Life is Strange: “Wavelengths” – Recensione

Recensito su PlayStation 5

Life is Strange: True Colors, del quale potete leggere la nostra recensione qui, ci aveva trasportato a Haven Springs, nei panni di Alex, una ragazza che voleva da un lato chiudere con il proprio passato ingombro di solitudine e isolamento, dall’altro dare il via a una nuova vita, magari con quel fratello dal quale la vita la aveva allontanata; fra le persone di questo nuovo luogo da chiamare casa ricordiamo Steph Gingrich, personaggio già incontrato in Life is Strange: Before the Storm e che aveva lasciato, pur con una breve apparizione, la sua impronta sui cuori di molti.

Wavelengths, presente nelle edizioni Deluxe e Ultimate di True Colors, ci permette di passare un po’ più tempo con Steph, in quattro momenti chiave della sua permanenza a Haven Springs.

Life is Strange: Wavelengths

Conseguenze e Scelte

Partiamo con una necessaria premessa: anche se meccanicamente è un classico LIS, motivo per il quale sorvoleremo sul gameplay di base, rimasto invariato rispetto a True Colors, Wavelengths è isolato dal contesto di quanto mostrato in Life is Strange: True Colors, ma ciò non significa che non ne dipenda dal punto di vista narrativo. Visto anche il formato con il quale è presentato (come DLC del gioco, non stand-alone, quindi), si presume che voi abbiate giocato e portato a conclusione la storia principale di Alex.

Proprio per questo, in nome del rispetto che vi portiamo, alcuni elementi di questa recensione non possono esimersi da SPOILER di alcuni degli eventi descritti nei vari Life is Strange.

Life is Strange: Wavelengths

Ok, partiamo.

Non appena avviato il gioco, ci verrà subito chiesto se abbiamo affrontato il primo Life is Strange e quale è stata la nostra decisione riguardo il destino della città di Arcadia Bay. Da qui in poi considerate che chi vi parla ha condannato la città, decidendo di salvare Chloe e permettendo almeno una remota possibilità di crescere alla relazione con Max. Non sono enormi gli effetti di quella scelta nel contesto di Wavelengths, ma sono tangibili in ciò che Steph è, e nel modo in cui si pone rispetto al suo passato.

Stagioni di Vita

La struttura narrativa di Wavelengths è suddivisa in quattro parti, poiché seguiremo quattro diversi momenti della vita di Steph dopo il suo arrivo a Haven Springs e, in particolare, dopo aver accettato il posto di presentatrice radio di KRCT, “La migliore – e unica – stazione radio di Haven”.

Il posto lo conosciamo, in fondo la prima interazione di Alex con Steph è avvenuta proprio qui e, soprattutto vista nell’ottica di chi, come chi vi scrive, ha perseguito il desiderio di intraprendere una relazione d’amore con la ragazza, rappresenta un po’ dove tutto è partito.

Life is Strange: Wavelengths

Per chi impugna il pad il negozio di dischi è un posto noto, quindi, un ambiente confortevole e che abbiamo imparato a conoscere; per Steph, è una nuova avventura, un posto dal quale ricominciare dopo un rapporto chiusosi non nei migliori dei modi con il conseguente scioglimento della band della quale faceva parte, ora solo un ricordo che, per quanto recente, sembra già sostituito dal rancore.

Wavelengths ci mostra che anche per Steph, come per Alex prima (cronologicamente dopo) di lei, Haven Springs è un’opportunità; come l’adagio insegna, però, possiamo scappare da un “dove”, anche da un “chi”, ma non possiamo mai veramente scappare da noi stessi. In queste quattro stagioni narrative, infatti, andremo ad esplorare, fra un annuncio radiofonico e un super-orecchiabile album indie, la psiche di Steph, in un lavoro introspettivo che sembra quasi contrario a quanto fatto in Life is Strange: True Colors.

