Grim Fandango Remastered

Un’avventura mortifera

Nell’anno 1998 le avventure grafiche vivevano il loro canto del cigno. La scena videoludica era dominata già da qualche anno dalla prima PlayStation, che con la sua capacità di gestire motori poligonali, e grazie a una campagna pubblicitaria senza precedenti, avrebbe completamente rivoluzionato l’ambiente videoludico.

Nonostante il dominio della nuova macchina Sony, che di fatto tolse definitivamente ai PC il primato di piattaforma videoludica per eccellenza, uno sviluppatore californiano decise comunque di mostrare al mondo che le avventure classiche, che avevano avuto il loro momento di massimo splendore tra gli anni ’80 e i ’90, avevano ancora molto da dire.

Reduce dai successi assoluti di Monkey Island, The Dig, Sam e Max: Hit The Road (titoli, questi, ancora considerati tra le migliori avventure di sempre), la LucasArts decise di giocare un’ulteriore carta. Affidando la direzione del progetto a Tim Schafer, genio visionario già autore, tanto per dirne un paio, di Full Throttle e Maniac Mansion (e dei più recenti Brutal Legend e l’imminente Broken Age), la LucasArts decise stavolta di affrontare temi più cupi e abbastanza maturi.

Nacque così quello che ancora oggi è considerato uno dei migliori esponenti della sua categoria: Grim Fandango. Sedici anni dopo, nel corso dell’ultimo E3, l’annuncio del remake del titolo LucasArts si divise la scena con moderni pezzi da novanta come Uncharted 4, Mortal Kombat X e Bloodborne, a riprova di quanto il fascino di questa avventura non sia mai diminuito.

Il nostro Manny in tutto il suo necrotico carisma
Il nostro Manny in tutto il suo necrotico carisma

Mi chiamo Manny Calavera, e sono morto

Siamo nella Terra dei morti, nella città di El Midollo, e Manuel “Manny” Calavera è un impiegato del Dipartimento della morte, una sorta di purgatorio dove transitano le anime in attesa di conoscere il loro destino prima del viaggio finale.

Il nostro Manny fa un lavoro decisamente particolare: gira per la terra dei vivi (con tanto di tunica nera) prendendo le anime proprio nel momento del trapasso, le accompagna al Dipartimento della morte, indossa un’impeccabile completo elegante, e tenta di vendere al caro estinto di turno il pacchetto viaggi migliore per l’aldilà, che varia da una traversata di quattro anni nel deserto, fino a un lussuoso viaggio sul leggendario treno numero nove, destinato alle anime più virtuose.

Lo stesso Manny sta espiando le sue colpe (nessuno è un santo), e l’unico modo per abbreviare il suo cammino verso la pace è quello di piazzare i pacchetti migliori ai clienti più eccellenti. Una volta era il più bravo, ma ultimamente sembra che un certo Domino si stia accaparrando i clienti migliori, con una facilità e una frequenza che destano più d’un sospetto in Manny, che decide, dopo l’ennesimo fiasco, di vederci chiaro nell’intera faccenda. Con uno stratagemma riesce finalmente a riservarsi una cliente di prima scelta: Mercedes Colomar.

Le cose potrebbero prendere una buona piega per la neo defunta Colomar (e per il nostro eroe che ne gestisce la pratica): è giovane, graziosa, in vita si è sempre comportata bene, ed è gentile e delicata. Il viaggio sul treno numero nove sembra quindi assicurato per lei. Ma il computer centrale del Dipartimento della morte, a causa di un bug (pare ve ne siano anche nell’aldilà) assegna alla signorina il viaggio più difficile e pericoloso.

Sentendosi in colpa per il destino di Mercedes, Manny inizia a capire i loschi traffici di Domino, e intraprende un viaggio personale alla ricerca della ragazza, viaggio che, tra luoghi dai nomi esotici e minacciosi come la Foresta pietrificata e il Confine del mondo, si rivelerà anche una sorta di catarsi per il nostro (anti)eroe, che nel suo cammino incontrerà anche numerosi personaggi secondari, ben caratterizzati, come da tradizione LucasArts. Nel descrivere la trama siamo volutamente rimasti sul vago, dal momento che la storia, ispirata a una reale commemorazione messicana (il Giorno dei morti) rappresenta il lato migliore di questo titolo.

...e in divisa da lavoro
…e in divisa da lavoro

Controlli dall’oltretomba

Il titolo originale rappresentò un punto di svolta per la LucasArts, che per Grim Fandango ideò alcune innovazioni sia di carattere tecnico (come vedremo) sia dal punto di vista del sistema di controllo. Abbandonando di fatto il suo famoso sistema SCUMM utilizzato in precedenza in titoli come Maniac Mansion e Monkey Island (nonché in molti altri titoli di altri sviluppatori), la casa californiana adottò un sistema di controllo più moderno, con personaggi poligonali che si muovevano all’interno di scenari pre-renderizzati.

Pur con tutte le buone intenzioni, questo sistema si scontrò con alcune scelte poco felici, i comandi venivano impartiti solamente via tastiera, eliminando completamente quel mouse che da sempre veniva associato al concetto stesso di avventura grafica, e un movimento unidirezionale, a tank per così dire (scomodo sistema, per indenderci, già utilizzato nel primo Resident Evil e nel pionieristico Alone In The Dark).

Questo remake è stata l’occasione giusta anche per dare una svecchiata ai controlli, rendendoli di fatto più fruibili. Nella versione Steam il mouse è tornato nel ruolo di protagonista, grazie alla completa gestione punta e clicca dell’interfaccia, pur rimanendo la possibilità di controllare il protagonista anche via tastiera. Nella versione per piattaforme domestiche, invece, il controllo è affidato per forza di cose al solo pad con la possibilità, finalmente, di un movimento multidirezionale tramite levetta analogica (comunque disattivabile). Va da sé, quindi, che i controlli migliori rimangono quelli della versione per Ps Vita, grazie al riuscito connubio tra levetta analogica e schermo tattile.

