Medal of Honor – Recensione Medal of Honor

Ci sono state numerose polemiche su Medal of honor a causa della possibilità di impersonare i talebani (subito rinominati) nella modalità multiplayer; EA è stata attaccata da più fronti, anche dall’Italia, ma alla fine è riuscita a far arrivare il proprio prodotto nei negozi. Tutte le polemiche alimentate da esterni al mondo dei videogiochi, a nostro avviso, non hanno alcun senso, visto che vengono solo ripresi fatti accaduti realmente e non è certo un videogioco che può turbare le persone. Detto questo, passiamo a parlare del vero protagonista di quest’articolo: Medal of honor, lo sparatutto bellico sviluppato da Danger close (ex EA Los Angeles), che si pone l’obiettivo di divenire un caposaldo del genere FPS.

 

Il ritorno di un mito

Dopo aver raggiunto livelli qualitativamente altissimi con il primo capitolo, la serie Medal of honor, forse anche a causa del cambio di sviluppatore, ha iniziato a perdere carisma e mordente, presentando capitoli discreti che non impressionavano assolutamente il giocatore. Questo nuovo gioco cambia le carte in tavola, mostrando un’ambientazione moderna e abbandonando il conflitto mondiale che in passato ha fatto la fortuna della serie. La storia si evolve lungo 10 missioni della durata complessiva di circa 5-6 ore ed è narrata attraverso cut-scenes girate con il motore di gioco e in computer grafica. Interessante poter osservare il punto di vista di due diverse realtà: è possibile  controllare le truppe sul campo di battaglia e vivere insieme ad esse le difficoltà di una guerra difficile e combattuta, ma durante i filmati osserveremo il comandante difendere i propri soldati andando contro gli ordini dei "piani alti". Pur essendo poco chiara, la componente narrativa aiuta a legare fra loro le diverse missioni, nelle quali cambieremo continuamente punto di vista, impersonando diversi soldati che attraverso operazioni differenti cercano di vincere la stessa guerra. 

 


Classico

La struttura di gioco segue i canoni classici del genere, non mostrando alcuna idea nuova, ma nonostante ciò riesce a immergere il giocatore in un clima che neanche gli ultimi Call of duty erano riusciti a costruire. Proprio alla saga di Activision, Danger Close sembra essersi ispirata, utilizzando scripting e un level design lineare che ormai sono dei cliché del genere. Tutto sommato, però, non c’è un eccesso in tal senso: le scene scriptate non sono numerosissime e la costruzione dei livelli, per quanto classica, mostra spunti interessanti anche sul lato tattico. Alcune mappe, infatti, ci permettono di aggirare i nemici o attaccarli da lati differenti; in queste occasioni, però, oltre a poter apprezzare il lavoro fatto nella costruzione degli ambienti, l’intelligenza artificiale nemica mostra il fianco, apparendo a tratti stupida e poco dinamica, non accorgendosi della nostra presenza a pochi passi di distanza. Nonostante ciò, anche perché le fasi in cui si può utilizzare quest’approccio sono poche, i nemici si comportano discretamente, attaccando da più lati e utilizzando in modo intelligente, ma non eccessivo, granate e rpg.

 

Viva la varietà

Il titolo Danger Close brilla senz’altro nella varietà delle situazioni proposte, che comunque non si scosteranno dalle solite fasi da cecchino (abbastanza numerose), resistenza a ondate di nemici e assalti a basi avversarie. Purtroppo, alcune di queste situazioni sono davvero troppo simili, oltre che a Call of duty, anche a Bad company. Vi ricordate le scene in slow motion quando si faceva irruzione in un’abitazione dove erano barricati i nemici, oppure le fasi di cecchinaggio nelle quali siete accompagnati da un vostro superiore che vi dà ordini, o ancora,  le corse su quad? Se avete giocato i due Modern Warfare e l’ultimo Battlefield non dovreste avere difficoltà ad accostare quel che succede in Medal of honor ad alcune situazioni di questi titoli. Gli sviluppatori non sono riusciti a dare quel qualcosa in più che avrebbe reso davvero indimenticabile la campagna single player del prodotto; Dice con Bad company 2 c’era riuscita in maniera egregia: la missione di cecchinaggio di quest’ultimo era resa molto più originale dalla particolarità di dover uccidere i nemici solo quando sarebbe arrivato un tuono. Sono queste le idee che mancano a Medal of honor, che raggiunge vette di epicità altissime, ma che non sfiora neanche minimamente quel che poteva trasmettere a livello emotivo una delle migliori missioni di Call of duty.

