Nioh: le origini di un successo

Nioh è stato accolto molto bene dalla critica; in occasione dell'arrivo del secondo capitolo della saga abbiamo provato a capire le motivazioni del successo. Scopriamole insieme!

L’attuale generazione di console, avviatasi ormai al tramonto, ha avuto – tra i tanti – il merito di promuovere definitivamente il sottogenere dei souls-like a punto di riferimento videoludico. Sia chiaro, rimane pur sempre un genere fondamentalmente rivolto a un pubblico ben preciso e non per forza di cose numerosissimo, ma ha innegabilmente assunto un’identità e soprattutto un’importanza mediatica ben diversa.

Merito non soltanto del lavoro di Hidetaka Miyazaki e FromSoftware, inventori del genere e fautori di una cultura videoludica ormai ben radicata, ma anche di tutte le altre software house che, ispirandosi all’opera dell’azienda nipponica, hanno iniziato a lavorare sempre più duramente per portare su schermo dei titoli validi, magari con idee innovative capaci di creare un’identità ben precisa. Negli anni, si sono susseguiti diversi esponenti, come ad esempio Lords of the Fallen, “il primo” della lista sempre più corposa di quei titoli che hanno provato a seguire le orme dei vari “Souls”, il più recente Code Vein, caratterizzato da uno stile tutto suo, senza dimenticare le piccole perle del mercato indie come Salt and Sanctuary, giusto per citarne uno, o i meno “apprezzati” The Surge e il suo seguito diretto, The Surge 2.

Tutti questi, coi loro difetti e pregi, hanno contribuito attivamente alla crescita del sottogenere in questione, tra i cui esponenti milita anche Nioh, opera di Team Ninja e Bandai Namco il cui impatto è stato nettamente superiore agli altri sopracitati, sia dal punto di vista delle vendite sia dell’apprezzamento: Nioh è, ad oggi, uno dei souls-like più riusciti, tanto da meritarsi un seguito (che vedrà la luce il prossimo mese), la cui attesa è già diventata spasmodica per i tantissimi fan del brand e della tipologia di giochi in generale. Quali sono i motivi che hanno sancito un successo forse inatteso ma assolutamente meritato? Ve lo proviamo a spiegare noi, in quello che è soltanto il primo appuntamento di una marcia di avvicinamento più che sentita da parte di chi, come molti di voi, non vede l’ora di tornare a respirare aria di Giappone feudale e di andare a caccia di orde di Yokai come se non ci fosse un domani.

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Motivazione prima: il setting e l’ambientazione

Parliamoci chiaro, a chi non piace un’ambientazione ispirata all’Epoca Sengoku? Che sia un videogioco, un film, un anime o qualunque altro medium, è innegabile quanto il fascino di questo setting abbia ancora oggi una risonanza a tratti irresistibile nella mente e nel cuore di molti appassionati. E, chiaramente, in Nioh questa scelta si rivela senza dubbio azzeccatissima. Non è un mistero, infatti, che buona parte del successo o comunque una buona fetta dell’apprezzamento del titolo siano scaturiti proprio dalla scelta dell’ambientazione in questione, replicata con grande cura e perizia dagli sviluppatori. Il Giappone feudale ricreato per le avventure del protagonista William è infatti una vera e propria gioia per gli occhi, grazie ad una fedeltà stilistica ricercata e continua che non lascia spazio a dubbi di sorta.

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Questo viene enormemente impreziosito dalla saggia scelta di trarre spunto non soltanto dalle fonti storiche ma di affondare le radici anche in quelle folkloristiche, di cui il Giappone è una fonte praticamente inesauribile. L’ambientazione, dunque, si fonde con una vena esoterica forte, marcata, sentita, in cui le minacce si alternano con continuità spaziando dai nemici umani, ovvia conseguenza di un periodo storico in cui le guerre erano all’ordine del giorno, a minacce ben più spaventose: demoni, vampiri, mostri alati, tutti ereditati dalla cultura nipponica che, come dicevamo poc’anzi, da questo punto di vista ha da sempre dimostrato di avere a propria disposizione un ventaglio smodato e invidiabile. Nel corso della lunga traversata si entra dunque in contatto con un mondo ricco di fascino e mistero, in cui il pericolo è nascosto dietro praticamente ogni angolo, il tutto caratterizzato da una fedeltà di fondo respirabile a pieni polmoni dal primo all’ultimo minuto di gioco.

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L’unica pecca? Probabilmente la scelta di separare le varie aree l’una dall’altra non è stata delle più felici, ma in ogni caso si tratta di un giudizio assolutamente personale che potrebbe tranquillamente non essere condiviso.

