The Deer God – Recensione

The Deer God

Anima mia, torna a casa tua!

Sarà una presa di posizione decisamente anti-animalista, da bracconiere, ma che qualcuno abbatta quel cervo, please. Non soddisfatto di aver digitalmente torturato i videogiocatori cresciuti a pane, tastiera e Steam, The Deer God torna infatti a crogiolarsi alle luci della ribalta su Xbox One, sotto le mentite spoglie di gradito omaggio Games with Gold. Un secondo lascito di flatulenze degne del miglior Boogermantargato Interplay, un carico di abominevole sbobba giocosa, mascherata da opera d’arte. The Deer God è la peracottara aggregazione degli stilemi tipici del platform e delle sfumature ludiche di altri generi, tra i quali spiccano quello dei giochi di ruolo, dei survival e dei roguelike. Una delirante accozzaglia di derivazioni binarie che anziché aggiungere qualcosa alla cacofonica opera, incentivano l’homo ludens a liberarsi delle proprie mutande e a spalancare le proprie natiche nel destabilizzante tentativo di riprodurre il riluttante verso del dannato cervo, coordinando le proprie emissioni gassose anali.


Inno alla morte

The Deer God principia con la morte dello sprezzante cacciatore che, a causa di un Dio cervo che proprio non poteva fare a meno di salvarlo, lo riporta in vita. Sotto forma di cervo, ovviamente. L’incipit del gioco, profondissimo, per carità, serve come preambolo narrativo a quella che è la parte giocata vera e propria. Una produzione fondata sulla perenne peregrinazione di questo animale cornuto lungo una serie di ambientazioni generate casualmente, un percorso frattale all’interno del quale è possibile rintracciare una serie di “blocchi”, invarianti nel tempo e presenti in ogni run, che individuano una quest, piuttosto che un puzzle da risolvere tramite l’impiego di pochissima materia grigia.Qualora il giocatore dovesse inavvertitamente saltare una delle poche sezioni essenziali alla piena espiazione dei propri peccati, The Deer God pensa bene di riproporre ogni tre per due la medesima area “sensibile”, palesando a volte un malcelato backtracking, funzionale al solo allungamento del brodo.


Teenage deertbag

Le natiche dell’ei fu cacciatore si muovono ergo ad un ritmo vorticoso, dettato dalla necessità di correre, correre, correre sempre. E se il pensiero laterale manca, contrariamente alle aspettative, il titolo è pregno di item e abilità. Peccato che la presenza di cotanto ben di dio (cervo) venga resa praticamente vana, considerando l’inutilità di gran parte degli oggetti ottenibili. L’intero arsenale di consumabili viene mortificato tanto dalla struttura stessa del gioco, quanto dall’incredibile monotonia del gameplay, che siano fiorellini di campo, funghi curativi, uova di tartaruga o corna espiantate direttamente da altri belve. La redenzione del cacciatore passa tuttavia pure attraverso un sistema di valutazione comportamentale che attribuisce punti quandunque ci si prodighi di uccidere una delle molteplici ferali bestie popolanti la fauna di The Deer God, premurandosi di sottrarne altrettanti in caso di animalicidi perpetuati ai danni delle creature più indifese.


Questione di (m)ano

L’implementazione del trascorrere del tempo, palesata mediante l’alternanza del giorno e della notte, apre le porte all’introduzione di un sistema di crescita che influenzerà tanto l’estetica, quanto le capacità e le statistiche del cervo. L’obbligatorio monitoraggio di tre parametri vitali, la salute, la fame e la stamina, costringerà il player a fagocitare abbondantemente le vettovaglie offerte dalla fauna popolante la digital creazione. Uno screening costante che richiede però un livello di attenzione sinceramente ridicolo, alla stregua di quanto si verifica nel corso dei combattimenti, davvero troppo elementari. Una serie di scontri decisamente nauseanti nella loro intrinseca ripetitività, stomachevoli quanto basta per spingere ad imbracciare il fucile, entrare nel gioco e porre fine alla sgradevole mattanza perpetuata dal galoppante quadrupede ai danni dei neuroni dell’homo ludens. E poco importa che graficamente The Deer God trasudi stile, grazie al connotante utilizzo dei pixel tridimensionali: l’estrema fragilità dell’intero comparto ludico spegne ogni possibile entusiasmo derivante da un’estetica curata e particolare.

Abbandonate il cervo al suo destino, please.

 La mia vicina di casa. Dotata com’è di due “argomenti” abbastanza importanti, per anni ha rappresentato il sogno bagnato di gioventù. Ma il timido ego ha sempre preso il sopravvento: mi mancava qualcosa che mi costringesse a prendere coraggio, sfondare il giaciglio e farla mia. Poi è arrivato The Deer God.

Mai ho sperimentato sensazioni disturbanti come quelle provate insieme alla produzione di Crescent Moon Games. “O la depressione a vita, o la copula”, pensai. Entrando in berserk mode, in tre virgola cinque secondi mi son ritrovato a giacere assieme a quella reincarnazione divina rappresentata della mia dirimpettaia, fornicando neanche fossi un coniglio. Grazie, The Deer God, grazie.

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