Back in Time – Ori and the Blind Forest

Salviamo la foresta!

Ori and the Blind Forest si rivelò sin da subito uno dei progetti più interessanti del panorama (più o meno) indipendente di Microsoft, soprattutto in virtù della sua direzione artistica, figurando fra gli indie più attesi del 2014 insieme a un certo Hotline Miami 2: Wrong Number, ma entrambi furono posticipati al 2015. Alla fine, infatti, Ori and the Blind Forest debuttò l’11 marzo 2015.

In occasione del settimo anniversario del gioco, riscopriamolo assieme.

Ori and the Blind Forest non è che l’ennesimo esponente del filone metroidvania, in cui i piccoli team indipendenti occupano un posto di assoluto rilievo. L’opera prima di Moon Studios si presenta dunque come un platform bidimensionale caratterizzato da un mondo unitario ma suddiviso in aree interconnesse, molte delle quali diventano accessibili solo dopo aver acquisito delle chiavi o delle abilità particolari, che consentano di superare alcuni ostacoli. Questa dinamica implica una certa dose di backtracking, che comunque non risulta eccessivamente gravosa per il giocatore grazie a un sapiente level design, calcolando anche il sistema di teletrasporti introdotto con la Definitive Edition.

ori and the blind forest

Non ci sono vere e proprie innovazioni rispetto alla struttura archetipica, ma Ori and the Blind Forest ha una propria identità – non solo artistica, ma anche ludica – ben marcata. Innanzitutto, il nostro piccolo Ori è rapidissimo e agilissimo, quindi il gioco tende ad avere un ritmo abbastanza elevato. Questa caratteristica è sempre più evidente man mano che si acquisiscono le nuove abilità, tra cui doppi e tripli salti e arrampicate sui muri; verso la fine del gioco si arriva quasi a percorrere l’intera mappa senza mai toccare il suolo. Fortunatamente il sistema di controllo è all’altezza della situazione e il level design non mette il giocatore nella condizione di svolgere salti o altre azioni che spingano i controlli al limite come poteva capitare ad esempio in Ghosts ‘n Goblins e nei suoi epigoni.

Ciò non significa che Ori and the Blind Forest sia una passeggiata di salute, anzi: si muore spesso e volentieri, soprattutto in determinate sezioni (il nostro death counter è sopra le 500 morti! -N.d.R). La difficoltà non è mai estrema, quindi con un quarto d’ora di pazienza si può superare pressoché ogni passaggio, ma esistono alcuni schemi frustranti e altamente punitivi, come quelli in cui bisogna fuggire.

ori and the blind forest

Uno degli aspetti più particolari del gameplay è il sistema di salvataggio. Esso, al di là di pochi punti di salvataggio fissi, si basa su un sistema di checkpoint liberamente posizionabili dal giocatore, un po’ come avveniva in The Mark of Kri. Utilizzando una certa quantità (variabile a seconda del potenziamento del giocatore) di energia, Ori crea un “collegamento dell’anima”, che funge da checkpoint, punto di salvataggio e punto di accesso ai potenziamenti: solo da qui, infatti, è possibile smanettare con l’albero delle abilità. L’aspetto curioso è che l’energia serve anche per effettuare gli attacchi caricati, quindi il giocatore si trova costretto a gestire queste due risorse eterogenee che attingono dalla stessa fonte. Il problema della penuria di energia, comunque, caratterizza solo le prime ore di avventura, perché in seguito si possono trovare molte cellule di energia (ciascuna delle quali conferisce uno slot ulteriore) e acquisire abilità che ne riducono il consumo. L’albero delle abilità si divide in tre rami, legati a varie famiglie di abilità (ad esempio, combattive o esplorative) e si basa su una progressione lineare, nel senso che ciascuno dei tre rami è come una linea retta: il prerequisito per imparare la seconda abilità di un ramo è avere la prima, per la terza avere le prime due, e così via.

