Another World – Recensione Another World

Mi chiamo Chaykin, Lester Knight Chaykin

Negli ultimi tempi l’Iphone, ormai divenuto un vero e proprio fenomeno di costume, sembra trovarsi sempre più a suo agio nei panni di console portatile. Forte di un’efficace store online a prezzi decisamente concorrenziali e di uno schermo tattile che si presta facilmente a svariati sistemi di controllo, il gioiellino di casa Apple offre attualmente una quantità e una qualità di giochi tale da poter rivaleggiare con le console portatili più famose. Tra esperienze di guida, platform, sparatutto, avventure punta e clicca (per la sua stessa natura tattile, quest’ultima tipologia è la più adatta a essere convertita sullo schermo dell’Iphone), la piattaforma Apple, sfruttando l’onda del retrogaming, ha spesso ospitato conversioni di prodotti con ormai qualche anno sulle spalle. Ma se da una parte tali conversioni si rivelano delle semplici operazioni commerciali, allo scopo di dare inutilmente nuova linfa a prodotti ludici ormai di scarso interesse, dall’altra si assiste talvolta a dei porting efficaci e piacevoli. Creato interamente da un singolo programmatore, il francese Eric Chahi (che si occupò interamente della programmazione, della grafica e persino della prima copertina del prodotto, lasciando al compositore Jean-Francois Freitas la realizzazione delle poche musiche presenti) e uscito nel 1991 sulle macchine allora più potenti, l’Amiga 500 e l’Atari ST, sotto l’etichetta Delphine software, Another World faceva sfoggio di una grafica poligonale che lo rese anni luce avanti a ogni altro prodotto dell’epoca. Molti prodotti contemporanei, a dire il vero, potevano definirsi tecnicamente molto validi nei primi anni ’90, ma erano al contempo molto lacunosi in fatto di profondità e stile di gioco, mentre il titolo creato dal geniale francese si distinse anche per la maturità del concetto, la profondità e la complessità dello stile di gioco e un’atmosfera ancora oggi in grado di affascinare. 

 

 

 

E sono uno scienziato.

La trama di Another World (in America, per evitare l’omonimia con una tenelovelas, uscì con il titolo di Out of this world, ma paradossalmente si ritrovò così ad avere lo stesso titolo di una serie Tv di fantascienza dei primi anni ’90) narra di un giovane fisico che, a dispetto della sua giovane età, si sposta con una Ferrari più adatta a un facoltoso imprenditore che a un posato scienziato, e dispone di un laboratorio-bunker che farebbe invidia al CERN di Ginevra dove, durante la più classica delle notti tempestose, il nostro eroe si rinchiude per perfezionare un acceleratore di particelle. Nel momento più delicato dell’esperimento gli elementi atmosferici si scatenano mandando in corto circuito l’intero laboratorio (a dispetto dello sfoggio di tecnologie, scanner per la retina, programmi di riconoscimento facciale, serrature con sistemi di password, il prodigioso bunker sembra altresì sprovvisto di qualsiasi sistema di protezione dai fulmini) e provocando una sorta di varco dimensionale che risucchia una parte dell’edificio, guarda caso proprio dove il nostro scienziato era intento a esaminare gli esiti dell’esperimento. Passato attraverso una qualche curva spazio-temporale, Lester Chaykin si ritrova immerso in un mondo alieno, ostile, dalle atmosfere totalmente distorte, nel quale dovrà cavarsela sfruttando al massimo la sua intelligenza e le sue insospettate doti atletiche. Aiutato da un indigeno compagno di prigionia, il protagonista dell’avventura partorita dalla mente di Chahi dovrà passare attraverso strutture aliene, grotte, laghi sotterranei ed edifici la cui stessa architettura si dimostrerà ostile, fino a un finale enigmatico e affascinante che lascia la porta aperta a un eventuale seguito (che in verità ci fu, senza l’intervento di Eric Chahi: quell’Heart of the alien uscito solo su Sega CD e narrante le gesta dell’indigeno di cui parlavamo, parallele agli avvenimenti di Another world).

 

 

  

 

Un pad tattile

Uscito per quasi ogni sistema esistente negli anni ’90, Amiga, Atari ST, Sega Megadrive, 3DO, Super Nes (in quest’ultima versione la Nintendo, fedele alla sua filosofia, impose alcune censure riguardo la presenza di sangue e di nudi parziali), il titolo è da qualche tempo disponibile anche per gli schermi dell’Iphone, grazie all’acquisizione dei diritti intellettuali da parte dello stesso Chahi dopo la chiusura della Delphine software, avvenuta nel 1994.

La natura quasi esclusivamente tattile della macchina Apple impone spesso dei compromessi per adattarvi i prodotti ludici che in origine supportavano esclusivamente l’uso di un pad o di una tastiera, e spesso tali compromessi si sono risolti in sistemi di controllo decisamente scomodi e poco intuitivi, ma il caso di Another World non è tra questi. La conversione realizzata dai tizi di DotEmu presenta infatti due tipologie di controllo: nella prima troviamo una sorta di punta e clicca, non molto immediato a dire il vero, in cui guideremo il nostro alter ego interagendo con dei punti precisi dello schermo. Ma è con il secondo sistema che, paradossalmente, si hanno i risultati migliori, grazie all’uso di una croce direzionale su schermo e di un singolo pulsante, le cui combinazioni ci permetteranno di eseguire in modo veloce e intuitivo tutte le operazioni necessarie per sopravvivere nell’ostile ambientazione di Another World, dal momento che accompagnare il dottor Chaykin lungo tutte le vicissitudini della sua avventura non sarà facile. Figlio di una scuola videoludica che premiava la pazienza e la costanza degli utenti, il titolo francese si distingue sin da subito per una curva di difficoltà decisamente sopra la media, il che potrebbe scoraggiare gli utenti meno avvezzi ai prodotti di vent’anni fa.

