[RETRO] Half-Life 2 – Recensione

Our benefactors

A voler essere sintetici, il filo del racconto è descrivibile come una sequenza lineare di avvenimenti in cui il protagonista assume gradualmente il ruolo di artefice della rivolta. Il solito Fps che per quanto bello si regge su binari ben nascosti? Può darsi, ma la narrazione si allontana dai canoni abituali. Nulla è palesato, nulla viene descritto minuziosamente in lunghe sequenze di intermezzo, come troppo spesso accade nelle maggiori produzioni americane. Sta tutto nella capacità personale di saper carpire il significato dei fatti e i dettagli che li circondano. La storia inizia muovendo i primi timidi passi all’interno della stazione di City 17, e il giocatore alla prima partita è ignaro di qualsiasi cosa sia accaduta fino a quel momento, o in corso d’opera. Il mondo appare sconosciuto e ostile: una telecamera fluttuante che ci fotografa appena scesi dal treno; megaschermi con il volto del Dr. Breen che trasmettono i suoi discorsi melliflui; polizia ovunque; una creatura aliena schiava che pulisce il pavimento e cittadini intimoriti che seguono i percorsi stabiliti… Dettagli inizialmente incomprensibili, ma che lasciano spazio a riflessioni che piano piano delineano un quadro della situazione, comprensibile senza bisogno di una voce narrante.
E dopo aver vagato un po’, il dottor Freeman trova inaspettatamente un volto amico, Barney. Un personaggio già noto nel predecessore ma che qui assume un ruolo di più ampio respiro, così come tutti gli altri alleati che si incontrano nell’arco dell’avventura, parti integranti della medesima e non semplici apparizioni come avveniva. Da quel momento, inizia la lotta al potere per poter giungere all’ovvia conclusione di spodestare il Dr. Breen, e per raggiungerlo Gordon deve esplorare una moltitudine di ambienti, da angusti edifici a lunghe strade costiere da percorrere in auto.

La cittadella, il centro del potere


Operation crowbar

Ci sono una moltitudine di motivi per vivere questa esperienza di (mezza) vita attraverso l’HUD minimalista di Gordon Freeman, in particolar modo se non ne avete ancora avuto l’opportunità. Ma piuttosto che elencarvele parlando dell’aspetto visivo del titolo, che al giorno d’oggi difficilmente potrebbe essere motivo di attrazione, osserviamo qualcosa che pare banale ma che costituisce di fatto la base del gameplay di questo e ogni altro sparatutto: le armi.
Gordon, oltre alla sua iconografica spranga, ha accesso ad un discreto numero di strumenti di morte, più o meno unici. Abbiamo, tra le altre, una pistola 9mm, una SMG, un fucile a pompa ed un revolver, arnesi piuttosto diffusi in molti giochi e che hanno esattamente l’utilità che vorremmo: letalità a distanza ravvicinata per il fucile, precisione per il revolver, rapidità per la SMG; inutilità per la 9mm, probabilmente l’unica arma del gioco che superati i primi livelli perde importanza, pur mantenendo la caratteristica di essere una delle due armi a distanza utilizzabili sott’acqua. L’altra è la balestra, che fa parte delle armi più “esotiche” del titolo, e di fatto copre l’assenza di un fucile da cecchino, permettendo uccisioni istantanee che peraltro inchiodano il nemico agli oggetti alle sue spalle. Ovviamente le munizioni sono piuttosto limitate, così come lo sono per armi più pesanti come il lanciarazzi, che in questo gioco ha la particolarità di essere guidato con un laser che segue il mirino del giocatore, permettendo di divertirsi a fargli compiere evoluzioni attorno ai nemici prima di colpirli, gesto peraltro necessario contro alcuni bersagli volanti che tenteranno di abbattere il missile prima di essere colpiti. Esistono anche altre armi che non citiamo, ma possiamo dirvi che il bilanciamento delle medesime e la carenza di munizioni per le più potenti è un grande pregio che lascia al giocatore la soddisfazione di poterle usare tutte al meglio a seconda della necessità, senza renderne superflua nessuna.
Ma prima di passare al prossimo capitolo, resta da citare qualcosa, qualcosa di cui tutti abbiamo sentito parlare: è il marchio di fabbrica di Half-Life 2. Stiamo parlando ovviamente della gravity gun.
Quest’arma ha rappresentato per i videogiochi una piccola rivoluzione: è uno strumento che permette di attrarre e sospendere a mezz’aria oggetti di medio peso e dimensioni, da poter lanciare contro i nemici o da usare come scudi, nonché per poter liberare percorsi bloccati e sfasciare quasi tutto quello che ci si para davanti. In alcuni casi è anche necessaria per risolvere “enigmi” basati sulla fisica, che come vedremo dopo ricopre una grande importanza nel titolo, probabilmente più di qualsiasi altro videogioco uscito prima di allora.

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