Motivazione seconda: il gameplay

Come potrebbe definirsi un buon souls-like un titolo il cui gameplay non risulti uno dei punti cardine? Chiaramente Nioh non fa eccezione: il gameplay rappresenta, appunto, la colonna portante della produzione, composto da un sistema di combattimento squisito, tecnico, spietato e soprattutto divertente e appagante, ma anche da una progressione intelligente, che richiede l’ausilio di una dedizione alla causa ben precisa. A cominciare dalla scelta dei parametri fisici da aumentare, tanti e in qualche modo ben diversi tra di loro, il gioco richiede subito un prezzo molto alto a chi siede dall’altra parte della “barricata” con il controller in mano, un prezzo che si traduce in scelte precise e delicate da cui dipende buona parte dell’esperienza.

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In generale, comunque, Nioh porta in dote un livello di sfida molto elevato già dalle primissime battute, che non fa altro che ingigantirsi col passare del tempo e delle sfide, via via più ostiche e complesse. Va da sé che la gestione dell’equipaggiamento diventa rapidamente una delle caratteristiche più importanti della produzione, e a questa si unisce un level design sicuramente non ispirato come quello dei cugini di FromSoftware, ma comunque ottimamente orchestrato.

Scendendo più nei dettagli è doveroso menzionare i due aspetti forse più riusciti legati al combat system: i ninjutsu e gli spiriti guardiani. Entrambi rappresentano una delle cose più belle di Nioh, sia sul fronte estetico sia su quello strettamente legato al superamento dei vari scogli, poiché il loro corretto impiego risulta spesso la migliore arma contro i nemici più ostici. In particolare i ninjutsu, affiancati dalla Magia Onmyo, sono gli elementi più caratteristici del pargolo di Team Ninja, i quali riescono a combinare perfettamente espedienti ludici all’immaginario tipo dell’iconografia nipponica, legata ad elementi come il credo ninja e più in generale ad una vena esoterica sempre sottile, ma decisamente viva e pulsante.

Motivazione terza: la bellezza e la provenienza dei boss

In precedenza, vi abbiamo parlato dell’abilità del team di sviluppo di pescare a piene mani da un immaginario ricco e variegato come quello della cultura folkloristica ma anche storica del panorama nipponico. Ciò si rende incredibilmente evidente, in termini ludici, non soltanto con la raffigurazione di luoghi e nemici, ma soprattutto con quella dei boss, tutti (o quasi) in qualche modo legati proprio a tale – enorme – agglomerato di nozioni. È il caso, ad esempio, di Oda Nobunaga, personaggio storico rivisitato in salsa videoludica da Team Ninja, la cui natura da spirito immortale lo rende un avversario dal fascino incredibile. Discorso diverso ma altrettanto affascinante è quello legato alle varie creature affrontabili durante la storia, come ad esempio il gigantesco Nue, creatura mitologica appartenente proprio alla cultura giapponese.

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Il suo corpo, composto dall’unione di diverse specie animali, è una continua esplosione di fulmini, che mettono a dura prova anche il più ardito dei giocatori, anche perché questo avversario è uno dei primi ad incontrare il cammino del nostro buon William e dunque potenzialmente devastante se affrontato in modo impreparato. Lo stesso discorso vale anche per la bellissima Yuki-Onna, le cui origini affondano ancora una volta nel maestoso immaginario del folklore locale. La cosiddetta “donna delle nevi” è bellissima e micidiale, nonché uno dei boss più ostici del gioco. Un altro esempio è rappresentato dallo spaventoso Umibozu, decisamente meno terrificante in game (sul piano estetico) rispetto alla sua controparte “reale”. Esso è rappresentato nella cultura popolare giapponese come uno yokai (uno spirito maligno) che risiede le navi, con il poco onorevole hobby di rovesciare le navi dei viandanti.

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Tutti questi sono soltanto degli esempi di ciò che il titolo riesce ad offrire, un vero e proprio tripudio sensoriale, specialmente se si è appassionati di tale cultura o più in generale della sfera del soprannaturale in sé.

Motivazione extra: il piacere del dolore

C’era chi cantava che il “dolore è piacere” e Nioh, così come gli altri souls-like, ne è un portavoce perfetto. Come e più che negli altri titoli del genere, la morte è sempre più una realtà, il pericolo sempre più vicino e annidato dietro ogni angolo, e sì, questo ci piace da morire. L’attesa per Nioh 2, di conseguenza, è chiaramente frenetica, a tratti snervante, e abbiamo deciso di ammazzare (termine usato non al caso) il tempo proprio ripercorrendo le tappe non soltanto del primo capitolo, ma anche analizzando tutto quello che sappiamo del suo sequel (o prequel?) diretto. Insomma, queste settimane saranno all’insegna di sangue e yokai. Siete pronti a raccogliere la sfida?

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