Back in Time – Dungeons & Dragons: Tower of Doom

Il genere dei picchiaduro a scorrimento è tipicamente orientale: nomi come Double Dragon e Streets of Rage possono darci un’idea della grandezza della scuola giapponese. Dungeons & Dragons, invece, è il più celebre gioco di ruolo cartaceo, nato dalle menti di Gygax e Arneson. A cavallo fra Anni Ottanta e Novanta i beat ‘em up impazzavano ovunque mentre D&D era già da lustri un’istituzione, nonché uno dei maggiori ispiratori della scena ruolistica videoludica, non solo occidentale. Perché non unire questi due fenomeni? Capcom aveva già carezzato l’idea nel 1991, quando uscirono The King of Dragons e Knights of the Round, due piacchiaduro a scorrimento ispirati all’immaginario fantasy occidentale; il primo, in particolare, può essere considerato un figlio illegittimo di D&D, o meglio un figlio avuto prima del matrimonio, celebrato nel 1993 con Tower of Doom. In occasione del venticinquesimo anniversario del gioco, Back in Time ha pensato di proporvi una retrospettiva sul titolo Capcom.

Tower of Doom è il primo di due picchiaduro a scorrimento sviluppati da Capcom sulla base della licenza di D&D. Pur rimanendo fedele al genere di appartenenza, il gioco non poteva non risentire dell’influenza del GdR cartaceo, non solo per trama e direzione artistica, ma anche sotto il profilo ludico: Tower of Doom, infatti, può essere considerato l’iniziatore di un particolare filone Action JRPG, rimasto vitale negli anni soprattutto grazie a George Kamitani, il quale, fuoriuscito da Capcom, è approdato in Vanillaware e ha lavorato su Princess Crown, Odin Sphere, Muramasa: The Demon Blade e Dragon’s Crown.

Proseguendo lungo il percorso tracciato da The King of Dragons, Tower of Doom utilizza un rudimentale sistema di crescita basato sul level up, ma non solo: per la prima volta nella storia dei beat ‘em up è presente un inventario, che contiene armi secondarie da lancio (come daghe e frecce) e incantesimi. La disponibilità di questi “oggetti” – per utilizzare il termine più generico possibile – dipende dalla selezione del personaggio: il roster, infatti, si compone di quattro avventurieri, cioè il guerriero, il nano, l’elfa e il chierico; ciascuno di essi non solo ha moveset e caratteristiche differenti (ad esempio potenza e velocità), ma anche un arsenale diversificato. Va da sé che guerriero e nano sono più prestanti fisicamente, mentre l’elfa e il chierico possono contare su alcuni incantesimi sfiziosi (il chierico non può utilizzare quelli dell’elfa e viceversa).

Un altro aspetto tipicamente RPGistico è la facoltà di scelta: l’avventura, della durata di un’ora, in linea con la tradizione arcade, presenta un discreto numero di bivi e scelte, che possono condurre a diversificazioni notevoli. Ciò, unito alla presenza di quattro personaggi selezionabili e alla natura multiplayer del titolo, garantisce a Tower of Doom una buona longevità.

Per realizzare il difficile connubio fra Oriente e Occidente, Capcom ha dovuto lavorare a stretto contatto con TSR, la compagnia di Gygax. L’obiettivo era quello di elaborare una trama e un setting coerenti con l’universo di D&D, oltre che carpirne i principali tratti stilistici.

Tower of Doom è ambientato nella Repubblica di Darokin (introdotta quale accessorio nel 1989), collocata nel setting di Mystara, che è quello dell’edizione Basic di D&D, utilizzato anche da precedenti videogiochi, come Warriors of Eternal Sun e Order of the Griffon. La direzione artistica è forte di una notevole attenzione per il materiale originale legato al celebre GdR, come dimostrano le bestie che infestano gli stage: troll, gnoll, lich, coboldi vengono mazzuolati dai nostri avventurieri, molto fedeli alle classi di appartenenza. Ma le (numerose) matite sono giapponesi, e i giocatori più attempati, quelli che all’epoca guardavano già gli anime, lo noteranno, anche se questa coloritura è più evidente nel character design di Shadow over Mystara, con Kinu Nishimura. Ad ogni modo, il connubio è senz’altro felice, andando a costituire un’evoluzione rispetto alla direzione artistica di The King of Dragons, già decisamente ispirata a D&D.

