Metal Gear Solid V: The Phantom Pain – Recensione

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain

Big Boss torna per un’ultima, epica missione

Scrivere di Metal Gear Solid V non è assolutamente cosa semplice, soprattutto se si è dei fan della serie come il sottoscritto. Ho seguito il gioco fin dal suo esordio qualche anno fa, l’ho visto di persona all’E3, ad un paio di Gamescom ed averlo finalmente tra le mani mi ha semplicemente esaltato. Il capitolo finale di una delle saghe simbolo del mercato videoludico: non è cosa da tutti i giorni aver la possibilità di recensire un prodotto del genere! Questa volta però ho deciso di essere conciso e non prolisso, diretto e non esitante, preciso e non vago. Insomma, se state cercando un wall of text dedicato a Big Boss e compagni non è di certo qui che lo troverete. Bene, dopo questa breve premessa sono pronto per parlarvi di The Phantom Pain… 3, 2, 1, via!

Un ritmo che spiazza

Ogni fan di Metal Gear Solid ricorderà come molti dei titoli di Hideo Kojima siano caratterizzati da un ritmo narrativo serrato, che snocciola colpi di scena uno dietro l’altro e tiene sempre alta l’attenzione in praticamente ogni frangente dell’avventura. In The Phantom Pain tutto ciò non è presente ed il motivo è molto semplice: la nuova struttura open-world ha comportato una fisiologica diluizione degli avvenimenti, per così dire, rilevanti che ora non sono più spalmati sulle canoniche 15/20 ore di gioco bensì su oltre 60. Esatto, avete capito bene, il gioco ha una longevità estremamente elevata, che raggiunge e supera il centinaio di ore qualora si decidesse di completare ogni singola missione opzionale presente. Ecco quindi che potrebbe passare relativamente molto tempo tra una scena d’intermezzo e l’altra, mostrando un ritmo a cui molti di voi non sono assolutamente abituati. Non lasciatevi intimorire però da questo seppur non banale dettaglio: la narrazione, soprattutto nella prima parte dell’avventura, è qualitativamente molto elevata e ricca di personaggi memorabili e colpi di scena, dovrete giusto fare i conti con un bel pio’ di giocato in più, un giocato di elevatissima qualità. Prima di discutere del gameplay va però menzionato un fatto: Big Boss, ve ne accorgerete molto presto, è estremamente meno loquace che nei precedenti capitoli. La scelta attuata da Kojima, se da un lato può lasciar spiazzati, dall’altro evidenzia la sua volontà di rendere meno verboso e spezzettato il suo titolo. I dialoghi via codec sono stati ridotti all’osso e molta della narrazione che avveniva tramite essi è ora affidata a pratiche audiocassette ascoltabili a discrezione dell’utente. La caratterizzazione di Snake, così come molti retroscena della trama, sono quindi ancora ben presenti, ciò che è cambiato è semplicemente il modo in cui vi verranno somministrati.


Lo stealth definitivo?

Nonostante la trama sia sempre stato uno degli elementi preponderanti della serie, non dobbiamo dimenticarci cheMetal Gear Solid è responsabile di aver dato vita al genere degli stealth game come li conosciamo oggigiorno. Vien da sé che per il capitolo conclusivo della sua saga Kojimaabbia voluto fare le cose in grande e stravolgere, ancora una volta, ciò che lui stesso aveva contribuito a definire. La parola d’ordine di The Phantom Pain è infatti open-world, un open-world vasto ma non dispersivo in grado di allestire un gameplay unico nel suo genere. Le aree in cui ci muoveremo sono vive e pullulanti di dettagli, è presente un ciclo giorno-notte in tempo reale nonché eventi atmosferici in grado di cambiare le carte in tavola in ogni missione. Il fattore casualità crea, di volta in volta, situazioni sempre nuove e se unite a ciò un’ottima intelligenza artificiale dei nemici otterrete un cocktail riuscito come pochi. Bellissimo un mondo in continua evoluzione, ma a conti fatti cosa potrà fare il giocatore? Questo quinto episodio è una diretta evoluzione di quanto si è visto nel recente passato della serie ed unisce l’impianto di Peace Walker al gameplay di Ground Zeroes. Da un apposito menù sarà possibile selezionare le missioni principali e secondarie da portare a termine, nonché come far evolvere e sviluppare la propria Mother Base, il vero e proprio centro nevraglico di tutte le nostre operazioni. Ritorna il sistema Fulton, questa volta adibito non solo al reclutamento di nuovi soldati ma anche al recupero di mezzi di trasporto, armi e risorse, mentre l’interfaccia utente, l’impianto di controllo ed il sistema di marcamento dei nemici sono una diretta evoluzione del già citato Ground Zeroes.


L’importanza di un buon supporto

Uno degli elementi chiave, oltre alla rinnovata struttura open-world, è l’ottima implementazione dei personaggi di supporto. Big Boss potrà infatti contare sull’aiuto di D-Horse per gli spostamenti silenziosi nelle vaste lande di gioco, di D-Dog per individuare nemici lontani e creare diversivi o di Quiet per narcotizzare o eliminare soldati particolarmente difficili da stanare. Oltre a ciò avremo sempre a disposizione un pratico supporto aereo per rifornimenti di ogni genere ed offensiva nonché numerosi mezzi motorizzati sparsi qua e la per i livelli. Parlando invece dell’armamento, questo si evolverà di pari passo con la nostra Mother Base: il gioco ha inizio con una gamma limitatissima di armi ed accessori ma mano a mano che recluteremo nuovi soldati, porteremo a termine missione e recupereremo progetti e materie prime sarà possibile sviluppare un arsenale di tutto rispetto, perfettamente in linea con gli altri episodi della serie. La parte gestionale quindi è fondamentale per la buona riuscita dell’avventura e trascurarla equivale ad andare incontro ad un game over assicurato.