Se sulla carta, almeno a chi si avvicina al franchise solo ora, potrebbe sembrare che la mancanza dei poteri da parte della protagonista (in parte l’esperienza pilastro della serie) sia un rischio e motivo di mediocrità. In senso pratico Wavelengths si rivela invece essere un esercizio narrativo che ci dimostra ancora di più la potenza narrativa di Deck Nine: Steph non ha poteri telecinetici, o di empatia, ed è proprio per questo che la sua storia è un po’ la nostra.

Life is Strange: Wavelengths

Is this… a bottle episode?

Un’ulteriore sottolineatura di questa innata abilità da parte del team di sviluppo di raccontare storie all’apparenza straordinarie ma dolorosamente ordinarie, è il contesto nel quale la storia si svolge: tutto infatti è narrato tra le quattro pareti del negozio di dischi dal quale Steph conduce e gestisce la trasmissione radiofonica.

Non mancano le interazioni con “il mondo esterno”, ma sono tutte mediate, tutte ovattate, in qualche modo, dallo strumento che le permette: dallo smartphone interagiremo con alcuni amici e concittadini tramite l’app di messaggistica, come in Life is Strange: True Colors, ma ci sarà anche un’app di incontri a movimentare le piccole pause offerte dal lavoro di radio-host.

Life is Strange: Wavelengths

La meccanica introdotta con questa app è semplice ma funzionale: una sorta di swipe che gli aficionados di Tinder e dintorni conosceranno fin troppo bene, ma anche in questo contesto non c’è leggerezza nella sua resa videoludica: pur sapendo che stavamo interagendo con profili finti, all’interno di un’app finta, nel contesto di un gioco (di conseguenza, “finto anch’esso”, per così dire), ci siamo soffermati a leggere le bio di ognuna delle ragazze presenti sull’app, immaginandoci Steph e tentando di matchare effettivamente solo con qualcuno che poteva “interessarci”.

Alla stregua di una digitale caverna di Platone, nella quale però siamo prigionieri volontari (ciao Sospensione dell’Incredulità, piacere di conoscerti -ndr), la realtà di Steph, la sua voglia di ricominciare anche attraverso la conoscenza di qualcuno di nuovo, il suo bisogno di trovare un nuovo baricentro, sono le uniche cose che importano, le uniche cose che ci interessano… e per un breve istante le uniche cose che esistono.

Interazioni riflesse

Nel contesto della claustrofobia narrativa che Wavelengths ci mette in moto davanti agli occhi sorge forse l’unico difetto della produzione: la presenza fisica di qualcuno con cui interagire. Il parallelismo con le situazioni odierne di pandemia e affini sono talmente ovvie da non dover nemmeno essere citate, però non si può non percepire un legittimo senso di solitudine, nei panni di Steph. È un sentimento che diventa idiosincratico in poco tempo, perché ad esempio interagendo con il tabellone dei punti del Calcio Balilla potremo scegliere di rivivere la partita con Gabe della sera prima, Gabe che però noi non vediamo ma sentiamo solamente.

Ecco che quindi il “sentirsi sola” di Steph si sminuisce per lei ma si accentua per noi, in un dualismo che sappiamo essere studiato ma che, anche solo per poco, troviamo “ingiusto” nei nostri confronti, come se la vita di Steph stesse facendo più uno smacco a noi che la “giochiamo” che a lei che la vive.

Life is Strange: Wavelengths

All’interno della cabina di regia, oltre all’ovvia possibilità di scegliere che disco (far) ascoltare e all’interazione con quotidiani amenicoli (come Lava Lamps e Bobble Head varie), ogni tanto ci ritroveremo a rispondere al telefono: Steph infatti riceve, all’inizio della partita, una chiamata da parte di un cliente del negozio di dischi che le chiede di mettergli da parte alcuni album destinati alla fidanzata. Senza troppi peli sulla lingua, Steph capisce dalla selezione di dischi che la fidanzata in questione sta probabilmente pensando di rompere il rapporto, previsione che viene confermata dalla chiamata successiva, fatta proprio dalla fidanzata che le attribuisce… dei poteri psichici. Sì, fa sorridere, ma la fidanzata sostiene che Steph avesse capito che lei voleva lasciare il suo ragazzo ben prima che lei stessa l’avesse capito.

