Silent Hill: Downpour – Recensione Silent Hill: Downpour

I fan, si sa, sono difficili da accontentare. Quando un’opera diventa così famosa e amata da avere uno stuolo di appassionati, per i creatori diventa difficile esprimere nuove idee, timorosi che il pur minimo cambiamento possa far infuriare gli affezionati della prima ora. C’è chi non se ne cura, dando libero sfogo alla creatività o, peggio, seguendo le regole del mercato per abbracciare un maggior bacino d’utenza, e chi invece continua imperterrito a copiare se stesso. 

Silent Hill è, ormai da dieci anni, una delle serie survival horror più amate del mondo videoludico e deve la sua fama ad un’atmosfera angosciante e a studiati approcci psicologici. Quando la saga aveva preso una via più action, molti fan avevano storto il naso, bollando la cosa come l’ennesimo appiattimento commerciale di una saga storica (un pò come accaduto a Resident Evil, per intenderci). Konami sembra essere corsa ai ripari e dopo l’appassionante Shattered Memories (uscito su Wii nel 2010) ci riprova con Downpour, titolo devoto al passato e sviluppato da Vatra Games. La volontà alla base del titolo è quella di riportare Silent Hill al suo glorioso passato, con tutto quello che questo comporta. Ma sarà davvero così?

Dietro le sbarre

Il nuovo, malcapitato protagonista si chiama Murphy Pendleton, un carcerato pronto al trasferimento verso un nuovo penitenziario. Non sappiamo perché Murphy è dietro le sbarre, nè da quanto è rinchiuso, l’unica cosa che riusciamo ad intuire è un passato molto più tormentato di quello che sembra (caratteristica della saga, sarebbe da aggiungere). Dopo un sogno così lucido e sanguinolento da lasciare interdetti, il nostro viene fatto salire su un bus che lo porterà verso la sua nuova "dimora". Dimora che non raggiungerà mai, perché, dopo un incidente, il bus cade in una scarpata e Murphy si ritrova da solo in mezzo ad un bosco nebbioso e minaccioso. Vicino al bosco sorge una nostra vecchia conoscenza, la cittadina di Silent Hill, con tutti i suoi incubi, la sua nebbia e i suoi mostri, dai quali è impossibile fuggire.

Inizia così un’avventura molto più devota al passato di quanto ci si aspetterebbe. Se in Homecoming la tensione e il senso di impotenza avevano lasciato spazio a meccaniche più action, Downpour riprende tutti i punti di forza storici della saga: nebbia ovunque, atmosfere angoscianti e personaggi quasi impotenti di fronte all’orrore. è comunque la componente narrativa uno dei veri motori di tutta l’esperienza. Se da prima la trama procederà lenta, con sporadici dialoghi con alcuni personaggi secondari e piccoli flashback, tanto da far cadere nella noia alcuni momenti particolarmente tediosi, da metà avventura in poi prenderà il sopravvento, incollando letteralmente alla sedia sino alla conclusione del gioco. Il problema è che, a parte il protagonista, la cui personalità e la cui storia riescono a reggere da soli la narrazione, gli altri personaggi appariranno spesso come macchiette. 

In seconda battuta ecco ritornare preponderante, come in passato, l’atmosfera, ancora una volta malata e angosciante, fatta di colori marci e paesaggi affogati nella nebbia. A dar man forte alle tinte fosche ecco aggiungersi i mostri, pochissimi in tutta l’avventura, ma abbastanza tosti da rendere gli scontri quasi sempre impegnativi. A questo va aggiunto un equipaggiamento bellico del tutto inadeguato, fatto di assi di legno, accette, spranghe di ferro e qualche rarissima arma da fuoco, resa ancor più preziosa da proiettili quasi introvabili. Spesso e volentieri il combattimento diventerà un opzione troppo impegnativa, tanto da farci preferire la fuga. Purtroppo, anche se l’idea di fondo è perfetta per un titolo del genere, perché effettivamente aumenta la suspence e la tensione, quando si tratta di malmenare qualche mostro le cose si fanno complicate, non tanto per la difficoltà in sè degli scontri, ma per un mal calibrato sistema di combattimento, che renderà tedioso colpire e pararsi. Le animazioni non aiutano, rendendo difficile capire quando un mostro sta per attaccare, mentre la rottura delle armi, per quanto sia un’idea valida, risulterà troppo approssimativa e sin troppo castrante.

