Contrast – Contrast

In un gioco di ombre le aree scure assumono un ruolo suggestivo, a tratti divertente, a tratti spaventoso. Tale suggestione si può instaurare in maniera differente da persona a persona. Ad alcune può creare disagio, ad altre riporta alla mente emozioni differenti. Nei momenti più esaltanti, però, essa aiuta a sbilanciare la fantasia creando un mondo surreale e tenero, pieno di ricordi e momenti bizzarri. I ragazzi di Compulsion Games hanno voluto ambire a questa situazione con lo sviluppo di Contrast. Hanno giocato con questo variare di zone non illuminate, creando un qualcosa di stilisticamente diverso e geniale, che, magari, grazie ad un impegno maggiore, sarebbe potuto diventare un vero e proprio cult.

La storia viene rappresentata in una città non ben definita durante gli anni 20, all’interno della quale si fanno sentire con forza l’atmosfera jazz dell’epoca e una forte componente noir. Una città onirica resa vivida dai dialoghi delle ombre che si distendono sulle superfici, con una sola presenza in carne ed ossa: la dolce e servizievole signorina Didi, che sta cercando inesorabilmente di rimettere insieme i cocci della sua famiglia. Per portare a termine tale compito, la sua amica immaginaria Dawn le verrà soccorso: possiede infatti una capacità che le permette di trasportarsi dal mondo reale al mondo delle ombre in presenza di una qualsiasi fonte luminosa. Una caratteristica predominante in un mondo popolato da sole ombre.

Fin dai primi momenti, Contrast si è dimostrato molto diverso da qualsiasi altro gioco visto finora. Ha aperto le danze raccontando la sua storia in un ambiente noir, mantenendo salda la sua componente tenera. I dialoghi infatti non spiccano per complicatezza o per ingegno. Si evidenziano per la loro genuinità e semplicità: sono facilmente comprensibili. In questo modo il team ha avuto la possibilità di dare maggiore attenzione agli stati d’animo dei personaggi stessi, regalando una soddisfacente interpretazione della loro sceneggiatura. Le ombre di cui parliamo sono quelle di persone vere e proprie, potenzialmente invisibili in questo mondo surreale, e come tali provano emozioni e sono pieni di dubbiosi interrogativi.

Questa libertà espressiva viene però sfortunatamente stroncata dalla limitatezza intrinseca di un gameplay troppo poco soddisfacente. Se da un lato inizialmente lo storytelling cammina di pari passo con un avvicente nuovo stile di gioco, successivamente stanca un po’, a causa della sua ripetitività (e mancanza di rigiocabilità). Non basta neanche l’abilità di Dawn che permette di passare da un mondo in 3D ad un mondo platform, gestito dalle ombre. Quello che doveva essere un puzzle game eccellente e innovativo, ha subito poi una caduta di stile quando ha deciso di utilizzare la meccanica – trita e ritrita – dello “sposta l’oggetto sull’interruttore per aprire la porta”. Proprio quando la componente luci/ombre era riuscita a convincere con la sua diversità, tutto il resto diventa praticamente scontato. Non c’è un solo enigma che richiede poco più di una manciata di minuti per la sua risoluzione. Problemi grafici a parte, naturalmente.

É infatti la grafica un altro punto a sfavore del titolo. Il vero problema sono dei piccoli bug che nei momenti meno opportuni possono anche obbligarvi a dover riavviare il gioco. Imbarazza il fatto di rimanere bloccati nelle texture! Tutto il resto è ben definito, senza sbavature troppo evidenti e con buona scelta delle mimiche facciali. I particolari delle ombre e dell’illuminazione sono invece gestiti egregiamente, e sono il fiore all’occhiello dell’intero Contrast. 
Quello che convince al cento per cento è invece la scelta musicale. Per l’ambientazione non si potevano scegliere brani migliori, il jazz e sub-generi vi accompagneranno per l’intero corso del gioco ed eviteranno di farvi perdere la pazienza. 

Che cos’è quindi Contrast? Un indie? Un puzzle game con una spruzzata di platform e tanta atmosfera noir? Si, ma poteva essere molto di più. Un gioco di luci e di ombre che poteva seriamente puntare all’eccellenza e all’olimpo, ma che si è trascinato fin troppo a lungo nella ripetizione. E quel “troppo a lungo” è un grande eufemismo: poco più di due ore di gioco! Veramente infime per il suo prezzo di vendita.
DI certo se i ragazzi di Compulsion Games avessero dedicato al titolo un’attenzione maggiore, magari a 360 gradi, andando a restaurare ogni minimo particolare prima della sua uscita, ad oggi questa recensione sarebbe del tutto diversa. Ci si aspetta un sequel, con data ancora da destinarsi, e si spera che non arrivi molto presto. Forse in questo modo riuscirà a lavare via quell’amaro che questo primo titolo ci ha lasciato in bocca.

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