Final Fantasy XIII-2 – Recensione Final Fantasy XIII-2 (Import)

 

Mancano ancora negozi e botteghe nel gioco, rimpiazzati qui dalla sexy Chocolina, avvenente mercante che, per qualche assurdo motivo, seguirà Noel e Serah nei loro tragitti attraverso spazio e tempo. A differenza di quanto avveniva nel predecessore, il sistema di sviluppo delle nostre armi verrà quasi completamente accantonato in favore di un più consolidato acquisto dell’equipaggio bellico progressivamente reso disponibile all’interno della mercanzia in vendita. 

 

Dove invece il gioco celebra invece con disinvoltura la sua riuscita è nel suo raffinato sistema di battaglia, che propone una minimale ma necessaria evoluzione dell’ATB già vista in Final Fantasy XIII. Ritorna quindi il Paradigm Shift System che, grazie a un efficace trattamento di snellimento (l’assenza delle animazioni del cambio di shift è probabilmente il cambio più evidente ed efficace), fa sì che le battaglie risultino ora ancora più dinamiche, fluide e gestibili di quanto già non fossero in precedenza. Questa accelerazione dei combattimenti viene messa in scena, poi, dalle Cinematic Action (leggi QTE) che, facendoci premere degli specifici tasti entro un ristretto tempo limite, aggiungono di tanto in tanto una forma di spettacolo visivo alle frenetiche, e frequenti, battaglie del gioco. L’applicazione spinta fino all’assurdo di level cap e ruoli prestabiliti sperimentati nelle peripezie di Lighting, Snow e gli altri l’cie di Cocoon è qui solo un brutto ricordo. In ogni momento potremo cambiare il leader del nostro party. Inoltre, il Crystarium (rimasto praticamente identico nella meccanica rispetto a Final Fantasy XIII ma variato nell’interfaccia utente e reso decisamente più semplice nel progresso) offre molto presto la possibilità di far apprendere tutti i ruoli ai protagonisti, non ne limita in alcun modo lo sviluppo e spinge verso la personalizzazione offrendo, a ogni livello, la scelta sul bonus ottenibile (come un nuovo segmento della barra ATB, un nuovo ruolo, più spazio per l’equipaggiamento e così via).

 

 

 

La vera novità, però, la dà il bestiario di gioco. Il Paradigm Pack, infatti, è il nuovissimo sistema per cui (quasi) qualunque creatura del gioco potrà stringere alleanza con noi e unirsi al gruppo come militante alla causa: è qui che il sistema di evoluzione dà vere e proprie soddisfazioni strategiche nel cercare di forgiare ruoli perfetti per la nostra creatura (ruoli che rimangono i sei visti nel primo capitolo) da sfruttare all’occorrenza. Il nostro famiglio segue però un’interessante sviluppo binario: anche lui, come i due personaggi principali, sviluppa le proprie capacità offensive, difensive o magiche tramite il Crystarium, ma l’apprendimento di abilità specifiche e attributi passerà attraverso la fusione con altre creature: le forme semplici di ognuna di loro non caratterizzano certo grandi alleati, mentre giungendo a una certa complessità compositiva (purtroppo, solo le abilità verranno apprese dalla creatura di nostra scelta, non ci sono né metamorfosi né ibridazioni nel processo di assimilazione) possono diventare addirittura figure indispensabili, come è il caso degli enhancer con Haste che, incredibilmente, non è una magia eseguibile dai protagonisti. I famigli, insomma, riabilitano una profondità strategica notevole, condita con quell’abbozzo di follia raggiungibile solo in titoli passati e ben meno equilibrati di quelli presenti nel panorama contemporaneo: la potenza distruttiva che è possibile raggiungere è spinta fino alla sciarada, con quel gusto singolare per l’esagerazione che si raggiunge con le Synchro, attacchi speciali propri delle creature attivabili esclusivamente dopo il riempimento di un’apposita barra e che sembrano fare le veci delle evocazioni, vere grandi assenti dell’opera. 

 

Mog Clock ed Encounter Circle sono i nomi di ciò che si può osservare mentre, fin troppo banalmente, si verrà assaliti dai nemici che hanno la bella pensata di comparire dal nulla quando tutt’altro ci si sarebbe mai atteso. L’Encounter Circle circonderà allora il nemico e, capitati al suo interno, si potrà decidere di ingaggiare il combattimento (intervenendo a nostro vantaggio colpendo il nemico stesso prima ancora di essere trasportati nella modalità battaglia) o tentare di scappare: è qui che entra in gioco il Mog Clock, segnalatore che, tramite una griglia di colori che passa dal verde al rosso indica il grado di pericolo a cui siamo sottoposti fino allo scadere del tempo, in cui non ci sarà altra scelta se non quella di imbracciare le armi. Una funzione che, alle volte, è quasi del tutto inutile: la frequenza dei combattimenti, soprattutto nei numerosi luoghi angusti dove non sarà possibile effettuare alcuna ritirata, è snervante e un netto passo indietro rispetto a quanto visto nel predecessore o anche solo nel più recente Final Fantasy Type 0.