Da questo ironico momento Steph si troverà a ricevere, in diretta radio, telefonate di persone che richiedono la sua “consulenza”: sapete però qual è lo straordinario strumento tramite il quale decide di aiutarsi nel lavoro predittivo? Un D20, figlio della sua passione per D’n’D (già mostrata e dimostrata in Life is Strange: Before the Storm).

Identità

L’avrete notato, non stiamo andando nel dettaglio di cosa succede in ognuno dei quattro momenti narrativi dei quali Life is Strange: Wavelengths si compone, perché vogliamo che li scopriate ed esploriate in autonomia, però vi dobbiamo confessare un altro enorme lato positivo del titolo: il modo in cui Steph rende man mano più “suo” l’ambiente in cui vive è straordinariamente naturale, al pari di quando da piccoli riempivamo la cameretta di poster, o ora di Collector’s Edition.

Ovviamente Wavelengths non dimentica l’appartenenza di Steph alla comunità LGBTQ+, e lo fa nel delicato modo che più le si addice, realistico perfino nel modo in cui comprende (senza giustificare) la parziale ottusità degli abitanti più vecchi di Haven Springs anche solo di fronte all’acquisto di una spilla o di una maglietta che supporti la comunità e la legittimità delle sue richieste.

Life is Strange: Wavelengths

“Pride” assume qui molto del significato datogli nei moti di Stonewall del 28 Giugno 1969: Steph nel corso dell’avventura imparerà a riconoscere, legittimare e abbracciare la sua identità in ogni suo aspetto perché, come diceva l’attivista L. Craig Schoonmaker,

Chiunque può essere orgoglioso di ciò che è, e questo non può che renderli più felici.

A fare da contorno all’intera esperienza, ovviamente, le sonorità che ormai ci aspettiamo da Life is Strange: in questo aspetto, a caricare il pugno di emozioni sempre rigorosamente on-point ci sono artisti del calibro di Girl in Red, Alt-J, Portugal, The Man, Foals, Hayley Kiyoko, Maribou State, per una soundtrack all’altezza del resto del gioco.


Life is Strange: Wavelengths ci fa tornare a Haven Springs dopo le travagliate avventure di Alex in una parentesi narrativa ambientata un anno prima di quelle vicende e che ci vede ripercorrere 4 momenti della permanenza di Steph in città, il tutto raccontato tra le mura del negozio di dischi nel quale lavora come DJ e conduttrice. Le meccaniche rimangono quelle del franchise, qui scevre di superpoteri ma non meno potenti a livello emotivo e narrativo. La storia di Steph è un po’ la storia di molti di noi, sempre a cercarci un angolino di mondo da chiamare casa, e una tribù nella quale sentirci liberi di essere noi stessi. Wavelengths è un’esperienza che può prescindere da quanto avvenuto in Life is Strange: True Colors, ma vi suggeriamo di affrontarla solo dopo aver completato la “campagna principale” di True Colors. Se c’è una cosa che Deck Nine e la storia di Steph ci insegnano è di non dover mai chiedere scusa per ciò che siamo, di abbracciare anche gli aspetti più spigolosi di noi stessi e di guardare alla luce che ci aspetta oltre l’oscurità di ogni fatica, sfortuna o disavventura. C’è un posto per noi, su questo pianeta e in questa vita, e c’è un gruppo di persone che potremo chiamare famiglia, qualsiasi cosa accada: non smettete di cercare.

8.5

Pro

  • Steph è un personaggio incredibilmente carismatico e interessante
  • Un "episodio bottiglia" in grado di fare molto con poco
  • Dimostra la potenza del franchise, in un microcosmo

Contro

  • L'assenza fisica di comprimari a volte si fa sentire
Vai alla scheda di Life is Strange: True Colors
Ti è piaciuto quello che hai letto? Vuoi mettere le mani su giochi in anteprima, partecipare a eventi esclusivi e scrivere su quello che ti appassiona? Unisciti al nostro staff! Clicca qui per venire a far parte della nostra squadra!

Potrebbe interessarti anche

Lascia un commento