Back in Time – God of War: Chains of Olympus

Prosegue il nostro ciclo dedicato a Kratos, in occasione della rinascita di God of War: dopo avervi proposto God of War II la scorsa settimana, la nostra rubrica dedicata al retrogame  si sofferma su God of War: Chains of Olympus, che appena un mese fa ha spento la sua decima candelina: il gioco, infatti, ha debuttato su PlayStation Portable nel marzo del 2008, per poi approdare anche  in versione rimasterizzata su PlayStation 3.

God of War: Chains of Olympus

Per la prima volta, lo sviluppo di God of War non è stato affidato agli studi Sony di Santa Monica, bensì a Ready at Dawn. Anche in questo caso le aspettative non sono state deluse, soprattutto da un punto di vista tecnico: grazie a un lavoro eccelso e all’ottimo (e ridotto nelle dimensioni) schermo di PSP, God of War: Chains of Olympus assomiglia molto da vicino ai predecessori. Modelli poligonali, ambienti, animazioni… tutto realizzato con estrema cura, che riesce a stupire ancor più per gli effetti speciali (illuminazione in primis). E non ci sono caricamenti. D’altronde, con un engine come quello di Daxter (opera prima di Ready at Dawn) alle spalle, era lecito aspettarsi tanta sontuosità grafica. Volendo essere particolarmente intransigenti, si potrebbe recriminare qualcosa per via dell’aliasing, problema peraltro condiviso con molti titoli per PlayStation 2 e 3.

Il sonoro, come al solito, si assesta sugli stessi ottimi livelli della grafica, grazie tanto alla qualità tecnica quanto ai maestosi temi orchestrali e all’ottimo doppiaggio italiano.

God of War: Chains of Olympus

Se finora abbiamo visto come God of War si sia adattato perfettamente alla sua nuova dimora, qualche perplessità potrebbe far capolino in merito al gameplay, specialmente nei controlli: PSP, infatti, manca di un secondo analogico (con cui si sarebbero dovute gestire le schivate), del tasto L2 per scagliare le magie e del tasto R2 per cambiare arma. Per questi motivi il sistema di controllo è stato in parte ripensato, permettendo così di giocare abbastanza comodamente senza rinunciare a nulla, se non all’Ira degli Dei/Titani.

La schivata è stata affidata allo stick congiuntamente ai dorsali: sembra scomodo, ma ci si abitua presto e si impara a farne un uso più ragionato, preferendo la parata per le situazioni meno critiche. Più articolato il discorso sulla gestione delle magie e delle armi: le prime erano imputate al tasto L2 e si scambiavano con l’utilizzo della croce digitale, mentre le armi con R2. Ebbene, in God of War: Chains of Olympus le magie si gestiscono col dorsale destro e con Cerchio, Quadrato o Triangolo: ciascuno di essi scatenerà un potere diverso. In questo modo, sacrificando una magia per tenere libero X (così da poter saltare in ogni momento), si possono utilizzare le due direzioni Su e Giù per switchare arma. Va da sé che se giocherete alla versione rimasterizzata questi discorsi saranno superati, specialmente su PlayStation 3.

God of War: Chains of Olympus

Per il resto, invece, nulla è cambiato, dalle combo ai nemici. Il gioco funziona come sempre, mantenendo invariata la sua struttura senza aggiungere alcunché. Le fasi di combattimento, come al solito, sono caratterizzate da una certa propensione al button-mashing più che dalla raffinatezza dello stile di lotta.

Come di consueto, il tasto Cerchio viene utilizzato per le prese (di un solo tipo, probabilmente per limiti di hardware), mentre Quadrato e Triangolo servono per le mosse con l’arma equipaggiata fra le due disponibili: la presenza di solo due armi è una riduzione rispetto a God of War II, ma spinge a un’alternanza più consapevole dei due strumenti di morte, molto diversificati nelle loro caratteristiche. D’altro canto, è pur vero che sono le Lame del Caos a farla da padrone, ovviamente, vuoi per abitudine, vuoi per l’agilità, vuoi perché alla fine sono un simbolo di questa saga. Solo nelle battaglie più ardue (ai più elevati livelli di difficoltà, o in occasione delle Sfide di Ade) è necessario un utilizzo ragionato che sfrutti appieno le doti di entrambe le armi.

Ancora una volta, sono numerosi i Quick Time Event, i quali, pur avendo il pregio di rendere interattive sezioni spettacolari (come l’esecuzione di un boss), già dieci anni fa cominciavano ad essere un po’ troppo inflazionati. Nulla di nuovo sotto il sole neanche per il secondo cuore pulsante del gameplay, cioè gli enigmi e le sezioni di esplorazione/platform. Ci troviamo anche in questo caso davanti a un lavoro svolto ottimamente, che beneficia di un level design labirintico abbastanza curato – anche se non all’altezza dei capitoli per PlayStation 2 – e di enigmi mai particolarmente complessi ma comunque sollazzanti. Spesso si rimane stupiti da come gli ambienti riescano a essere articolati senza comunque risultare difficili da percorrere. Insomma, non siamo ai livelli del Tempio di Pandora della prima avventura di Kratos, ma ci si può accontentare.

Il secondo difetto di God of War: Chains of Olympus è la longevità, che si assesta intorno alle sei ore. D’accordo, dopo i titoli di coda vi aspettano anche le cinque Sfide di Ade (contro le dieci Sfide degli Dei del primo e le sette Sfide dei Titani nel secondo) e un nuovo livello di difficoltà per sbloccare gli extra, ma, in fin dei conti, gli incentivi per ricominciare il gioco sono pochi visto che non ci sono segreti o poteri particolari al secondo playthrough (non ci sono neanche le Urne, pur essendo indicate nel manuale: probabilmente sono state eliminate quando le istruzioni erano già state stampate). Quantomeno, va riconosciuta a Ready at Dawn l’onestà di non aver allungato il brodo con sessioni inutili e ridondanti, dandoci un’avventura dotata di ottimo ritmo.

God of War: Chains of Olympus

God of War: Chains of Olympus rappresentò precisamente quello che avrebbe dovuto essere: una riproduzione (in scala) perfetta di quanto visto precedentemente su PlayStation 2. Tutto è stato curato nei dettagli, da una grafica che spinge al massimo la PSP (e il consumo della batteria!), a un gameplay che rispecchia perfettamente l’originale. Ciò costituisce anche il maggior limite di questa produzione, che manca di qualsivoglia spunto di originalità per arricchire una struttura non freschissima neppure ai tempi del primo God of War.

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