Nell’ambito della colonna sonora non esisteva materiale cui rifarsi in particolare, considerata la natura cartacea di D&D (includendo anche i numerosi romanzi e fumetti). Il lavoro dei compositori di Capcom – tra cui spicca Isao “Oyaji” Abe, noto ai fan di Street Fighter II – unisce efficacemente sonorità epiche tipiche dei JRPG e ritmi movimentati, adatti ad accompagnare l’azione in un picchiaduro a scorrimento.

Nel 1993 Capcom lanciò una nuova scheda arcade, la Capcom Power System II, che nel corso della sua carriera decennale – e nonostante la meno fortunata CPS-3 sia uscita nel 1996 – ha avuto l’onore di ospitare classici come Super Street Fighter II e numerose iterazioni di Darkstalkers e Street Fighter Alpha. Tower of Doom fu uno dei primi giochi a “girare” su CPS-2, e seppe mostrare al mondo intero le potenzialità della nuova scheda.

Il confronto con i predecessori The King of Dragons e Knights of the Round ci consente di evidenziare tutti i passi in avanti compiuti da Capcom: gli sprite risaltano per le loro dimensioni generose, nonché per il livello di dettaglio, senza compromettere la fluidità o andare a discapito dei fondali; insomma, l’upgrade coinvolge tutti gli aspetti tecnici. Un ulteriore salto di qualità si avrà qualche anno dopo, nel 1996, con Shadow over Mystara.

Abbiamo già parlato delle caratteristiche salienti del gameplay, ma non abbiamo ancora toccato la questione fondamentale: diverte anche oggi? La risposta è “ni”. Tower of Doom, considerato in sé e per sé, è un gioco curato e divertente, soprattutto se affrontato in compagnia di tre amici, secondo la modalità di fruizione pensata da Capcom. L’altra faccia della medaglia è costituita da un gameplay superato, come emerge dal confronto col sequel Shadow over Mystara, che ha ampliato sia il roster (da quattro a sei elementi) sia i moveset, rendendo l’azione molto più dinamica. Chi si approccerà a Tower of Doom con un interesse “archeologico” lo troverà interessante e giocherà solo successivamente a Shadow over Mystara, mentre gli altri potrebbero preferire direttamente quest’ultimo.

Tali considerazioni, comunque, perdono importanza perché i giochi sono sempre stati portati su console in accoppiata: dapprima con la D&D Collection uscita su Saturn, poi con D&D: Chronicles of Mystara, compilation sviluppata da Iron Galaxy Studios e disponibile su PlayStation 3, Xbox 360, Wii U e Steam. Quest’ultima raccolta è la scelta migliore, se non altro perché la prima non è mai uscita dal Giappone e consente di giocare al massimo in due. Se odiate il digital delivery potete puntare sulla versione retail, uscita esclusivamente per PlayStation 3 giapponesi; si tratta, peraltro, di un prodotto in parte diverso rispetto alla collection digitale, in quanto non è stato sviluppato da Iron Galaxy Studios ma internamente da Capcom.

 Dungeons & Dragons: Tower of Doom

Rispetto ai GdR (videoludici) tradizionali, incentrati sul single player, la formula di Dungeons & Dragons: Tower of Doom ha il vantaggio di trasmettere una sensazione del tutto diversa, grazie alla cooperazione di quattro giocatori: ci si sente parte di un gruppo di avventurieri, proprio come dev’essere in una classica avventura fantasy. Ad oggi è più godibile Shadow over Mystara, ma c’è comunque di che divertirsi.

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