The House of the Dead: Overkill – Recensione The House of the Dead: Overkill

Le serie di maggior successo, quelle seguite da milioni di fan in tutto il mondo, sono sempre le più difficili da gestire. Il minimo errore di valutazione è potenzialmente in grado di trasformare un videogiocatore adorante in un micidiale veicolo di pubblicità negativa che grida allo scandalo e chiede la testa degli sviluppatori. Fortunatamente per noi, questa volta gli sviluppatori in questione sono quelli di Headstrong Games (una costola di SEGA, tanto per capirci), e nessun fan di vecchia data si sentirà tradito: da ogni pixel del nuovo capitolo di The House of the Dead emerge la forte volontà di restare fedeli all’opera originale, portando allo stesso tempo una ventata di freschezza in quella che è la formula ormai collaudata del famosissimo shoot’em up a sfondo horror.

 
Overkill, lo "splatter-pulp-shooter"

Per chi ancora non conoscesse la serie di The House of the Dead, sappiate che non è certo destinata ai deboli di stomaco: sin dalle prime apparizioni nei cabinati da sala, il gioco si è sempre distinto per la sua divertentissima miscela di clichè horror (rigorosamente da film di serie B), adrenalina, sangue a fiumi e scene al limite del grottesco. Naturalmente questo Overkill non varia la riuscita ricetta di base: in estrema sintesi, il gioco è uno sparatutto "sui binari", ovvero uno shooter in prima persona in cui la visuale e i movimenti del personaggio sono automatici e precalcolati, mentre il giocatore deve solo prendere la mira e sparare, sparare e ancora sparare a tutto quello che si muove. Noioso? Tutt’altro! La varietà di situazioni e di nemici – abbinata al ritmo frenetico e alla regia particolarmente ispirata – sono in grado di appassionare e divertire senza mai far calare l’attenzione. L’impressione è quella di essere sulle montagne russe  (chi ha provato i primi esperimenti di cinema dinamico, quelli con le poltrone che si muovevano, ricorderà questa sensazione), circondati da orde di nemici da abbattere senza pietà per proseguire nel viaggio. Un simile modello di gioco, scandito da infiniti eventi scriptati e da una visuale non controllabile direttamente dal giocatore, ha permesso agli sviluppatori di prestare maggiore attenzione alla realizzazione degli scenari e delle animazioni: tutto si muove quasi sempre in modo fluido, con pochissime incertezze limitate alle fasi più concitate. Ma una bella grafica, nelle mani del bravo sviluppatore, non è mai fine a sè stessa. E così arriviamo a quello che è uno dei grandi pregi di Overkill: la palette cromatica slavata (con tanto di effetti a simulare il logorio di un’immaginaria pellicola cinematografica), il sangue che scorre a fiumi, l’effetto blur che accompagna i rapidi spostamenti della visuale, contribuiscono tutti a calare il giocatore in un’atmosfera dalle tinte pulp vecchio stile, che più di una volta richiamano – per non dire plagiano apertamente! – i vari film di Quentin TarantinoGrindhouse in primis, ai quali gli sviluppatori si sono dichiaratamente ispirati  per la realizzazione del gioco.


Anche in questo episodio non mancano il sangue e le scene tipicamente horror

 

 Immediatezza e profondità nell’arcade casalingo

 "Non chiamateli con quella parola che inizi con la Z!". Così recita una delle battute più memorabili e divertenti dell’intero gioco, dal tono palesemente canzonatorio e autoreferenziale rispetto a un genere dal quale la cinematografia prima, e i videogiochi poi, hanno attinto a piene mani. E’ innegabile: una grandissima fetta dell’utenza videoludica (e chi scrive si schiera in prima linea!), sin dai tempi del primo Resident Evil, non vede l’ora di mettere le mani su un altro titolo nel quale massacrare orde di famelici zombi che osano mettersi sulla sua strada. E così, rinfrescando il tutto con una manciata di idee originali, Headstrong Games è riuscita nell’intento di trasformare in un prodotto avvincente un gioco che più di altri rischiava di far parte del festival del già visto. A dire la verità, oltre ai soliti numerosissimi zombi in via di decomposizione, molte altre creature mutanti faranno del loro meglio per spedirci all’altro mondo: dai mostri più deformi fino ai ben più coriacei boss di fine livello la varietà di certo non manca, e proprio in un gioco il cui unico scopo è sparare a tutto quello che si muove sullo schermo non può che essere apprezzata.

