The Gaming Society – I videogiochi sono un mezzo di comunicazione?

Cosa sono i videogame? Un mesto passatempo? Una fonte inesauribile di emozioni? Un potente media di informazioni? I pensieri di un gamer.

Benvenuti nella rubrica The Gaming Society, in cui analizzeremo il fenomeno ludico ed il suo solido intrecciarsi alla società contemporanea. Avete perso le puntate precedenti? Non disperate!

Puntata I – Il Game Over non è mai la fine

 

Sin da piccolo, ho nutrito una forte passione per il mondo videoludico. Il Commodore 64, la prima piattaforma videoludica faticosamente acquistata da una “joint venture” composta da me e dai miei genitori, è stata per lungo tempo qualcosa di molto simile a un’ossessione. Perché i videogame ci permettono di travalicare in modo più netto e diretto la coltre spesso cinerea che ci costringe ad assaggiare, per forza di cose, il freddo terreno che quotidianamente calpestiamo.

E, in quanto media di massa, probabilmente lo fa meglio di tutti gli altri: ho sempre personalmente ritenuto che nessun film, libro o veicolo artistico raggiunga il grado di penetrazione di un videogame moderno, proprio perché dotato di un certo grado di interattività e di immersività diretta. Un elettro-ludo di qualità è, sostanzialmente, il cumulo di quanto di meglio ognuno d’essi può fornirci: è immersivo come un buon film, immaginifico come un buon libro, catartico come un buon disco. Ma, essendo di fatto una esperienza interattiva simil-reale, è un passo ulteriore in avanti verso il centro perfetto di un ipotetico segmento ai cui vertici troviamo da un lato l’immaginazione, dall’altro la realtà.

Life is Strange 2

Senza contare che, con i moderni strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, creare un videogame basico non è più complicato come un tempo. Almeno potenzialmente, anche un ragazzino potrebbe con qualche lettura e video-tutorial essere in grado di accedere e iniziare a creare qualcosa di concreto, all’interno di un qualsivoglia motore grafico. Se a questo ci si aggiungono i dati economici del mondo videoludico, che parlano di incassi che superano i 100 miliardi di dollari, si ha idea della diffusione e dell’importanza economica del fenomeno. Un fenomeno che non può più essere trattato alla stregua di un mero passatempo. Un fenomeno che deve essere nobilitato a media di massa, a contenitore culturale, a specchio della società.

Per tutte queste ragioni, su cui non basterebbero 1000 editoriali per rendere formalmente e contenutisticamente giustizia, è impossibile guardare ai videogame come un semplice capriccio elettronico, intento a respirare per il puro scopo di intrattenere. I videogame sono oggi un gigantesco specchio della società umana, in grado forse in modo più sensibile e attuale di rappresentare e costituire ciò che i media più tecnologicamente vetusti rappresentarono nella passate epoche, ovvero lo specchio di cui sopra.

Se negli anni ‘50/60 l’invenzione del Televisore si trasformò quasi immediatamente in un fenomeno di costume, l’apparecchio servì per scopi più semplici e fondamentali come il combattere l’analfabetismo diffuso nell’Italia con ancora in testa le macerie del secondo dopo guerra. Ma in che modo i videogame ci parlano della società?

Devil Never Cry

Nella prefazione del primo volume del libro “The Information Age“, scritto dal sociologo spagnolo Manuel Castells, campeggia una frase che, nella sua semplicità, riassume perfettamente i margini del volto della nostra società. La frase recita: “Viviamo in tempi confusi, come spesso accade nei periodi storici di transizione ed evoluzione delle forme di società umana”. Quest’affermazione è ancora più vera in un mondo sacrificato all’altare della velocità di comunicazione, dove delle notizie si legge il titolo, dove delle storie si immagazzinano unicamente le sensazioni di superficie. E se il mondo è incredibilmente veloce, lo è anche la sua trasformazione intesa come una transizione da un ipotetico stato “A” ad un ipotetico stato “B”. Ma se un qualcosa si trasforma velocemente, la trasformazione non diventa in sostanza uno stato unico? Cambiare continuamente diventa l’unica logica e possibile identità statica.

Questo continuo stato di transizione comporta un fenomeno complicato da descrivere ma che viviamo e sentiamo precisamente sulla nostra pelle, ogni giorno. Il fenomeno della relatività interpretativa, la quale oltre ad influenzare l’opinione comune, influenza e dissolve anche i margini delle verità scientifiche, dei risultati e dei traguardi raggiunti dal progresso tecnologico complessivo, spesso vittima del filtro del sentire comune che di razionale e scientifico ha ben poco. In quest’ottica, appunto, di estrema transizione, l’auctoritas (intesa come fonte affidabile e competente di informazioni) diviene faro nella tempesta. Ma anche la facilità d’uso e l’impatto estetico del veicolo di tale informazione diventano parimenti importanti affinché i messaggi educativi arrivino alla più ampia fascia d’utenza possibile, spesso assuefatta allo schema istintivo che regala ad ogni singolo input d’informazione una finestra di valutazione e assorbimento molto ristretta.

 Digital

Ed è qui che è possibile comprendere l’importanza dei videogiochi, al giorno d’oggi uno dei pochissimi media di comunicazione consolidato che riesce a stare al passo con la costante evoluzione formale ed estetica del modo di comunicare e dei suoi contenuti. Ma perché proprio i videogame? Stando all’analisi condotta sull’argomento dai sociologi americani Daniel Muriel e Garry Crawford, ci sono delle motivazioni di carattere strutturale sul perché i videogame siano essenzialmente un fondamentale mezzo di comunicazione moderno.