 

Con il combattimento in secondo piano, tornano fondamentali le fasi esplorative, cosa che avvicina Downpour al primo capitolo della saga. Quella che si para subito davanti è una mappa vasta, ridimensionata però da burroni, crepe ed alberi crollati che ne limitano l’esplorazione. Non saranno rari i momenti di smarrimento, nei quali ci ritroveremo a girovagare alla ricerca del nostro obiettivo primario, persi tra vicoli annebbiati e case sporche di sangue, tutti luoghi dove raccattare qualche medikit e qualche arma di fortuna. Si tratta di momenti morti, spesso noiosi, che tolgono forza all’incedere narrativo. Non mancano anche missioni secondarie e misteri da svelare, con tanto di enigmi la cui risoluzione si rivelerà davvero complessa. Ovviamente, gli enigmi costelleranno anche la missione principale e se all’inizio si parla di enigmi di poco conto, man mano che la missione proseguirà, la faccenda si farà molto più complessa, tanto che ad inizio partita potremo settare la difficoltà degli enigmi. I giocatori di vecchia data troveranno pane per i loro denti. 

Ritornano anche i momenti dell’otherworld, che in Downpour assumono una dimensione nuova, fatta di corse sfrenate per sfuggire ad un misterioso vuoto che minaccia di inghiottirci. Ci ritroveremo in ambienti malati, fatti di ingranaggi arrugginiti e stanze a gravità invertita, dove i muri si allungano come se respirassero e le porte si spostano. Si tratta dei momenti più psicologi e riusciti di tutta l’avventura, costellati ovviamente dagli immancabili enigmi, che qui diventano se possibile ancora più cervellotici. 

Piove a Silent Hill

Graficamente il titolo appare già vecchio. Il solito e ormai abusato Unreal Engine non è stato adoperato a dovere e per quanto l’atmosfera ricreata appaia abbastanza marcia e lugubre, la componente puramente tecnica non riesce a reggere il confronto con titoli più recenti (il paragone con Alan Wake è praticamente scontato). Certo, non mancano scorci inquietanti o rare prodezze tecniche, ma in linea generale la qualità si mantiene su livelli medio-bassi, con texture sfocate, problemi di tearing e qualche calo di frame-rate di troppo. Anche gli elementi che a prima vista potrebbero sembrare un punto di forza, come la stupenda realizzazione dei visi, si trasformano ben presto in difetti. L’iper realismo dei volti non fa che accentuare la bruttezza delle animazioni, probabilmente il cruccio più grande di tutta la componente grafica. I movimenti sono irreali, specialmente se si parla di mostri, scattosi e poco credibili, senza parlare di molte e frequenti compenetrazioni poligonali. Solleva un pò gli animi l’ottima illuminazione, componente vitale di qualsiasi survival horror che si rispetti.

 

Fenomenale, come sempre, il comparto sonoro. La saga ci ha abituati a suoni ambientali inquietanti e a musiche capaci di far rizzare i capelli in testa ad un calvo. In downpour torna tutto quanto, e anche se Akira Yamaoka è stato perso per strada, le tracce musicali si fanno apprezzare. Ottimo anche il doppiaggio inglese, capace di caratterizzare i personaggi e le situazioni di tensione, e intaccato solo dalla pessima animazione facciale, che spesso non coincide con l’emozione del momento e della voce.

Verdetto finale

Downpour non è privo di difetti, primi tra tutti un comparto grafico non all’altezza e un sistema di combattimento troppo impreciso. Non è sicuramente il gioco che ci si sarebbe aspettati, ma anche con tutte le sue numerose pecche riesce a riportare la saga in lidi a lei congeniali. L’atmosfera è agghiacciante, la trama pienamente godibile e gli enigmi abbastanza tosti da non far rimpiangere le glorie passate (specialmente in una generazione dove basta sparare a qualsiasi cosa si muove). Insomma, c’è tutto quel che serve a riempire di gioia il cuore dei fan di vecchia data, che ritroveranno tutti gli elementi per cui Silent Hill è diventato famoso. Gli altri potrebbero trovare il titolo interessante, a patto di chiudere un occhio sulle infinite imprecisioni tecniche, su un gameplay un pò insipido e su un plot inizialmente lentissimo.  

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