Elden Ring Nightreign Provato
Abbiamo provato Elden Ring Nightreign, nuovo spin-off cooperativo della pluripremiata saga di From Software ed ecco il nostro parere.

Con il suo annuncio ai TGA 2024, Elden Ring Nightreign ha destato notevole scalpore in quanto prima grande incursione di FromSoftware all’interno del settore dei titoli multiplayer cooperativi, in controtendenza rispetto alle varie opere precedenti della software house nipponica.
Contemporaneamente, Nightreign risponde ad una necessità espressa più volte dalla community: quella di avere una componente online maggiormente calibrata, estesa all’intera esperienza di gioco e non solamente ad una serie di circostanze limitate, concepita in modo più profondo e stratificato.
Il nuovo prodotto dello studio potrebbe non rispondere completamente a queste richieste, che d’altronde si riferivano al filone principale dei soulslike, ma rappresenta ugualmente un passo in avanti in tale direzione. Inoltre consentirebbe a Miyazaki e i suoi di affinare e potenziare le infrastrutture online, mai state cavallo di battaglia della compagnia.
Ora abbiamo potuto avere il primo assaggio del nuovo, particolare progetto di From, durante il network test svoltosi recentemente e siamo stati in grado di provarne l’inedita struttura, mirata ad asciugare la progressione tipica del genere souls in partite di poco più di una quarantina di minuti. E questo è il nostro parere.
La struttura di Elden Ring Nightreign
Già avevamo in parte analizzato la struttura di Elden Ring Nightreign in un precedente articolo a riguardo (qui il link), tuttavia grazie al network test abbiamo ottenuto maggiori informazioni riguardo la stessa ed in particolare abbiamo scoperto fin dove giunge la componente randomica svelata mesi fa dal team.
Il gioco si divide in otto parti differenti, ognuna culminante con una grossa bossfight completamente originale e preparata appositamente per il titolo. Di queste all’interno della demo era disponibile solo la prima nota con il nome di “tricephalus” correlato alla creatura posta al termine delle tre giornate
Nelle varie partite svolte abbiamo riscontrato la presenza di due soli seed: ove variava il punto di partenza, i boss al termine delle prime due giornate e la collocazione delle loro arene. Non ci troviamo davanti ad un mondo generato proceduralmente ad ogni istanza quanto ad una selezione di mappe costruite a mano.
La maggior parte della varietà, dunque, sarà legata all’aleatorietà dei vari drop: di equipaggiamenti, talismani e potenziamenti. Se ciò da una parte annulla il rischio di disastri nel level design dall’altra può ben presto portare alla cristallizzazione di strategie specifiche ed affinate fino al millimetro, dunque, alla ripetitività.
Nightreign doveva trovare un equilibrio tra caso e artigianalità, tale da non rischiare storture eccessive in enemy placement e disposizione delle location ma evitare di riproporre soluzioni costanti. Il risultato, purtroppo, sembra fin troppo conservativo e già verso la fine del test erano apparse alcune routine assai più utilizzate di altre.

