Alan Wake’s American Nightmare – Recensione Alan Wake’s American Nightmare

Se avete mai giocato ad Alan Wake, forse vi ricorderete della tremenda attesa. Ai ragazzi di Remedy sono serviti quattro anni di tempo per partorire un titolo che, partito inizialmente come survival horror, si è alla fine dimostrato qualcosa di particolare e diverso. In Alan Wake, un promettente gameplay aveva lasciato spazio ad una trama innegabilmente bella ed affascinante, ispirata alla grande narrativa horror americana ed a telefilm come Twin Peaks, che era il fulcro nevralgico di tutta l’esperienza ludica. La divisione in capitoli, gestiti come vere e proprie puntate di un telefilm, con tanto di riepilogo, non lasciavano dubbi sull’importanza capitale della componente narrativa.

Quasi due anni dopo, ed in attesa di un porting per PC, i Remedy sfornano uno spin off tutto nuovo, una piccola chicca per saziare i palati in previsione di un possibile Alan Wake 2. Alan Wake’s American Nightmare, questo il nome del gioco, è scaricabile dallo shop dell’Xbox Live, per un’esperienza totalmente in digital delivery. Poca roba quindi rispetto a quello che fu Alan Wake, ma abbastanza da meritare un’analisi approfondita.

Gemello malvagio, ti ucciderò!

L’incipit del gioco è tanto semplice quanto efficace: Alan Wake è alla ricerca di Mr. Graffio (Mr. Scratch in lingua originale), e Mr. Graffio altri non è che un clone malvagio, con le stesse fattezze del nostro eroe ma con intenti decisamente più terribili. Apparentemente intrappolato fuori dal tempo, in una puntata del serial Night Springs scritta anni fa da lui stesso, Alan si ritroverà a vagare per l’Arizona, immerso fino al collo nella stessa oscurità conosciuta nel primo episodio. Compito di Alan è fermare Mr.Graffio e l’oscurità una volta per tutte, e questa volta sembra avere tutte le armi necessarie per farlo alla grande. Lasciate le ambientazioni boschive di Bright Falls, lo scrittore si ritrova nel deserto dell’Arizona con un arsenale niente male, e con la capacità di utilizzarlo in maniera più action che in passato.

Il gameplay è rimasto quello già conosciuto nel capitolo precedente. Alan dovrà prima puntare la torcia sopra i posseduti, altrimenti invulnerabili, e dopo aver distrutto il loro scudo di tenebra riempirli di piombo senza tanti complimenti. Ovviamente, un normale essere umano può ben poco con un’orda di avversari, ed ecco che in questi frangenti la fuga verso i punti sicuri, ossia zone fortemente illuminate, diventa un obbligo più che un’opzione. Ciò che è cambiato rispetto al titolo originale, come si diceva prima, è che la componente action è stata decisamente potenziata. Il gran numero di munizioni, il nuovo arsenale ricco di bocche da fuoco dalla grande potenza, e un sistema di movimenti leggermente migliorato (ad esempio, lo scatto), rendono gli scontri, che in teoria dovrebbero essere difficili ai limiti della sopravvivenza proprio per aumentare la tensione, decisamente più TPS che in passato. Certo, però, c’è da dire che nonostante tutto la cosa funziona alla grande, specialmente perché, a differenza del vecchio Alan Wake, questa volta la proposta ludica si presenta più variegata, con tanto di fasi esplorative alla ricerca delle immancabili pagine manoscritte e oggetti importanti. Peccato per un’eccessiva linearità per quanto riguarda la ricerca degli oggetti e, in generale, per tutte le fasi esplorative, un peccato veniale facilmente perdonabile.

Ovviamente, e nonostante la trama sia alla stregua di un semplice pretesto per l’azione, gli espedienti narrativi del gioco originale non sono stati abbandonati. Abbiamo già accennato al ritorno delle pagine manoscritte, che in questo spin off diventano veri e propri monologhi interiori del protagonista, indizi importanti su come proseguire nonché moneta di scambio per comprare nuove armi. Ritornano anche gli splendidi filmati "live action", questa volta più importanti e numerosi che in passato, segno che, anche se si tratta di un spin off in digital delivery, alla Remedy hanno voluto curare i dettagli con cura. Infatti, oltre alla campagna principale, è stata inserita una inattesa modalità arcade, dove ci verrà chiesto di resistere ad un’ondata di posseduti dopo l’altra. La trovata è divertente quanto accessoria.


Un piacere per gli occhi… e per le orecchie

Se già conoscete Alan Wake, è quasi inutile ribadire la bontà del motore grafico, ripreso pari pari anche in questo spin off. Alan Wake aveva un sistema di illuminazione forse tra i migliori mai apparsi in un videogioco, e questo continua ad essere vero anche in American Nightmare. Aggirarsi per il deserto, puntando una torcia verso la tenebra avvolgente, è sicuramente appagante. Peccato che la nuova ambientazione non abbia minimamente il fascino degli immensi boschi di Bright Falls, né la stessa atmosfera sinistra. Ok, tutto è isolato e cupo, ma non si respira la stessa aria di impotenza o pericolo che invece era palpabile nel primo episodio (per quanto non facesse paura).

Magistrale, come sempre, il comparto sonoro. Ritornano gli Old Gods of Asgard (ricordate i vecchietti matti del primo episodio?), con un brano totalmente inedito, e fanno la loro comparsa i Kasabian, in una scena di fortissimo impatto. Concludono l’altrettanto stupenda colonna sonora e l’ottimo doppiaggio inglese (nessuna paura, è tutto sottotitolato in italiano).

In conclusione

American Nightmare non fa altro che riproporre quanto di buono detto con Alan Wake, offrendo agli afecionados una nuova avventura che li terrà impegnati per quattro, cinque ore massimo, e a i nuovi giocatori un prodotto a sé stante comprensibile anche se ci si è persi il gioco originale. Insomma, il prezzo contenuto, un ottima proposta ludica e il carisma di Alan fanno di American Nightmare un sincero prodotto in digital delivery, lontano anni luce dall’essere un gioco completo ma ugualmente accattivante. Consigliato se avete amato alla follia il primo Alan Wake e volete un assaggio in vista di un probabile secondo episodio, un po’ meno se ancora non conoscete il protagonista. 

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