Vane – Recensione

Recensito su PlayStation 4

Sin dalla sua presentazione durante il Tokyo Game Show dell’ormai lontano 2014 Vane ha attirato su di sé l’attenzione di quella fetta di pubblico sensibile a quel tipo di produzioni indie dedite a esprimersi attraverso una narrativa silenziosa e uno stile visivo particolare. Un’attenzione magnetizzata anche dallo stesso team di sviluppo di Friend & Foe, costituito da ex componenti di studi importanti come Team ICO e Guerrilla Games. Già dal trailer di presentazione si notò un distinto riverbero visivo delle opere di Fumito Ueda, un particolare che contribuì ad accendere gli entusiasmi.

Per completare il gioco ci sono voluti più di quattro anni a causa di uno sviluppo non proprio liscio, che in particolare ha visto l’uscita dal team di Rui Guerriero – ideatore e forza creativa del titolo – con un’esperienza di artista in Shadow of the Colossus e The Last Guardian. Tale perdita ha sicuramente influito anche sull’ispirazione di Vane, un titolo che si presenta come artisticamente affascinante ma ludicamente poco focalizzato.

Siamo in uno scenario apocalittico, un mondo in rovina flagellato da un’immane tempesta che peggiora ogni minuto di più, scagliando in aria macerie e rottami. Prendiamo il controllo di una figura imbardata che tiene con cura tra le braccia un fagotto e percorriamo un tragitto accidentato dalla tempesta sempre più minacciosa. Finalmente arriviamo alle porte di un rifugio, ma una figura mascherata ci respinge, chiudendo dietro di sé l’entrata. Senza più scampo, siamo raggiunti dalla tempesta e trascinati via dal vento.

Nella scena seguente veniamo calati nei panni di un corvo e spinti a esplorare gli ampi spazi del mondo attorno a noi, desertico e apparentemente vuoto. Dopo non molto scopriremo che venendo a contatto con un misterioso materiale dorato possiamo riacquistare nuovamente le nostre sembianze umane e inoltrarci in luoghi prima inaccessibili. Inizia così il criptico viaggio del giovane mutaforma.

L’avanzamento di Vane può ricordare opere come Ico, Journey e Rime, e come loro è definito da uno spiccato minimalismo e una narrazione silente e implicita. Il gioco non vuole rispondere alle curiosità che possono sorgere al giocatore, ma piuttosto si limita a usare un linguaggio visivo simbolico e metaforico per stimolare la sua interpretazione non tanto su quello che sta succedendo, ma su ciò che rappresenta. Una scelta stilistica indubbiamente affascinante, ma non adatta a tutti i gusti. Se non siete in vena di soffermarvi a pensare, a trovare un messaggio in quella che comprensibilmente sembrerebbe una vicenda senza senso e priva di sostanza, vi sconsigliamo di imbarcarvi in Vane, dato che rimarrete con più dubbi che altro.

Vane

Già dai primi trailer uno degli elementi che sembravano far distinguere Vane da altri indie definiti walking simulator era la presenza di enigmi ambientali da risolvere sfruttando le due forme del protagonista. Gettandosi da grandi altezze il nostro alter ego si trasforma automaticamente in corvo, e in questa forma è libero di esplorare quasi totalmente gli ambienti, oltre che poter interagire con alcuni elementi richiamando altri corvi. Toccando il materiale dorato, accessibile solo in determinate zone, può assumere invece la forma umana e spostare oggetti e porte, azioni precluse nella sua forma volatile.

I ragazzi di Friend & Foe hanno volutamente strutturato le aree in modo tale che l’avanzamento non fosse scontato; il giocatore è spronato a esplorare e osservare attentamente l’ambiente intorno a sé per capire da solo cosa fare. Gli autori hanno comunque disseminato alcuni indizi per non lasciarci totalmente soli: alcuni oggetti e zone infatti si fanno notare per un luccichio visibile anche da lunghe distanze. Inoltre le zone utili all’avanzamento sono risaltate in modo intelligente tramite il level design, l’utilizzo dell’illuminazione ambientale e il comparto sonoro; un modo per indicare implicitamente una direzione ai giocatori più attenti, senza condurli troppo per mano.

Vane

Il tutto sarebbe sicuramente interessante e degno di lode, se solo il gioco avesse una curva coerente di difficoltà e uno sviluppo virtuoso delle dinamiche di gioco. Quello che succede invece è che dopo la prima metà dell’avventura l’alternanza tra forma umana e corvo viene lasciata in secondo piano in favore di altri meccanismi più lineari; più ci si avvicina all’epilogo della storia e più Vane diventa sempre più un walking simulator vero e proprio, in cui al giocatore viene richiesto appena di eseguire un’azione o un salto nel punto giusto per proseguire.

Gli enigmi sono incentrati più sull’esplorazione e la capacità di intuito che sul ragionamento vero e proprio; il problema è che in diverse occasioni ci si trova a dover percorrere lunghe distanze senza meta, e nella forma umana il protagonista è lento e impreciso nei controlli, seguito per di più da una telecamera davvero capricciosa.

Paradossalmente mentre la trama continua a montare il suo climax, e con esso delle soluzioni ambientali e visive sorprendenti, la componente ludica si appiattisce sempre di più. Intendiamoci, non ci sarebbe niente di male a proporre un gameplay essenziale simile a colleghi come Journey o ABZÛ, ma le premesse di Vane facevano pregustare ben altro. La sensazione è quella che gli autori non abbiano saputo sviluppare le loro stesse idee di game design attraverso tutto l’arco del gioco, che pure non è certo eccessivamente lungo nelle circa quattro ore necessarie a completarlo.

Vane

Nel comparto visivo di Vane è chiara l’influenza delle atmosfere viste nei titoli diretti da Fumito Ueda quali The Last Guardian. La direzione artistica utilizza molto bene uno stile grafico minimale, ammaliando il giocatore con un senso di mistero e stimolando l’immaginazione verso i suoi ambienti surreali e onirici. Gli scorci di deserti immensi o di grotte dai particolari giochi di luce sono tanto semplici nel loro stile low-poly quanto spettacolari al colpo d’occhio, al punto di far sembrare il gioco come un enorme artbook in movimento.

Peccato che a tale ricercatezza artistica non corrisponda un’altrettanto buona solidità tecnica. Nonostante l’utilizzo dell’ottimo engine Unity, ogni tanto ci siamo trovati di fronte a fenomeni di calo di frame rate e compenetrazione di poligoni; particolarmente ricorrente ad esempio l’effetto di sparizione di pareti nei casi in cui la telecamera ci finisca addosso. I casi peggiori però riguardano sicuramente veri e propri bug in cui ci siamo imbattuti, che ci hanno costretto a ricominciare la sezione di gioco dall’ultimo checkpoint.

Vane


Vane è sicuramente un titolo che dovrebbe essere tenuto d’occhio dagli amanti degli indie essenziali, intimi e artisticamente ispiranti. Ma è difficile raccomandarlo a chiunque altro. La vera occasione mancata dell’avventura di Friend & Foe è stata quella di non aver saputo sviluppare le idee con cui era partito. Il graduale appiattimento delle sue stesse dinamiche, unite ai vari problemi tecnici, di controlli e telecamera, compromettono la sua solidità e l’immersione nel suo pur fantastico mondo.

6.4

Pro

  • Artisticamente suggestivo
  • Narrativa simbolica e profonda
  • Qualche buona idea di design

Contro

  • Troppo criptico per i più
  • Gameplay disomogeneo
  • Difetti tecnici snervanti
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