  • I videogame sono una realtà contemporanea: è innegabile che una larghissima fetta della popolazione ha avuto modo di avvicinarsi a un elettro-ludo attraverso qualsiasi piattaforma in grado di offrire intrattenimento elettronico. Seppur socialmente rilevanti solo a partire dagli anni ‘80, quando i videogame iniziarono a diventare un fenomeno di massa, nell’ultimo decennio la popolarità del suddetto medium è salita alle stelle. Basti pensare che, ad esempio, secondo uno studio rilasciato dalla Electronic Entertainment Design and Research, nel 2018 circa il 67% degli americani (211 milioni di persone) ha ammesso di giocare regolarmente con prodotti elettronici.

  • I videogame veicolano i più importanti aspetti della società contemporanea: essi infatti sono innanzitutto l’espressione principale del processo di fondamentale digitalizzazione estensiva della società, la quale ricorre a mezzi virtuali e digitali praticamente in ogni campo d’espressione e ricerca scientifica. E sono, al contempo, la personificazione digitale di alcuni importanti processi politici e sociali storicamente in corso, come l’affermazione dell’individuo, la libertà d’espressione, il concetto di responsabilità collettiva e individuale ecc. In aggiunta, essendo un prodotto commerciale e di rapida vendita, è intrinsecamente necessario che abbiano un contatto piuttosto evidente con la realtà contemporanea dei fatti.

  • I videogame sono uno dei prodotti più rilevanti della società: L’importanza dei prodotti ludico-elettronici è di fondamentale importanza per comprendere i processi socio-economici in evoluzione. Se la digitalizzazione è un processo irreversibile, i videogame e i videogamer diventano improvvisamente d’importanza fondamentale per comprendere appieno l’ambiente culturale in cui la società attuale nidifica. Studiare i videogame significa, di riflesso, studiare e comprendere chi li utilizza e comprenderne i motivi, le scelte e i pensieri su argomenti di varia natura.

  • La cultura videoludica è consolidata e in rapida espansione: in quanto fenomeno di caratura sociale, visti anche ad esempio i numeri forniti precedentemente nella dissertazione, è innegabile che la cultura di massa abbia inglobato gli elettro-ludi come uno dei fenomeni comunicativi principale dell’era digitale. In aggiunta, a differenza di altri fenomeni tecnologici in grado di legare più persone fra di loro mantenendo però inalterati e rigidi i confini dell’individuo (si pensi agli smartphone, ad esempio), i videogame sono sostanzialmente un fenomeno culturale di carattere partecipativo, in cui gli utenti comuni socializzano attraverso il media e, al contempo, partecipano più o meno attivamente e direttamente alla sua modificazione, come ad esempio la produzione di contenuti annessi come l’editoria, le guide, le “wiki”, il cosplay ecc.

Call of Duty: Black Ops 4 blood of the dead

Naturalmente, non sono solo queste le caratteristiche fondanti e che rendono i videogame in tutto e per tutto un media di massa. Come già detto in precedenza, la società attuale è vittima di un continuo stato di transizione che la porta a mutare faccia di continuo, seppur i contenuti mutino in modo meno sostanziale. Questa continua transizione, quantomeno da un punto di vista estetico, conduce spesso a una mutazione continua ed eterogenea dei gusti di chi vive e respira all’interno di essa. Il continuo mutamento dei gusti ha un sicuro impatto anche sulla capacità di un media di poter comunicare: basti pensare agli inverecondi meme, potentissimi e velocissimi veicoli di satira, humour ma anche di informazioni sociali e politiche, autentici protagonisti della comunicazione social del terzo millennio. E basti pensare, ad esempio, ai comuni giornali cartacei sempre più abbandonati e in disuso, a causa di un format tendenzialmente prolisso per gli standard di comunicazione attuali, sempre più propensi a sacrificare il dettaglio in favore della velocità. Un meme prolisso non è più un meme. Un giornale formato da un’immagine e pochissime parole non è più tale. Nella loro differenza, essi hanno un tratto comune: non possono in alcun modo sfuggire alla propria essenza.

Da una parte i meme, dall’altra i giornali. Da un parte la comunicazione veloce e d’impatto, dall’altra l’informazione lenta e dettagliata. Due mondi inconciliabili? Sorprendentemente no. In realtà, le loro caratteristiche fondanti convergono con decisione nei videogame, i quali tutt’oggi sono fonte continua d’ispirazione sia per l’uno che per l’altro. Un videogame comune, solitamente, ha un impatto elevato grazie alla commistione di interattività e immagini, una dinamica per certi versi più torpida di altri media ma sufficientemente veloce da non risultare ostica e slow e in parte mediata proprio dalla succitata possibilità di immersione ed interazione. Al contempo, un elettro-ludo comune avrà dalla sua uno spazio potenzialmente infinito per informare, espandere i concept ed allargare il raggio delle informazioni (basti pensare, ad esempio, alle mille letture-corollario che è possibile trovare in un comune RPG), riuscendo potenzialmente a non sacrificare la completezza per questioni di milli-secondi.

Per tutte queste ragioni, non è più possibile considerare i videogiochi come un semplice passatempo. Essi sono, de facto, un mezzo di comunicazione consolidato, potente e in grado di evolversi parallelamente ad una complessa e sfaccettata società ormai irreversibilmente imbrigliata nella digitalizzazione, nello smarting e nell’iper-connettività. E, grazie all’alto livello di immedesimazione e interattività, i videogame posseggono un’altissima capacità di penetrare il pubblico concettualmente, come dimostra l’ampia cultura più o meno underground sviluppatasi, rendendoli infine in grado di veicolare messaggi con una qualità e quantità pari (o addirittura superiore) ai mezzi di comunicazione socialmente consolidati.

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