Season: A Letter to the Future – Recensione

Recensito su PlayStation 5

Stagioni, ciclicità, conflitto natura/uomo, quiete prima della tempesta, immutabilità dell’eterno rispetto a noi, memorie sensoriali.

Season: A Letter to the Future

Season: a Letter to the Future è IL gioco che mi ha fatto capire una volta per tutte che a 10, 20, 30 anni da ora sarà più facile tracciare una demarcazione o anche solo delle vaghe e sbiadite linee di confine fra il mondo del gaming prima del 2020 e quello dopo, perché farlo ora è ancora una mossa troppo coraggiosa. No, non è un’altra delle mie inutili pappardelle su come l’isolamento abbia risvegliato primordiali paure e solitudini, ma ciò che voglio raccontarti viaggia su un binario parallelo: il mondo, in quei mesi in cui tutti e tutte eravamo segregati in casa, è tornato a vivere, a respirare.

Ci sono notizie di cieli azzurri nelle città più inquinate, di delfini che nuotano nei canali di Venezia e di animali selvatici che si riprendono le strade vuote delle città di tutto il mondo.

Chiaro, il video dei delfini a Venezia si è rivelato un fake, anche se effettivamente è stato durante il terzo lockdown che alcuni di essi sono stati realmente avvistati nella città marittima, però il concetto di fondo rimane: gli spazi che nel tempo ci siamo convinti essere nostri, ora svuotati e liberi, ci hanno raccontato molto di più DI NOI di quanto abbiano mai fatto quando li abitavamo.

Uno spazio vuoto può esprimersi in molti modi, anche nel leggero terrore dei liminal places che sono sicuro avrai incontrato nei meandri dell’assoluto digitale, spazi fra gli spazi che, già di per sé di transizione, si arricchiscono in nostra assenza di un elemento che è percepibile anche in diversi momenti della breve avventura costituita da Season: a Letter to the Future… l’immutabilità. No, chiaramente non la nostra, ma quella del mondo.

Season: A Letter to the Future

In Season è un sogno premonitore ad avvisare la protagonista e il suo villaggio sperduto fra le montagne che “la Stagione sta finendo”. Non c’è tragedia, in questa profezia, quanto più la realizzazione di una ciclicità che tiene talmente poco conto di noi da non lasciarci altro che la voglia di comprenderla e la realizzazione di non poterlo fare.

Con questa premessa tu che mi leggi probabilmente ti aspetti un gioco drammatico, frutto magari anche della recente coppia di terremoti che ha da poco portato alla morte di circa 1300 persone nelle ultime 24 ore in Turchia e Siria, ma Season: a Letter to the Future si trattiene coraggiosamente dall’essere uno di quei prodotti pieno di speranze che si infrangono, o di esseri umani che si trovano disperatamente di fronte alla propria mortalità. Il titolo di Scavengers Studio vuole invece metterci in mano un potere che è davvero unico nel suo genere, soprattutto nel mondo videogioco.

L’avrai notato, infatti, ti parlo spesso di come i “verbi giocatore” seguano una certa tendenza, in parte giustificata dalla natura stessa del videogioco, power fantasy per eccellenza, dall’altra forse contestualizzata in una certa difficoltà ad uscire dal tracciato (anche titoli come il capolavoro The Last of Us, a livello di meccaniche, se ci pensi sono piuttosto nella norma). Nel giocare Season avrai il piacere di vedere cosa succede quando da quei verbi scappiamo, quando non tutto quello che incontriamo è messo sulla nostra strada per essere distrutto o per contrattaccarci in qualche modo: qui i nostri player verbs sono “testimoniare” e “preservare”.

Season: A Letter to the Future

La nostra protagonista, come ti dicevo, è una giovane ragazza che, bicicletta alla mano e con addosso un pendaglio protettivo creato nei primi momenti di gioco dalla madre (o meglio, dai suoi ricordi), inizia a esplorare la vallata poco fuori dal villaggio, e con essa il “mondo lì fuori”. È inutile negarlo: l’impatto estetico e il mood che Season: a Letter to the Future imporrà sulla tua anima, appena lo inizierai, sono potenti, pur nella loro visiva semplicità.

