Dragon Age II – Recensione Dragon Age 2

Dragon Age: Origins è uno dei più apprezzati giochi di ruolo degli ultimi anni, dimostrazione del riuscito tentativo di Bioware nel riportare in voga i canoni del Fantasy, distaccandosi però da meccaniche e ambientazioni basate su Dungeons & Dragons. Grazie al successo di questo franchise possiamo oggi provare Dragon Age 2, titolo che nel periodo antecedente all’uscita ha destato motivate preoccupazioni a causa di dimostrazioni di gameplay che parevano molto più vicine a un gioco d’azione che non a uno di ruolo. Cominciamo la recensione smentendo immediatamente questa voce, pur non negando i tanti e più o meno sottili cambiamenti.

Dopo le Origini

Per chi si fosse perso qualcosa: in Origins il giocatore era chiamato a interpretare un Custode Grigio, un membro di un ordine di combattenti creato per sconfiggere il Flagello, l’orda di creature demoniache uscita dal sottosuolo con il solo scopo di devastare e sottomettere i viventi.  Molti i palesi richiami al fantasy di stampo Tolkeniano, rappresentante l’eterna lotta tra Bene e Male: il protagonista deve diventare l’eroe in grado di riunire razze e regni in contrasto tra loro, per guidare l’assalto contro l’oscuro nemico e riportare così l’ordine e la pace – oppure distruggerlo solo per poter governare tirannicamente e incontrastato. In Dragon Age 2 assumiamo il meno centrale ruolo del (quasi) comune umano Garret Hawke, le cui avventure iniziano con la fuga da Ferelden, la terra colpita dal Flagello nel predecessore, per poi proseguire nelle terre dei Liberi Confini oltre il termine della guerra. La narrazione è postuma agli eventi del gioco, basandosi sulla ricostruzione delle testimonianze di un nano, tale Varric, che scopriremo poi essere uno dei compagni di avventura di Garret. Nonostante la mancanza di un legame diretto con i personaggi di spicco del precedente episodio, viene reso evidente fin da subito come l’inizialmente modesta vita di Hawke sia destinata a una svolta di portata epica.


I primi caotici momenti delle avventure di Hawke

Questioni di ruolo

Mettere a un tavolino due invasati di Gdr, per discutere di quale sia la corretta definizione di Gdr, porta quasi sempre a dibattiti che si protraggono per tempi indefinibili. Prendendo un ruolo super-partes, analizziamo l’aspetto più discutibile di questo sequel: la libertà interpretativa. La creazione di un alter ego è uno degli aspetti considerati sacri dai giocatori di vecchia data, e in questo Dragon Age: Origins si rivelava perfetto, dal momento che la decisione di sesso, razza e classe del personaggio cambiava l’inizio del gioco. Dragon Age 2, invece, è esattamente agli antipodi, dal momento che, pur potendo decidere sesso, classe e nome (ma non il cognome), la storia della famiglia Hawke costituisce un background univoco per ogni partita. Se qualcuno stesse pensando a Mass Effect, è esattamente il paragone ideale: Hawke, così come Shepard, uomo o donna che sia, sarà l’unico protagonista che avremo, i cui cambiamenti nella personalità dipendono esclusivamente da quanto buono o cattivo il giocatore lo renderà attraverso i dialoghi – che come da tradizione odierna pongono chiare (o meglio, a prova di idiota, ndr) distinzioni tra benevolenza e malvagità, aggiungendo un’interessante via di mezzo sarcastica. Inoltre, il protagonista è doppiato integralmente, eliminando il mutismo del passato capitolo.
La libertà allora dov’è? La risposta è da cercarsi nel background. Avendo la possibilità di importare i salvataggi, tutto ciò che avevamo fatto nel primo Dragon Age (e nei relativi DLC) ha un peso, e non sono pochi i riferimenti che vengono fatti nel corso dell’avventura alle gesta eroiche (o malefiche) del Custode Grigio o di altri personaggi. Allo stesso modo, in questo secondo episodio l’influenza delle scelte del protagonista mantiene sempre un peso nei confronti del mondo – un mondo che nel sequel appare sicuramente meglio caratterizzato. Nel Ferelden, l’esplorazione portava all’incontro con le realtà più disparate generate dalla fantasia degli sviluppatori, permettendoci di scoprire le peculiarità di ogni razza e società. Le avventure nei Liberi Confini, al contrario, si svolgono perlopiù nella città portuale di Kirkwall e dintorni, ed è quindi comprensibile che gli sviluppatori abbiano lavorato per far sì che, nei suoi limiti di spazio, la città dimostri una maggiore attenzione al dettaglio, rispetto ai più estesi territori coperti in passato. Come da tradizione, Kirkwall si rivela essere la tipica città dove nobili e ricchi abitano le sue parti superiori, mentre poveri e criminali popolano i bassifondi. Nondimeno, c’è la possibilità di visitare la costa e i suoi variopinti segreti.
Tuttavia, bisogna far notare che, aldilà dei comprimari e degli antagonisti, siano pochi i personaggi a cui si sia donata la dovuta attenzione, i quali si riducono così a comparse facenti parte dell’ambiente circostante e che cessano di essere interessanti al termine delle relative quest.


La cura di certi scenari lascia a bocca aperta

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