Se nel giro di una manciata di ore ed in mancanza di articoli a riguardo, la fanbase era già riuscita ad ottimizzare i propri percorsi attraverso Plagaride è certo che, una volta uscito il gioco completo, finiranno per trionfare una limitatissima quantità di possibilità a detrimento di tutte le altre.
La presenza di spawn fissi, per riguarda i boss ed i giocatori all’inizio della run, porta a concentrarsi soprattutto sulle sfide nelle immediate vicinanze di tali location, mentre i luoghi più lontani vengono completamente abbandonati a loro stessi. Abbiamo visitato alcuni accampamenti decine di volti mentre in altri posti non siamo pressoché mai stati.
Ciò nasce da un errore di design potenzialmente assai pericoloso: la scarsa diversificazione dei premi connessi ai vari scontri. Poiché il loot è, almeno all’apparenza, pressoché totalmente casuale, il giocatore è spinto a cercare di massimizzare il numero di boss sconfitti e di casse aperte e non sceglierne alcuni per motivazioni specifiche.
Legare una serie di unicità a situazioni diverse avrebbe spinto a variare la propria strategia a seconda della build scelta o dell’evolversi della partita. Così invece, il gioco si tramuta in una corsa contro l’orologio ove il percorso che condensa più potenziamenti possibili nel minor tempo è sempre il migliore e generalmente il medesimo.
Non vi è, inoltre, nessuna ragione di esplorare strutture più vaste o attaccare boss erranti più complessi, le prime portano a perdere tempo e ai secondi non corrispondono vantaggi proporzionali al rischio. Perché mai i giocatori dovrebbero abbattere un nobile sacriderma quando pochi passi più in là vi è un umile mob glorificato che concede buff simili.
Insomma, all’uscita del gioco finale, qualora le cose non dovessero cambiare, potrebbero emergere disparità eccessive tra luoghi fin troppo frequentati ed altri da evitare. In un titolo con tale struttura ma senza mappe randomiche, un’ulteriore riduzione della varietà potrebbe essere veramente fatale.
Le classi e il bilanciamento
All’interno del network test abbiamo avuto l’occasione di provare quattro delle otto classi che si troveranno nel prodotto finale. Anche la scelta di abbandonare la classica progressione del personaggio in favore di archetipi predeterminati e dallo sviluppo lineare, nonostante possa far storcere il naso ad alcuni fan di lunga data, appare quasi obbligata.
Il tempo limitatissimo a disposizione dei giocatori è a malapena sufficiente a percorrere la mappa e non consente in nessuna maniera di riservare spazio alla pianificazione di build. Insomma, la semplificazione pur non concedendo eccessiva libertà (riservata, invero alla scelta delle armi) si innesta bene su un sostrato calibrato per partite di esigua durata.
Ben più difficile da giustificare, invece, è lo sbilanciamento mostruoso che intercorre fra i personaggi presentati, soprattutto in virtù della scarsa mole di elementi da far quadrare e del pieno controllo esercitabile dallo studio sugli stessi. Per spiegare con precisione le ragioni di ciò è prima necessario presentare le classi in dettaglio.
Il Wylder è una scelta dalla curva di apprendimento piuttosto permissiva, classico guerriero armato di spadone, dalle difese alte ma dalla mobilità ugualmente notevole. La sua abilità attiva (legata ad un cooldown) lo dota di un rampino utile per avvicinarsi rapidamente ai nemici o portare quelli più leggeri a sé.
La sua ultimate, invece, disponibile dopo aver arrecato una serie di colpi ai nemici, permette di scagliare un dardo esplosivo dal danno notevole mentre la passiva fa schivare automaticamente un colpo che altrimenti condurrebbe a morte certa. Parliamo, dunque, di un archetipo costruito per i novizi e dal semplice utilizzo, ma ugualmente dotato di una serie di peculiarità.
Ugualmente facile da padroneggiare è la duchessa, fornita di una schivata concatenabile ed estremamente rapida (non dissimile da quella di Bloodborne) e capace di ripetere i danni inflitti al nemico in un breve lasso di tempo grazie alla sua skill attiva. Può, inoltre rendere il party invisibile, sebbene tale mossa abbia funzionalità piuttosto limitate.
Nonostante un’ultimate più umile rispetto alle sue controparti, la duchess possiede quella che è indubbiamente l’abilità attiva più semplice da utilizzare (in quanto richiede solamente un discreto tempismo) e al contempo quella più efficace tra le quattro che abbiamo sperimentato, soprattutto a causa di un cooldown piuttosto rapido.