 


L’incoerenza la fa da padrona

Oltre che nel single player, Medal of honor somiglia ai due concorrenti anche nel comparto multiplayer. Per non distrarre Danger close dallo sviluppo della campagna, EA ha deciso di assegnare il multigiocatore a Dice, veterani del genere e padri dello stesso Bad company. Purtroppo però, nonostante sia molto bello e immersivo, il gioco offline dura davvero poco e sembra sia stato quasi inutile il frazionamento del lavoro, visto che comunque non ne è uscita una campagna quantitativamente accettabile. Comunque sia, i Dice hanno svolto egregiamente il proprio lavoro, offrendo al consumatore una modalità forse non ricchissima di opzioni, ma estremamente divertente e bilanciata. Quel che invece ci ha fatto davvero "cadere le braccia" è la quasi totale incoerenza tra i due tronconi del titolo: oltre a utilizzare due motori grafici differenti, ma su questo ci ritorneremo più avanti, le differenze si notano pesantemente anche sul gameplay proposto. Sembra quasi che la componente online di Medal of honor appartenga, invece che a quest’ultimo, all’altro lavoro Dice, Battlefield. C’è uno stacco davvero marcato osservabile anche dalle armi utilizzabili, molte delle quali diverse tra le due modalità, e nei controlli (per quanto riguarda l’uso di alcune armi secondarie). Questo è essenzialmente il maggior difetto che ci sentiamo di segnalare: non si era mai visto uno stacco così grande tra il gioco offline e quello online.
 

 


Cresciamo un po’

La componente multiplayer del gioco in questione è quindi considerabile come un prodotto a sé stante, completamente distaccato (finanche nei menu) da quel che ha da offrire il single-player. Andando quindi al succo, possiamo dire che anche non scombussolando la formula classica del genere, le modalità offerte sono divertenti da giocare e offrono un giusto compromesso tra azione e strategia. Abbiamo già parlato in modo estremamente dettagliato delle modalità Missione tattica e Assalto a squadre, che rappresentano rispettivamente la più strategica e la più immediata delle modalità, nella nostra anteprima. Ora vogliamo parlarvi del sistema di crescita, cambiato rispetto a quello che offriva la beta, e delle due modalità che non abbiamo avuto modo di provare in passato. Prima dell’inizio di una partita, e anche prima di essere rimesso in gioco dopo una morte, è possibile selezionare una tra le tre classi disponibili: fuciliere, unità speciale e cecchino. Ciò che le differenzia è, fondamentalmente, la possibilità di utilizzare solo un certo tipo di armi; ovviamente c’è un ottima differenziazione tra fuciliere e cecchino, ma non c’è la stessa diversità tra unità speciale e fuciliere, dal momento che utilizzano entrambe più o meno le stesse armi e sono differenziate solo dal fuoco secondario. Nonostante ciò, è divertente poter variare, anche all’interno di una stessa partita, tra le tre classi e livellarle: ognuna di esse, infatti, ha una crescita a parte, che sale con il numero di uccisioni, di assist o di azioni particolari da fare durante le partite; l’aumento di livello porta all’acquisizione di nuove armi, mirini e caricatori, come nel più classico degli sparatutto. Bisogna dire che il sistema funziona bene e invoglia il giocatore a continuare sino alla conquista del tanto agognato fucile e del desiderato mirino di precisione, essenziale per i cecchini, che inizieranno con un puntino rosso che farebbe ridere anche i fucilieri.
 