Ma non finisce quì: di partita in partita si scoprirà presto come il concatenarsi delle combo – da inanellare colpendo più nemici possibili in particolari zone del corpo – serva a far schizzare in alto il punteggio. Come in ogni arcade che si rispetti, più punti si otterranno e più in alto apparirà il nostro nome in classifica una volta terminato il gioco. Utilissimi a questo scopo i power up presenti, che permettono di aumentare il punteggio, ripristinare la vita, e persino attivare una sorta di bullet-time alla Matrix per piazzare precisi e ripetuti headshot altrimenti impossibili. Naturalmente, se nelle sale giochi vedere il proprio nome sopra quello dei rivali era la massima ricompensa possibile, così non è sulle console casalinghe: gli sviluppatori hanno in questo caso dato più peso alla funzione del punteggio ottenuto con le combo, collegandolo alla possibilità di migliorare le armi a disposizione o di acquistarne di nuove. Tutti elementi che, insieme, concorrono ad aumentare la longevità del titolo, che per quanto riguarda la vicenda principale è – prima vera nota dolente – al limite del concedibile: la trama è composta da 7 capitoli, ognuno di una mezz’oretta scarsa. Insomma, il tutto è giocabile in meno di tre ore. E una volta finito? Completata la prima volta la modalità storia si può accedere alla versione "Director’s cut" che altro non è se non la stessa vicenda con scene inedite e percorsi alternativi. Nonostante questa gradita aggiunta siamo ben lontani, ahinoi, dai tantissimi bivi presenti nei primi episodi, nei quali il giocatore era continuamente chiamato a scegliere tra due o più vie per le quali proseguire l’avventura. Viene da dire, a questo punto, che se la trama in Overkill non riveste un ruolo di primaria importanza poco ci importa: la vicenda in sè risulta infatti rigiocabile più e più volte solo per il gusto di sfidarsi a chi fa il punteggio più alto, per provare le nuove armi o – goduria! – per sbloccare la modalità a due pistole, dove un solo giocatore utilizza entrambi i telecomandi Wii per elargire una doppia dose di piombo ai malcapitati zombi che gli si parano davanti.


Azzeccato l’indicatore delle combo, a forma di caricatore (in alto a sinistra)

 

 Come ti faccio secco un altro zombi

 Wiimote alla mano – meglio ancora se inserito nello Wii zapper, o nello speciale controller a forma di revolver venduto in bundle con la versione più lussuosa di Overkill – i giocatori più hardcore scopriranno che la precisione necessaria per concatenare le combo più lunghe è da ricercarsi solo in alcune delle armi a disposizione: se infatti la classica pistola o il fucile permettono di colpire e mutilare i nemici con precisione chirurgica, altre armi spostano eccessivamente l’accento sulla potenza di fuoco e, sparando miliardi di proiettili al secondo, diventa pressochè impossibile prendere accuratamente la mira. Questo non è però da considerarsi totalmente un punto a sfavore del gameplay: tale caratteristica permette infatti ai giocatori meno esperti di disporre di armi potenti con le quali salvarsi nelle situazioni più pericolose, mentre i cacciatori di zombi navigati potranno utilizzare le armi più adatte per una sfida all’ultima combo.