Ciò finisce per estremizzare in maniera ancor più estrema l’eccessiva superiorità di alcuni status come il sanguinamento che già erano fin troppo efficaci in Elden Ring. Una volta che viene inflitto lo status, infatti, esso può essere raddoppiato una volta per ogni duchessa sul campo, finendo per banalizzare gli scontri e disincentivare qualsiasi build non lo comprenda.
Paradossalmente, le altre due classi: il “guardian”, incentrato sulla difesa e sul crowd control e la “recluse”, maga capace di assimilare gli attributi elementali delle mosse altrui per poi scagliarli come incantesimi offensivi, nonostante siano palesemente più complessi da padroneggiare non risultano affatto più efficaci delle loro alternative.
Il fattore di rischio connesso al loro utilizzo non viene premiato sufficientemente dal titolo e rischia di far gravitare le scelte dei giocatori solo su una manciata di personaggi, ad ulteriore detrimento della varietà. Varietà che in un prodotto con tale impostazione dovrebbe rappresentare l’obiettivo principale del team.
La forza della formula
Leggendo le precedenti righe, Elden Ring Nightreign potrebbe apparire quasi come un enorme fallimento. Invero, la nuova produzione di FromSoftware possiede un indiscutibile potenziale in quanto a vacillare non sono i sistemi fondamentali ma tutta una serie di parametri e di idee di design che possono essere corretti o limati prima dell’uscita.
Se il genere soulslike si è imposto come uno dei più popolari della contemporaneità videoludica, ciò è da attribuire ad un’ampissima serie di qualità intrinseche alla formula ideata da Miyazaki, molte delle quali pur nell’architettura completamente mutata di questo nuovo titolo permangono in tutta la loro efficacia.
Le nuove bossfight sono sbilanciate ma estremamente piacevoli, tra creature inedite, vecchie conoscenze come il demone millepiedi di Dark Souls 1 e nemici già apparsi in Elden Ring: come un Morgott ora dotato di nuove mosse ben più complesse da eludere per meglio adattarsi alle esigenze proprie di Nightreign.
Si assiste, forse, a un eccessivo abuso dei combattimenti multipli, presumibilmente per limitare le classiche vulnerabilità dell’intelligenza artificiale del team nipponico in presenza di più target simultanei. Ciò rischia non soltanto di compromettere la giocabilità in singolo ma contemporaneamente di scadere nella banalità e nella consuetudine.
Da applaudire, invece, è l’importante ruolo che assume la randomicità del loot nello spronare il giocatore ad abbandonare la propria comfort zone e provare equipaggiamenti che nel titolo base non avrebbe mai degnato di uno sguardo. Ed è proprio nell’implementazione delle armi che si esprime una delle più grandi intuizioni dietro lo sviluppo di questo titolo.
Ad evitare che la componente strategica e ruolistica venga asciugata in maniera eccessiva, ci pensano le numerose abilità passive connesse alle varie lame. Ogni arma concede un determinato buff (affinità elementali, recupero passivo dei pv, maggior danno verso specifiche tipologie di nemici) e questi valgono indipendentemente dal fatto che essa stia venendo utilizzata attivamente.
Riempire i sei slot dedicati all’equipaggiamento permette di mescolare diversi attributi (la cui varietà è ancora tutta da saggiare) e creare rapidamente sinergie da utilizzare in battaglia. Il tutto viene ancor più arricchito dai due spazi riservati ai talismani, che si possono ottenere nelle ceste dei grandi forti o uccidendo gli scarabei vaganti per la mappa.
Junya Ishizaki, director di Nightreign e storico level designer dei souls, ha registrato un notevole centro in termini di impostazione della mappa per quanto riguarda i vari shortcut disseminati nelle ambientazioni. Questi non possiedono la raffinatezza formale dei sorprendenti collegamenti nei legacy dungeon, ma ciò che perdono in estetica lo guadagnano in utilità.

Scendere dalle alture, in mancanza di danno da caduta, è estremamente immediato così come è semplice risalirvi grazie alle molteplici sorgenti spiritiche nelle vicinanze e al wall jump. Alcuni percorsi predeterminati e per via aerea consentono, inoltre, di raggiungere aree piuttosto lontane in tempi brevissimi (bisognerà capire quanto ciò sarà funzionale a livello strategico).
Gli stessi punti d’interesse rispondono a quello che è l’imperativo di Nightreign: andare il più velocemente possibile e scelgono strutturazioni piuttosto basilari per evitare che il giocatore vi indugi eccessivamente. Le idee di From, dunque, sembrano essere abbastanza chiare e bisognerà capire quanto di ciò che non va lo studio sarà capace di aggiustare prima della release.
La nuova Roundtable Hold
Elden Ring Nightreign, in piena continuità con la filosofia dei roguelite, evita di vanificare completamente gli sforzi del giocatore in caso di sconfitta. Al termine di ogni run si ottengono una serie di reliquie, ognuna con i suoi vantaggi e il suo colore, le quali possono essere esposte e concedono dei potenziamenti per le partite successive.
Ogni archetipo ha un numero limitato di slot, codificati per colore e dunque tipologia, da mescolare ai buff che verranno ottenuti nei vari playthrough. L’efficacia di questi potenziamenti ci è apparsa tangibile soprattutto nelle prime fasi di ogni partita ma sarà necessario comprendere quanto solida sarà la progressione degli stessi.
Qualora infatti non dovesse esserci grande differenziazione tra ciò che si può ottenere sfidando l’uno o l’altro nightlord o in caso il sistema finisse per rivelarsi troppo povero, si correrebbe il rischio di privare l’esperienza di un forte senso di avanzamento del livello di sfida e delle capacità del singolo giocatore.

Molto in Nightreign dipende ancora da caratteristiche che durante il network test abbiamo saggiato appena o per nulla. Dalla validità di ripetere determinate run una volta sconfitto il boss finale alla varietà dei contenuti originali, dal netcode al bilanciamento, FromSoftware avrà molto da fare prima dell’uscita.
Elden Ring Nightreign può essere un titolo solido come può essere un’esperienza troppo limitata o disfunzionale. Il passo tra l’uno o l’altra è brevissimo e va compiuto entro la release pianificata per il 30 Marzo 2025. Quella giocata è stata una prova, una prova da cui lo studio nipponico (qui per altre informazioni) dovrà imparare molto.