 


Novità? Certo che no

Detto questo, ci concentriamo sulle modalità: Raid obiettivi e Controllo settore. La prima è una classica partita in cui bisogna distruggere una base nemica o difendere la propria dalle ondate avversarie: tale modalità è caratterizzata da partite molto brevi, circa 5 minuti, e da mappe molto piccole; in questo caso sono molto sfavoriti i cecchini, visto che sono quasi assenti postazioni sopraelevate e spazi abbastanza vasti dove è possibile colpire i nemici avversari. La seconda modalità, Controllo settore, è una sorta di "dominazione", dove per vincere la partita bisogna conquistare delle bandiere sparse per la mappa stando un certo periodo di tempo nella loro zona; nelle mappe questa volta c’è un ottimo equilibrio tra le diverse classi, tutte utilizzabili senza particolari handicap. Complessivamente c’è un certo equilibrio tra immediatezza e tattiche in questi due tipi di partite, apparendo quindi bilanciati, gradevoli ed estremamente divertenti da giocare. In generale il level design delle mappe è ottimo e accontenta un po’ tutti gli approcci di gioco. La modalità online di Medal of honor può essere presa tranquillamente come gioco a sé stante e si attesta decisamente su ottimi livelli, ma pecca pesantemente sul lato novità: non sono presenti modalità inedite e si presenta classica, senza quindi impressionare l’amante del genere.

 


La stessa guerra, ma con grafica diversa

L’incoerenza apparsa osservando il gameplay è riscontrabile anche nel comparto grafico, a causa dell’utilizzo di due motori grafici differenti. L’Unreal engine 3 utilizzato per il single player è parso a tratti eccellente, con picchi qualitativi elevatissimi soprattutto nell’utilizzo dell’HDR, con scorci davvero imponenti e mozzafiato, da segnalare poi una realizzazione eccelsa del fuoco; ciò è alternato a momenti ben meno impressionanti, dove i limiti delle console attuali iniziano a farsi sentire, soprattutto nelle texture e nelle ombre; più in generale, il titolo è parso anche un po’ sporco a causa dell’aliasing, che ci accompagna per tutto l’arco dell’avventura. Il Frostbyte utilizzato per il multiplayer è apparso a tratti migliore, grazie ad una maggiore pulizia tecnica, però non ce la sentiamo di fare un confronto diretto, anche perché la direzione artistica è anch’essa differente tra i due motori. Non è bastato l’espediente di eliminare la feature più famosa del Frostbyte, la distruttibilità degli ambienti, per aumentare la coerenza grafica. Ci sono davvero troppe differenze tra i due motori, che hanno punti di forza differenti: uno è ottimo nell’utilizzo delle l’HDR, l’altro nelle texture e nelle ombre, e così via. Il nostro giudizio grafico è più che ottimo, ma, lo ribadiamo, siamo perplessi per l’incoerenza mostrata. Andando a valutare l’audio del prodotto, che fortunatamente non varia di molto tra single e multiplayer, non possiamo che lodare l’ottimo doppiaggio e gli effetti sonori, ma fare al contempo una tiratina d’orecchie agli sviluppatori, che hanno dato troppa poca importanza alle musiche, che a nostro avviso sono essenziali quando si vuole trasportare il giocatore a livello emozionale.

 

Commento

Durante l’articolo abbiamo più volte ribadito i difetti maggiori che affliggono la produzione Danger close-Dice, ma nonostante questo non possiamo negare che Medal of Honor sia un titolo ottimo e a tratti eccellente. Purtroppo, quel che davvero non ci sentiamo di approvare è la notevole incoerenza tra la componente online e quella offline, quasi da sembrare due giochi completamente diversi; ciò, unito alla scarsa longevità, che non migliora con la possibilità di rigiocare le missioni in modalità Tier 1, e la mancanza di reali novità, fanno di Medal of Honor un prodotto apprezzabile dagli amanti della serie e del genere. Siete pronti a conquistare la vostra medaglia d’onore?

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