The devil is in the details

Tra gli innumerevoli pregi che la serie di Hideo Kojima ha sempre avuto vi è senza dubbio la cura quasi maniacale per i dettagli: ogni oggetto ed ogni nemico si trovavano in quella precisa posizione per un motivo ben specifico, non lasciando quindi nulla al caso. Riuscire a replicare il tutto in una struttura open-world non è un’impresa per niente semplice ma, sorpresa sorpresa, il team di sviluppo ci è riuscito! Passeggiando per l’Afghanistan di Metal Gear Solid 5, per esempio, è un’esperienza unica in quanto ogni paesaggio è realizzato tenendo in considerazione non solo il level design ma anche un puro e semplice fattore estetico. Nelle varie zone che visiteremo vi sono differenti tipi di flora e di fauna tanto che capiterà di imbattersi in più di un’occasione in capre, pecore, orsi o corvi; anche i villaggi rurali e gli accampamenti nemici sono ricreati in maniera assolutamente verosimile tanto che spesso verrà voglia di lasciarsi andare ad una semplice quanto soddisfacente esplorazione di ogni metro quadro visibile ad occhio nudo. Ed i nemici? Come non parlare dei nemici: le loro azioni sono anch’esse influenzate dall’ambiente circostante ed il giocatore dovrà quindi sfruttare a proprio vantaggio quanto avviene a schermo per coglierli di sorpresa o eliminarli senza allertarne i compagni.


60 frame al secondo

Ne avevamo già avuto un assaggio con Ground Zeroes e con The Phantom Pain si è confermata quella che era ormai quasi una certezza: il Fox Engine è uno tra i migliori motori grafici disponibili sul mercato. Nella versione PlayStation 4, quella da noi provata, Metal Gear Solid V si muove ad una risoluzione di 1080p per 60 frame al secondo; in una parola? Impressionante! Eh si perché seppur non raggiungendo, per definizione delle texture e complessità poligonale, mostri sacri quali The Witcher 3 o il prossimo Uncharted 4, il gioco riesce comunque ad allestire a schermo uno spettacolo degno della nuova generazione di console. I suoi punti forti sono senza dubbio l’incredibile pulizia visiva ma soprattutto l’ottima fluidità, che rimane ancorata ai 60 frame al secondo anche nelle situazioni più concitate. Superba come sempre la direzione artistica, che dipinge paesaggi così suggestivi da togliere quasi il fiato nonché personaggi carismatici ed assolutamente memorabili. Monumentale poi la colonna sonora che vanta alcuni tra i migliori brani mai realizzati nella serie: tutti molto suggestivi e capaci di immergere ed avvolgere l’utente come in poche altre occasioni. Meno traumatico del previsto il cambio di voce di Big Boss, che ora è doppiato dall’attore statunitense Kiefer Sutherland, ammettiamo però che David Hayter rimarrà per sempre nei nostri cuori come l’unico ed insostituibile Snake! Niente da dire invece sul resto del cast, che abbiamo trovato essere estremamente adatto ai ruoli ricoperti ed in grado di regalare un doppiaggio di alta qualità.


Un finale col botto

L’ultimo episodio della monumentale saga di stealth game by Hideo Kojima è un autentico capolavoro, un gioco che riesce laddove molti altri hanno purtroppo fallito. Nonostante la nuova struttura open-world l’anima di Metal Gear Solid è rimasta perfettamente intatta, evolvendosi anzi verso un gameplay estremamente soddisfacente e coinvolgente. La direzione artistica, come sempre fuori parametro, denota una cura per i dettagli davvero notevole e l’impressione di trovarsi all’interno di un mondo vivo e pulsante è più che tangibile. Impegnativa e astuta l’intelligenza artificiale dei nemici, mai banale e scontata, così come è risultata riuscita anche quella dei vari personaggi di supporto, fondamentali per la buona riuscita delle missioni. Come ogni capolavoro però The Phantom Pain non è certo privo di difetti: la seconda parte dell’avventura è infatti più debole rispetto alla prima, e questo si può riscontrare in una leggera ripetitività delle missioni ed in una trama meno avvincente. Fortunatamente però non sono macchie in grado di oscurare la luce di cui brilla il titolo, una luce che rende questo quinto e conclusivo capitolo uno dei migliori dell’intera serie.

(ndr: a causa di alcuni problemi con i server che stanno affliggendo gli utenti di tutto il mondo non ci è stato possibile trattare le componenti online di The Phantom Pain, componenti che esploreremo con maggior attenzione in occasione dell’uscita di Metal Gear Online)

Attendevo Metal Gear Solid V: The Phantom Pain da un bel po’ ed ero davvero curioso di sapere cosa si fosse inventato questa volta Hideo Kojima. Gioco alla mano ho scoperto che il prodotto è davvero molto valido e regala soprattutto un gameplay che spiazza. La struttura open-world è calata bene all’interno delle dinamiche stealth e la trama, nonostante un ritmo un po’ altalenante, è come da tradizione ottima ed avvincente. Un capitolo che chiude con il botto una serie leggendaria, una serie che rimarrà per sempre nei nostri cuori.

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