Le cellule energia non sono l’unico collectible: ad esse si affiancano le cellule vitalità (che si spiegano da sé) e le cellule abilità, che conferiscono un punto abilità da spendere nell’Ability Tree; le abilità hanno un costo variabile da uno a tre punti. Il backtracking si manifesta intensamente solo nell’attività di raccolta dei collectible, siccome essa si lega necessariamente al ritorno in zone già visitate, ma che magari avevano una porta impossibile da aprire o un appiglio impossibile da raggiungere. Alcuni collectible si trovano in passaggi segreti, sostanzialmente finte pareti, proprio come in Locoroco, per fare un esempio. Si tratta, comunque di materiale opzionale, che serve soprattutto più nell’ottica di “millare” il gioco, oppure di divertirsi qualche ora in più.

ori and the blind forest

Pur considerando con la dovuta attenzione l’ottima componente ludica, la direzione artistica è senz’altro ciò che cattura sin da subito – anche prima ancora dell’acquisto – e resta l’aspetto migliore di Ori and the Blind Forest. Le ambientazioni sono incredibili, grazie ai loro colori – talvolta luminosi, più spesso tetri, ma sempre e comunque spettacolari – e ai numerosi livelli di parallasse, che contribuiscono a rendere viva la natura rappresentata. Il design dei personaggi principali è davvero ispirato, mentre alcuni mostri comuni tendono ad essere più banali, pur spiccando per i loro accesi cromatismi. Tutto ciò in 1080p e a 60 FPS, anche se abbiamo riscontrato alcuni sporadici cali di frame rate che comunque non incidono sulla giocabilità.

La grafica stupenda si sposa con una colonna sonora orchestrale onirica e struggente, che conta oltre trenta brani per un totale di circa un’ora e mezza di durata; tenendo conto che il gioco dura una dozzina di ore, non è niente male! Ma non è certo la quantità il miglior pregio di questa OST, delicata e suggestiva, che non sfigurerebbe certo in un lungometraggio dello Studio Ghibli, citato fra gli ispiratori di Moon Studios. Il giocatore è immerso in un mondo misterioso, di cui non si sente mai parte; egli rimane estraneo, perché solo così è possibile veicolare lo stupore. A questa sensazione contribuiscono anche i (pochi) dialoghi in gibberish.

ori and the blind forest

La trama non è particolarmente articolata, ma riesce comunque a essere meno abbozzata di un Outland a caso, anche grazie alla maggior cura riposta nei dialoghi. Il protagonista è il piccolo Ori, una sorta di gattino/volpino (sempre e comunque -ino – N.d.R.) caduto dall’albero della luce e adottato dall’orso (?) Naru. In seguito a un cataclisma, Ori inizia il suo viaggio nella foresta con lo scopo di risvegliare e pacificare gli elementi. Le tematiche sono prevedibilmente legate alla natura e all’amore, e all’amore per la natura.

L’avventura di Ori vi terrà impegnati per un numero variabile di ore, a seconda della vostra abilità o dell’intenzione di completare il gioco al 100%. In linea di massima, possiamo dire che otto ore scarse dovrebbero essere sufficienti per arrivare ai titoli di coda, ma che probabilmente ne farete qualcuna in più per esplorare più approfonditamente i vari antri alla ricerca dei collectible. Con dodici ore si può ottenere una percentuale di completamento prossima al 100%. Chiaro poi che se vorrete anche tutti gli Achievement dovrete sudare un po’ di più, anche perché è impossibile ottenerli tutti alla prima run. Una volta terminato il gioco non è possibile continuare a giocare caricando dallo stesso salvataggio e non esiste un new game +, quindi il consiglio è quello di sdoppiare i save prima di entrare nell’area finale (il gioco stesso vi avviserà che entrando non potrete più tornare indietro).

ori and the blind forest


Ori and the Blind Forest è uno dei migliori esponenti del filone metroidvania della scorsa generazione, e non solo per la direzione artistica sublime. Consigliatissimo a tutti, con la Definitive Edition è divenuto ancor migliore.

Vai alla scheda di Ori and the Blind Forest
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