A fronte di tale difficoltà generale, la longevità del titolo risulta direttamente proporzionale alla nostra comprensione e memorizzazione delle meccaniche di gioco e dei passaggi più ostici, dal momento che, una volta compreso bene ogni singolo passaggio, la durata totale della nostra avventura si rivela inferiore a un’ora. Il difficile, in questo titolo, non è fare una determinata cosa, ma il capire cosa è necessario fare e come, e diviene quindi fondamentale un’attenta analisi dell’ambiente circostante, la nostra amicizia con l’alieno indigeno, compagno di sventure, e una saggia gestione dell’unica arma disponibile nel gioco: una pistola laser in grado di generare colpi base, scudi temporanei e persino dei potenti colpi in grado di spezzare alcuni muri e gli scudi avversari. Tali colpi sono limitati, ma per nostra fortuna potremo ricaricare la nostra fidata arma ogni volta che vorremo, sfruttando appositi portali elettrici, inoltre numerosi check point e un comodo sistema di password ci verranno incontro nelle nostre vicissitudini videoludiche (è presente una selezione del livello di difficoltà tra normale, difficile e impossibile). Il prodotto sembra quindi premiare l’analisi e la memoria più che l’abilità, e la totale assenza di qualsiasi indicatore su schermo riflette sia una precisa scelta di aumentare la difficoltà generale del prodotto, sia lo scopo, decisamente riuscito, di non distrarre il giocatore dall’affascinante atmosfera dell’ambientazione.  

 

 

Poligoni anni ’90

Già all’epoca della sua uscita su Amiga 500 il gioco si fece notare per le dimensioni del codice, che rese necessario l’aumento delle capacità dell’ammiraglia di casa Commodore, usata per programmarlo, fino a 1mega di RAM e 20 di hard disk (dati che oggi sembrano quasi ingenui, ma che all’epoca rappresentavano il massimo della tecnologia a 16Bit), e i risultati si vedevano. Il geniale Chahi decise di fare uso di poligoni pieni, scelta già abbastanza inedita per quei tempi, ma gestendoli inoltre con tale maestria da creare un prodotto tecnicamente al di sopra di qualsiasi altra cosa si fosse vista fino ad allora. L’abilità di Chahi fu tale da affascinare ancora oggi (il game designer Fumido Ueda ha ammesso di essersi parzialmente ispirato ad Another World per creare l’incantevole Ico, uscito su PS2 e recentemente restaurato su PS3) anche grazie all’uso di animazioni realizzate in rotoscoping. Una tecnica, questa, ideata nel lontano 1914 da un certo Max Fleisher e utilizzata per la prima volta in campo videoludico da Jordan Mechner per realizzare il suo famoso Prince of Persia, consiste nel riprendere su pellicola cinematografica le movenze reali di un attore, ricopiandole poi a mano, fotogramma per fotogramma, per trasferirle infine in un cartone animato o, nel nostro caso, in un prodotto videoludico. La conversione per Iphone sfoggia un riuscito restauro grafico, poco invasivo e piacevolmente fedele alla versione originale, che ha aggiunto l’alta risoluzione, molti ulteriori dettagli grafici (specialmente negli sfondi) e una generale pulizia tecnica, lasciando nello stesso tempo intatta la possibilità di passare in qualsiasi momento alla modalità originaria con il semplice passaggio di due dita sullo schermo tattile. Dal punto di vista del sonoro la DotEmu ha saggiamente preferito ispirarsi all’originaria versione Amiga, caratterizzata da rare musiche (a differenza delle versioni uscite successivamente su altri sistemi, che vantavano una colonna sonora più ampia, ma abbastanza inutile), dialoghi ancor più rari e degli ottimi effetti sonori. In mezzo a tanta accuratezza nella conversione, salta subito all’occhio una traduzione italiana ai limiti del pessimo, con inspiegabili scivoloni che sembrano più dei refusi piuttosto che dei veri e propri errori di localizzazione, ma la scarsità dei dialoghi, quasi totalmente assenti, permette di passare tranquillamente oltre. 

 

 


 

 

20 anni senza invecchiare

Considerata la difficoltà di raccogliere l’eredità di un titolo che ha segnato la storia dell’intrattenimento videoludico, possiamo dire di trovarci di fronte a un ottimo lavoro. L’eccellente conversione, i miglioramenti grafici e l’ottimo sistema di controllo, indicano una sincera dedizione da parte della DotEmu, ma la natura stessa del prodotto, seppur ancora piacevole e affascinante nonostante abbia ormai più di un ventennio sulle spalle, potrebbe allontanare una larga fetta di utenti, specialmente quelli poco abituati alle severe meccaniche in vigore nei prodotti ludici tipici degli anni ’80 e ’90. Nonostante una pessima, ma tutto sommato inutile traduzione italiana, e una longevità legata più all’abilità dell’utente che alla brevità stessa dell’avventura, chi ha subito il fascino del 16Bit Commodore e gli utenti in cerca di un titolo alternativo e profondo, troveranno in Another World oltre a un ottimo prodotto, un atto d’amore verso uno dei titoli più famosi e rappresentativi di sempre.

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