Controlli a parte, Grim Fandango rimane fedele alle meccaniche LucasArts: dialoghi, avventure, lunghe sessioni passate a cercare indizi ed enigmi ben congegnati, anche se forse piuttosto difficili per chi non è abituato alla vecchia scuola delle avventure grafiche. Il titolo, infatti, rappresenta il genere tipico degli anni ’80 e ’90: niente suggerimenti (a differenza del remake di Monkey Island), niente salvataggi automatici (bisogna salvare da soli nel menù di pausa) ed enigmi che spesso richiedono numerose prove e spostamenti prima di venirne a capo.

Enigmi, questi, che talvolta si scontrano anche con un sistema di controllo che, al di là dei miglioramenti evidenti, rimane ancora leggermente scomodo, specialmente per l’impossibilità di evidenziare gli elementi interattivi dello scenario. Una delle poche note stonate del titolo, insieme all’inventario originale ma scomodo (non si ha una visione d’insieme degli oggetti nell’inventario, ma ogni volta bisogna scorrerli uno per uno, tirandoli fuori dalla giacca di Manny).

Interessanti i commenti degli sviluppatori
Interessanti i commenti degli sviluppatori

Poligoni scheletrici

Il comparto tecnico di Grim Fandango, diciamolo subito, è quello che ha beneficiato di meno del remake. Nonostante un nuovo sistema di ombreggiature e la pulizia generale dei modelli poligonali, infatti, le animazioni e i fondali risultano invariati rispetto a quelli del 1998. Il restauro visivo non è stato radicale come quello applicato per i remake dei primi due Monkey Island (recensione), anche a causa della difficoltà di reperire i progetti originali e di ridisegnare da capo fondali e texture.

Il risultato si nota soprattutto con la visualizzazione panoramica, in 16,9 (disponibile insieme a quella classica e a un 4,3 con bordi): i personaggi e i fondali ne risultano sgradevolmente schiacciati. Il lavoro prettamente grafico, quindi, sembra essersi limitato a una sorta di pulizia visiva generale, senza impegnarsi troppo, lo si nota anche passando dalla modalità grafica originale a quella restaurata con la pressione di un tasto. Cosa che, in fin dei conti, non era strettamente necessaria, vista l’alta qualità estetica del titolo originale già 17 anni fa.

Dal punto di vista sonoro, invece, abbiamo un rifacimento migliore. L’orchestra di Melbourne, e soprattutto il ritorno del compositore originale Peter McConnell, hanno permesso un restauro musicale eccellente, con musiche che variano tra swing, jazz, orchestrale e musica folkloristica messicana, oltre a un ottimo doppiaggio disponibile anche in italiano. Le inflessioni dialettali di Manny, il tono sarcastico di Eva, la voce femminile di Mercedes e le sfumature vocali dei numerosi comprimari avrebbero molto da insegnare a certe produzioni videoludiche moderne. Dispiace, quindi, che nei i numerosi extra, tra filmati e bozzetti, non sia possibile anche ascoltare a parte l’ottima colonna sonora.

Una gradevole chicca per avventurieri vecchio stile è rappresentata dall’inserimento dei commenti (disattivabili) degli sviluppatori originali. Due ore totali di gustosi “dietro le quinte” che spiegano molti retroscena e curiosità di Grim Fandango. Ma al di là del comprato prettamente tecnico, Grim Fandango eccelle soprattutto nella caratterizzazione di personaggi e ambientazioni. Il design generale del titolo riprende infatti una riuscita ambientazione a metà strada tra l’art deco, l’antico maya e i gangster-movie degli anni ’40, e lo stesso stile di Manny è ispirato alle calacas, le raffigurazioni di teschi che in Messico vengono utilizzate per commemorare il Giorno dei morti.

Il comparto artistico generale tocca talvolta anche vette di genio (vedere ad esempio come viene rappresentato il mondo dei vivi) e perle di macabra ironia, come quando Manny si dice impossibilitato a gonfiare un palloncino perché privo dei polmoni.

In modalità 16,9 le immagini risultano schiacciate
In modalità 16,9 le immagini risultano schiacciate

[signoff icon=”quote-circled”]Da che esiste il mondo videoludico, le avventure grafiche sono sempre state il prodotto che risente meno del passar degli anni. I poligoni e il comparto tecnico di un prodotto possono diventare obsoleti, e in effetti lo diventano, nel giro di pochi anni, ma una buona storia, un carisma innegabile, e delle battute fulminanti possono resistere per sempre. La prova, semmai ce ne fosse ancora bisogno, è rappresentata proprio da Grim Fandango. Al di là di un restauro visivo non proprio esaltante, la storia, le battute, gli enigmi, i personaggi rimangono quelli del periodo d’oro delle avventure grafiche. L’ironia è quella tipica della LucasArts, stavolta un poco meno goliardica del solito, trattandosi comunque di un’ambientazione collegata alla morte. Grim Fandango, in cui la surreale genialità di Tim Schafer si nota in ogni pixel, ambientazione e battuta, rappresenta l’eredità della casa californiana, il canto del cigno delle avventure grafiche del periodo migliore. Rimane solamente un leggero retrogusto amaro, dovuto alla consapevolezza che si sarebbe potuto fare comunque qualcosa di più per omaggiare quella che, a ben diritto, è ancora considerata una delle migliori avventure di sempre. [/signoff]

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