 256 colori, il massimo disponibile a quell’epoca. Fondali, elementi e personaggi realizzati a mano donavano al titolo un’atmosfera e un carisma ancora oggi meritevoli.
Per il remake gli sviluppatori hanno preferito un approccio tipico di molti punta e clicca recenti: fondali pre-renderizzati e personaggi poligonali. Se per i primi non si riscontrano grossi difetti, per i secondi si nota una realizzazione talvolta frettolosa e alcuni movimenti legnosi, anche se le animazioni facciali e labiali (abbastanza ben sincronizzate con i dialoghi) risultano in generale buone.
La nota più dolente è rappresentata dalla presenza di alcuni bug strutturali (in parte già risolti da una patch) e dai colori scelti per i sottotitoli: variano in base al personaggio, ma le font di colore giallo, rosa o fucsia su sfondo grigio non sono il massimo della comodità.
Fedelmente alla filosofia dei titoli per Pc, anche Sins Of The Fathers permette inoltre di configurare quasi ogni aspetto tecnico, dalla risoluzione alla quantità di dettagli, fino alle ombre e le animazioni. Nulla di eccezionale, quindi, soprattutto se confrontato con le produzioni più recenti, ma l’aspetto tecnico non è mai stato il punto di forza (tranne alcune eccezioni) dei punta e clicca.
Sul versante sonoro troviamo classici effetti sonori, uniti a molte evocative musiche realizzate ancora una volta da Robert Holmes e perfettamente inserite nel contesto. Anche le voci dei vari protagonisti (in inglese, con sottotitoli nelle varie lingue europee) risultano, tra alti e bassi, bene adattate e convincenti. Con una novità: nel titolo originale Gabriel e Mosely erano doppiati da Tim “It” Curry e Mark “Skywalker” Hamill, ora sostituiti da Jason Victor (Gabriel) e Ned Clarke (Mosely).

[signoff icon=”quote-circled”]Quello di Sins Of The Fathers rappresenta uno dei remake più riusciti in campo videoludico, non è la solita operazione commerciale, ed emana un sincero amore nei confronti della saga. Vista l’eccellenza del titolo originale, gli sviluppatori si sono ritrovati con metà lavoro già fatto, ma hanno saputo migliorarne alcune meccaniche e limitazioni (dovute ai limiti tecnici delle piattaforme dell’epoca). Il punto forte del titolo è senza dubbio la trama, che denota ancora una volta come le eccellenti capacità narrative di Jane Jensen resistano al passare degli anni. La maturazione che attraverserà il protagonista, i suoi rapporti con gli altri personaggi, le sfaccettature della trama e i colpi di scena, tutto si incastra in un meccanismo perfetto che rende il titolo molto simile a un’eccellente romanzo interattivo, ancora oggi in grado di rivaleggiare con produzioni ben più poderose. La speranza è che questo rinato interesse per le avventure del nostro schattenjager siano il preludio a un quarto episodio della serie. [/signoff]

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