 

 

 

A livello audiovisivo, Final Fantasy XIII-2 non può che definirsi come un successo riuscito solo a metà. Beninteso, l’ultimo lavoro di Square-Enix è incantevole da vedere con le sue sofisticate animazioni, le visionarie suggestioni che invocano i suoi scenari, le sue figure poligonali modellate con sincera dedizione e sapiente maestria. Eppure, volgendo lo sguardo a colui che lo ha preceduto si finisce, con tono piuttosto meditabondo, a cercare di trovare la soluzione a quel qualcosa che proprio non funziona. Del tutto inutile dichiarare che il fatto è dovuto alla poca presenza di sequenze prerenderizzate (cinque in tutto), perché non è così. Il problema di quest’opera è probabilmente l’eccesso. Sullo schermo si mescolano una infinità di immagini diverse, non affini né tantomeno congruenti.

 

La sovrabbondanza spaziale del mondo di gioco, baloccato tra spazio e tempo, fa sì che l’universo che si produce nella sua diversità non riesca a mostrarsi in alcun modo omogeneo e plausibile. Una sovrabbondanza, in aggiunta, colpevole e manipolatrice, sia tecnicamente, nel lusingare il frame rate di gioco provocando cali di prestazione non troppo occasionali, sia strutturalmente, nel giocare solo sull’illusione che la sua sia un’abbondanza di materiale celebrata dalla quantità: il massiccio ricorso al riciclo di materiale è, purtroppo, più che evidente. Non solo si fa una fatica imbarazzante a ricordare un solo nemico, tra i circa 150 presenti, che non avesse già fatto la sua comparsa in Final Fantasy XIII, ma il gran numero di aree perlustrabili, in realtà, è puramente fittizio: le stesse aree verranno messe a nuovo grazie a differenti scelte cromatiche e differenti disposizioni degli NPC, riarredate per l’occasione e in taluni casi riflettendo le nostre azioni lungo la storia. È così che questo sovraccarico, unito al persistente riutilizzo di elementi, fa avvertire una sensazione ingombrante fatta di eccezioni, di contrasti, di contraddizioni che nulla hanno a che vedere con il capostipite, in definitiva tecnicamente molto più stabile e stilisticamente ben più elegante. 

 

 

La colonna sonora del gioco è, detta barbaramente, nient’altro che un semplice seppur efficace accompagnamento sonoro all’opera. Tra alti e bassi (e tra questi ultimi non possiamo non citare la tristemente famosa Crazy Chocobo, un punk remix dal dubbio gusto del famoso tema che quei pennuti sprovveduti proprio non si meritavano), le tracce che compongono la colonna sonora hanno se non altro il potere di farci provare in modo più empatico la determinazione di Serah nel trovare il suo amato e la sorella scomparsa, la solitudine e il triste destino che hanno accompagnato Noel e in definitiva il senso di impellenza e angoscia che aleggia nelle parti più profonde della loro storia. 

 

Il punto critico è che, in tempi recenti, Final Fantasy ha difficoltà a trovare una collocazione come enunciazione chiave, autoritaria. Un tempo vero e proprio avvento, ora la sua stessa uscita sugli scaffali non è più una cosa tanto sorprendente. In particolare, Il senso di rilevanza artistica che la sua componente audiovisiva ha procurato al mondo dell’intrattenimento, e più in particolare al mondo del videogioco – e che non scomparirà comunque così presto – non sembra essere più essere associata ai creativi Square-Enix. La nuova politica dell’azienda pare essere volta a compiacere un’utenza sempre più pretenziosa e monodirezionale, piuttosto che impressionare nel manifestare la propria individualità artistica. Una politica che ha persino portato grandi risultati, come è il caso, almeno parzialmente, di questo gioco: Square-Enix ha mostrato forse per la prima volta la volontà di correggersi prestando attenzione alle critiche e procedendo di conseguenza. Rimane, però, l’impressione che allo stato attuale sappia sì confezionare un gioco eccezionalmente curato, ma che in qualche modo non emoziona come promette. 

 

 

In breve

 

Un viaggio nel tempo stuzzicante, anche se un’idea un po’ datata e soggetta a limitazioni. Due soli protagonisti, che fondano la base del divertente sistema Paradigm Pack. Il ritorno del raffinato sistema di combattimento del predecessore, snellito, e le qualità di un gameplay senza particolari insufficienze. Un prodotto narrativo marginale, che concorre a una sovrabbondanza di elementi in parte riciclati. Graficamente eccelso, eppure formalmente inferiore al predecessore. Quale strana alchimia può avvenire tra questi e altri elementi, affiancati uno accanto all’altro come quadri di un’esposizione? Ebbene, ciò che ne affiora è l’arbitrio di un capriccio, che fiorisce nonostante ornato di incongruenze, che diverte ma lascia un sapore spiacevole, che simboleggia vagamente la parabola che sta attualmente attraversando la serie. Tuttavia il gioco, anche per questo, anzi, proprio per questo, ha una sua tenue e bizzarra personalità, anche se non dispone della passionalità né dell’eleganza di Final Fantasy XIII. 

 

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