Pokémon Spada e Scudo: genesi di un franchise planetario

La nascita di un franchise unico e forse irripetibile.

Annunciati pochi giorni fa, Pokémon Spada e Scudo sono già sulla bocca di tutti, dominando ricerche e monopolizzando l’interesse della massa. Perché però questo non ci sorprende più di tanto? Perché parliamo di Pokémon, uno dei brand più importanti della cultura geek degli ultimi trent’anni, ma soprattutto uno dei successi planetari più straordinari di sempre. Com’è nato dunque tutto questo successo? Qual è la storia di uno dei franchise più forti che popolano le console di cassa Nintendo? Scopriamolo assieme.

Satoshi Tajiri era un giovane appassionato di insetti che fin da piccolo, come comunemente molti bambini in Giappone fanno, li collezionava per hobby; questo passatempo però, nella vita di Tajiri, fu causa di diversi momenti lieti a tal punto che col passare del tempo la volontà del natio di Machida divenne quella di sfruttare la sua passione per la tecnologia per creare un gioco in grado di far provare le sue stesse emozioni ad altri bambini. Col passare degli anni questa volontà crebbe in Tajiri, il quale assieme a Ken Sugimori, suo carissimo amico, decise di fondare Game Freak: un’impresa editoriale, dedita all’informazione videoludica in cui i due riversarono tutta la loro passione per i videogames. Siamo nel 1989 e Tajiri decise che Game Freak dovesse diventare la fonte del divertimento di tanti e non solo la fonte dell’informazione sul divertimento. Così l’impresa editoriale si trasformò in software house indipendente, sviluppando nello stesso anno della fondazione anche il primo prodotto videoludico targato Game Freak: Quinty (pubblicato negli US come Mendel Palace), un action-puzzle arcade per NES distribuito da Namco.

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Fin da subito, quindi, il rapporto tra Nintendo e Game Freak si legò saldamente con l’azienda di Tajiri, che iniziò a lavorare anche su progetti maggiori – seppur sempre in maniera marginale – quali Yoshi (1991) e Mario & Wario (1993). La capacità di sviluppare videogiochi era indubbia, la riconoscenza di Nintendo anche; quello che mancava a Tajiri per concretizzare il suo desiderio di un gioco first-party era l’idea vincente. Siamo nel 1993, Tajiri viene per la prima volta in contatto con il Game Boy di Nintendo e il Game Boy Game Link Cable e un’epifania scaturita alla visione del funzionamento del Game Link Cable tra due Game Boy suscita in Tajiri la visione di due insetti che corrono sul cavo e finiscono l’uno nel Game Boy dell’altro. Rientrato in azienda, Tajiri e Sugimori iniziarono a lavorare a un progetto di “insetti scambiabili” legati alla sua passione d’infanzia: il collezionismo.

Il concept era valido e il nome venne cambiato di volta in volta fino ad arrivare a “Capsule Monster”. Il concept prevedeva come personaggio un bambino di dieci anni intento a catturare quanti più mostri possibili attraverso delle capsule tascabili, al fine di collezionarli tutti. Il progetto Capsule Monster venne presentato alle alte sfere di Nintendo, che seppur riconoscendo la bontà dell’idea non approvarono il nome, ritenendolo inadatto e poco accattivante, oltre a non approvarne in toto l’idea alla base. Tajiri non si diede per vinto e utilizzò il rifiuto come incentivo per migliorare il progetto, forte della convinzione del successo che avrebbe avuto il suo gioco. Nacque così “Pocket Monster”, titolo in cui un giovane allenatore immerso in un mondo infestato da mostriciattoli si pone l’obbiettivo di diventare il miglior allenatore di sempre. Le vicende, inoltre, seguivano degli obiettivi principali costituiti da: catturare tutti i mostri attraverso delle sfere, collezionarli tutti e sconfiggere ogni altro allenatore si frapponesse fra il protagonista e il suo obiettivo. Il progetto venne ripresentato da Tajiri come ideatore, Sugimori come disegnatore e Junichi Masuda come audio designer, riscuotendo il pieno assenso di Nintendo, la quale ammaliata diede il via libera alla produzione del gioco.

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Nessun eroe armato di scudo e spada, nessun platforming, il titolo sapeva unire il collezionismo al fattore sfida, con la voglia di competere ampliata dalla celebre campagna marketing “Gotta catch’em all!” (Acchiappali tutti!). Piccoli, grandi, ragazzi e ragazze, tutti entravano nel target di Pokémon (questo il nome finale dell’opera dopo lo sbarco nel 1999 negli US), e il gioco rientrava anche nell’idea Nintendo di proporre titoli family oriented. Ma questo non era sufficiente, l’infanzia di Tajiri e le emozioni che il giovane di Tokyo aveva provato da ragazzino non erano ancora del tutto inserite nel suo progetto. Tajiri voleva che le sensazioni di ritrovarsi il pomeriggio in cortile con gli amici per giocare con gli insetti, o scambiarsi le figurine fossero riprodotte nel Game Boy, il quale doveva essere solamente un modo nuovo di intendere il gioco, così come lo intendeva lui ai suoi tempi. Per questo decise di creare due versioni di Pocket Monster che fossero caratterizzate ognuna da alcuni Pokémon unici per versione, in modo che ogni giocatore per catturare tutti i mostri dovesse per forza scambiarne alcuni con un altro giocatore. Tutto ciò venne effettuato attraverso l’utilizzo del Game Link Cable, che nell’idea di Tajiri era il modo migliore per ricreare quei momenti di aggregazione e di emozione da lui sperimentati.

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Due lunghi anni di sviluppo (1994-1996) portarono Tajiri, Sugimori, Masuda, il team di Game Freak e Nintendo (a supervisionare il progetto ci fu Miyamoto) al lancio del primo Pocket Monster. Pocket Monster Red e Pocket Monster Green uscirono in Giappone il 27 febbraio del 1996 scaturendo uno dei più grandi successi di vendita di Nintendo (10,23 milioni di copie vendute solo in Giappone). Il fascino accattivante dei mostriciattoli, l’efficacia della campagna marketing, ma soprattutto la passione dimostrata da Tajiri e trasposta nel gioco portarono dapprima il Giappone, e negli anni successivi l’intero pianeta, ad amare Pokémon. Gadget, carte collezionabili, anime, fumetto, nacque così la “Poké-mania” che cementificò in pochissimo tempo il brand, rendendolo uno tra i più iconici di sempre, secondo soltanto a Super Mario. Il valore di Pokémon erà così alto che accrebbe anche quello dei videogiochi portatili (nella loro totalità) portandoli nel 1999 a vendere 1 miliardo di copie in più rispetto al 1998.

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Quando si tratta di Pokémon non si parla di una moda, si parla di uno dei movimenti più importanti di sempre. Il fenomeno Pokémon è portato come esempio di successo di marketing, comunicazione e rischio d’impresa (Game Freak accumulò circa due miliardi di debiti durante lo sviluppo rischiando la bancarotta) in gran parte dei corsi mondiali legati all’economia e ad oggi è uno dei brand videoludici – e non – più importanti al mondo. Pokémon Spada e Scudo sono solo i nuovi esponenti di una storia che si ripete ormai da otto generazioni di mostriciattoli e che come sempre porterà milioni di appassionati a comprare il titolo, ma anche a ritrovarsi, a riscoprirsi, a provare quelle emozioni fanciullesche sopite e celate dietro un semplice scambio di figurine, dietro un calcio al pallone in cortile, dietro un altro piccolo insetto da aggiungere alla collezione di Tajiri.

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