Sicuramente, va detto, l’innovativo controller di cui dispone la Wii sembra pensato apposta per riportare in auge un genere che rischiava di cadere nel dimenticatoio: fino alla comparsa della bianca console Nintendo, infatti, per godersi uno shoot’em up degno di questo nome (gemme come il primo Time Crisis, Point Blank o Virtua Cops) era necessario l’acquisto di una light gun, inevitabilmente poi destinata al solo utilizzo con i (pochi) giochi ad essa dedicati. Oggi Il Wiimote, al pari delle vecchie light gun, permette di mirare con precisione e di premere il grilletto (il tasto B) in modo altrettanto intuitivo. Per ricaricare, basta agitare il controller, e poi via a svuotare nuovamente il caricatore. Immediatezza, intuitività nei comandi e semplicità, insomma. Tutte caratteristiche che tanto hanno fatto apprezzare questa console alle grandi masse che non avevano mai preso un pad in mano, e che oggi permettono il ritorno sul palcoscenico di The House of the Dead, degno esponente di un genere videoludico che merita ancora di essere giocato. 


Si può giocare anche solo con il Wiimote, ma con il revolver è tutto un altro sparare!

 

Pulp. Molto pulp. Forse troppo

Se c’è una caratteristica fondametale nella filmografia pulp alla Tarantino, questa è da ricercarsi nei dialoghi: scurrilità, parolacce e violenza gratuita sono all’ordine del giorno. Poteva un gioco che strizza continuamente l’occhio al Tarantiniano Grindhouse ignorare tutto ciò? Certamente no, e i programmatori non hanno di certo preparato un copione da oratorio: le battute di Isaac Washington, il poliziotto di colore che accompagna il protagonista, sono tanto divertenti quanto politicamente scorrette, taglienti e rozze. Molto rozze, pure troppo, tanto da meritarsi una menzione nel libro dei Guinness World Records per la presenza della parola "fuck" ben 189 volte! Se questo sia un pro o un contro lo lasciamo decidere a voi, da parte nostra possiamo solamente assicurarvi che gli scambi di battute al fulmicotone che ci sono in The House of the Dead: Overkill sono in grado di creare un’atmosfera unica, come pochi altri giochi sanno fare. Naturalmente, i dialoghi sono accompagnati da una colonna sonora d’eccezione, sulla falsariga di quella di Kill Bill (ebbene sì, ancora Tarantino!), e da effetti sonori tutto sommato di buona qualità: rumore di spari, urla di mostri, musica di sottofondo e battutacce al limite della censura creano un mix convincente, che si sposa perfettamente con il grottesco mondo virtuale mostrato sullo schermo.


Isaac Washington, antitesi di tatto e gentilezza. Provare per credere.

 

Un gioco per tutti… o forse no.

Ormai si sarà capito: per i fan della vecchia guardia l’acquisto di The House of the Dead: Overkill è praticamente un obbligo. Impersonando l’agente G in una vicenda ambientata prima degli eventi narrati nel primo The House of the Dead, ritroveranno con gioia le forsennate sparatorie dei bei tempi che,  anche se forse non tecnicamente ardue come nei primi due capitoli della saga, faranno ugualmente riscoprire il piacere di (ri)giocare uno dei più divertenti shoot’em up su rotaia di sempre. Per gli altri – se vi piace Tarantino e non siete di stomaco debole – sappiate che questo Overkill è un buon titolo, divertente e cafone quanto basta, in grado di regalare un paio di serate di gioco concitato in singolo e qualche altra sessione insieme ai vostri amici, ma niente di più: la modalità storia si completa tutta d’un fiato, e chi non ha una mentalità arcade che lo spinge a rigiocare i vari capitoli per battere l’amico che ha centrato in testa più zombi di lui rischia di riporre prematuramente la confezione sullo scaffale. Un titolo a doppio taglio insomma,  in parte innovativo e meritevole di essere giocato, in parte abbastanza violento e volgare da allontanare i più dubbiosi. In estrema sintesi, The House of the Dead: Overkill è il Killer Instinct degli shoot’em up. Regolatevi di conseguenza.

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