A questo, aggiungici che tutto quello che avrai per interagire con il mondo sono la tua macchina fotografica e il tuo registratore, ed è tramite essi che il gameplay di Season: a Letter to the Future si mostra ed evolve: non è un titolo nel quale correre dal punto A al punto B, con l’ansia da completismo, quanto piuttosto un prodotto che trascende la famelica fretta del medium per ritagliarsi negli spazi fra gli spazi il suo habitat più franco e vivibile. Fermati a fotografare quel pezzo di acquedotto crollato, o quelle mucche al pascolo; registra il suono della cascata; pedala piano, percependo ogni scricchiolio del piccolo ponte in legno che ti sostiene.

Questi sono i momenti che Season ti vuole regalare, e sono questi i tempi che devi rispettare perché esso sia veramente in grado di parlarti.

Season: A Letter to the Future

Non temere, però, perché la vallata che esploreremo, pronta ad essere completamente sommersa dall’acqua contenuta nella sua diga in procinto di cedere, ha qualcosa da raccontare anche attraverso chi ancora la abita: una madre vedova, che ora deve scegliere se e cosa portarsi dietro di ciò che materialmente (e forse mnemonicamente) le è rimasto del marito; un’artista isolatasi da tutto e da tutti per cercare di produrre qualcosa di cui lei, e non altri/e, possa andare orgogliosa; un monaco buddista che, conscio della fine che si avvicina, è pronto a sparire con il resto della vallata.

Il piccolo ma emotivamente disteso mondo di Season: a Letter to the Future è puntellato di ammassi di pixel che, straordinariamente, ti conquistano e convincono della loro umanità con la stessa velocità con la quale i poligoni di una cascata ti convincono che quella sia effettivamente una cascata: il palcoscenico della sospensione dell’incredulità è costruito in attimi ed è un’impalcatura che, te lo prometto, rimarrà ben salda nel tuo scheletro emotivo ben oltre i titoli di coda.

Season: A Letter to the Future

Non ci sono problemi tecnici dei quali parlarti, non ci sono collezionabili, non ci sono scelte che il game designer in me avrebbe fatto diversamente: c’è sicuramente una colonna sonora e un sound design tanto delicati quanto devastanti nello spazio che ti lasciano per pensare e provare; in questo gioco c’è però anche tanto amore, e non solo amore per la natura, che certo dovremmo provare tutti/e, forse anche di più ora che siamo sul precipizio di una cambiamento forse irrimediabile per questo pianeta, ma soprattutto c’è amore per l’essere umano forse proprio a discapito della sua mutabilità e natura passeggera.

È quasi una chiamata all’attenzione, quella di Season: a Letter to the Future, quasi una preghiera perché si faccia il possibile per salvare questo mondo non tanto per noi, ma per quelli che lo vivranno dopo di noi. Che si sia quindi testimoni di quanto di bello, di buono, di straordinariamente ordinario e di quanto ordinariamente straordinario c’è, attorno a noi: forse servirà a noi per sapere quanto ci stiamo lasciando indietro, a calpestare questo pianeta con la pretesa che tutto risponda al nostro volere e alle nostre ipercostruite necessità; forse servirà a chi queste parole le leggerà fra due generazioni o tre, e avrà un mondo florido che potrà solo immaginare, perso tra l’ora e l’allora.


Season: a Letter for the Future fa qualcosa di straordinario, arrivando a porsi come esperienza imprescindibile in un anno in cui c’è talmente tanto da giocare da rimanerne onestamente tramortiti, ma lo fa con una naturalezza e una delicatezza che è difficile aspettarsi e alla quale è difficile rispondere se non con ammirazione. Un gioco esplorativo con poche meccaniche, sì, ma che utilizza verbi di gioco finalmente nuovi, e mostra ogni singolo grammo del potenziale di ciò che ancora si nasconde dietro i confini del medium che così tanto amiamo e stimiamo.

9
Un'esperienza tanto semplice quanto imprescinidibile

Pro

  • Il tema umano e ambientale è disarmante
  • Emotivamente chiarisce sin da subito cosa vuole essere e raccontare
  • Vive nei momenti di respiro, negli spazi fra gli spazi

Contro

  • La mancanza di obbiettivi specifici potrebbe essere disorientante
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