Double Dragon Revive Recensione
Prima di addentrarsi nel cuore di Double Dragon Revive, vale la pena ricordare cosa rappresenta davvero il picchiaduro a scorrimento: un’epoca in cui l’azione era diretta, il ritmo serrato e ogni pugno raccontava una storia di strada. Questo filone, dopo il tramonto degli anni Novanta, ha conosciuto una sorta di eclissi, faticando più di altri a compiere la transizione al tridimensionale e attraversando un lungo periodo di stagnazione creativa.
Per anni la produzione è rimasta esigua, limitata a sporadici tentativi (talvolta di pregevole fattura) fino all’alba del decennio corrente, quando il genere ha mostrato i segni di una rinascita silenziosa ma significativa.
Nell’epoca più recente, i titoli riconducibili a questa categoria si sono distinti in due principali direttrici. Da un lato, si annoverano le produzioni esteticamente curate ma di natura essenzialmente effimera, che spingono verso l’immediatezza e destinate a un consumo rapido, venendo recuperate soltanto per occasionali sessioni ludiche conviviali e immediate, in linea con l’eredità dei classici arcade: si pensi a opere come Turtles Shredder’s Revengea o all’irresistibile Castle Crashers.
Esiste, poi, una nicchia più ristretta di prodotti che, nel corso degli anni, ha tentato di intervenire sulla formula basilare, ricercando e talvolta individuando soluzioni creative per rinnovare o persino reinventare il genere, con fortune alterne: ne sono esempi Fighting Force, Urban Reign, The Bouncer, Streets of Rage 4, River City Girls e il meraviglioso Absolum. Ebbene, Double Dragon Revive si colloca all’interno di questa nicchia sperimentale, nel bene e, non meno significativamente, nel male.
Da sempre cultore e ammiratore del genere, la visione dei trailer che hanno anticipato l’uscita di Double Dragon Revive, questa più recente incarnazione della saga creata dalla Technos Japan Corporation nel lontano 1987 ha suscitato in me un’immediata e intensa curiosità, mista a una non celata preoccupazione.

Make me bad
L’opera è stata realizzata da Yuke’s, software house che in passato si distinse per l’hack and slash di Berserk su Dreamcast, specializzandosi poi nella produzione di titoli dedicati al Wrestling, e che ora ritorna al genere su concessione di Arc System Works, detentrice dal 2015 dei diritti dell’intero catalogo Technōs Japan, inclusi Kunio-kun, River City e Super Dodge Ball.
Double Dragon Revive si presenta come il tentativo di rinvigorire la storia dei fratelli Lee in un formato tridimensionale e contemporaneo, risvegliando entusiasmo negli appassionati e accendendo la curiosità dei nostalgici, poiché l’epica saga originaria continua a occupare un posto di rilievo assoluto nel pantheon dei picchiaduro a scorrimento.
Esteticamente mantiene la prospettiva tradizionale a scorrimento laterale tipica del genere , che adotta però un sistema di combattimento a 360 gradi. Tale meccanica strizza l’occhio alle controparti tridimensionali del genere (come i Fighting Force e Urban Reign per i più maturi, o la serie Yakuza come riferimento moderno).
Credo sia importante partire in questo caso dalla caratteristica più evidente di Double Dragon Revive: dal punto di vista visivo infatti, il giudizio non può che essere marcatamente critico: sebbene lo stile sia pulito e funzionale, si rivela nel contempo incredibilmente generico e poco ispirato. Questa veste grafica ha l’effetto di rendere scenari e personaggi eccessivamente levigati e spogli di personalità, un difetto palese nel confronto con il design di Marian in River City Girls 2. Il titolo fallisce nel ricreare l’atmosfera originale di pericolo urbano e quello stile distintivo dei classici.
I modelli poligonali, sebbene accettabili, hanno portato alla rinuncia ad alcune caratteristiche storiche di design (come nel caso di Abobo). In generale, l’ambizione di operare la prima transizione tridimensionale del franchise si scontra con criticità stilistiche e tecniche evidenti.
Migliore è, tuttavia, la resa di animazioni ed effetti speciali: Double Dragon Revive sfrutta una telecamera dinamica che, spostandosi su inquadrature energiche durante l’esecuzione delle mosse più potenti, enfatizza adeguatamente l’azione, conferendo un benvenuto elemento di dinamicità al combattimento. La colonna sonora è un mix di rock nostalgico e remix di brani classici, è funzionale e accompagna con la giusta energia l’azione.
Tuttavia, pur essendo adeguata al genere, non eguaglia in alcun modo né la memorabilità dei motivetti originali più volte ripresi, né la qualità della splendida colonna sonora di Neon o di River City Girls.
Ambientato in una metropoli allo sbando, divorata dal crimine e dalla corruzione, Double Dragon Revive riprende le premesse del capostipite del 1987, sforzandosi di espanderne l’universo narrativo mediante l’aggiunta di un contesto più definito e di una maggiore consapevolezza del suo retaggio.
Gli eventi di Double Dragon Revive si focalizzano ancora sui fratelli Billy e Jimmy Lee, impegnati nel ripristino dell’ordine a seguito di una nuova ondata di bande criminali, ma questa volta il racconto ambisce a un tono più serio. Vengono introdotte motivazioni e tensioni più articolate tra i personaggi e si tenta di delineare un mondo urbano più tangibile, sebbene rimanga saldamente ancorato agli stilemi dell’action anni Ottanta.
È palese lo sforzo di conferire alla trama una maggiore presenza e coerenza, dettagliando eventi che nel titolo originale erano appena accennati, quali l’origine del caos cittadino e il ruolo delle diverse fazioni criminali. Nonostante questo tentativo di approfondimento, la narrazione si configura sostanzialmente come un pretesto per scandire il ritmo della sequenza di combattimenti, e la storia (pur curata) di Double Dragon Revive non trascende mai la superficie di un classico racconto di vendetta e giustizia.

Firestarter
L’aspetto più riuscito risiede indubbiamente nella modalità di narrazione della storia: l’intera vicenda è narrata attraverso un doppiaggio convincente e una serie di cutscene statiche in stile fumetto, ottimamente realizzate e visivamente gradevoli.
Non si raggiungono i vertici di verve e leggerezza di River City Girls, complice un tono più tradizionale e austero, ma la presentazione finale risulta comunque piacevole, capace di fornire al gioco una cornice narrativa più solida e, quantomeno, un’identità meglio definita rispetto al semplice sfondo delle scazzottate che caratterizzava l’opera originale.
Per quanto concerne il sistema di gioco, l’operazione su carta è concettualmente ambiziosa: presenta un sistema di combo vario e l’introduzione di elementi moderni (già visti nella recente rinascita del genere), come la possibilità di attacco a 360 gradi, il parry per interrompere attacchi avversari e il notevole uso dell’ambiente a fini offensivi e difensivi.
Il lavoro compiuto si distingue per la diversificazione dei quattro personaggi giocabili, i fratelli Lee, Marian e il ninja Ranzo, all’interno di un sistema di combattimento stimolante e dinamico, particolarmente apprezzabile a livello normale, dove il semplice button mashing si rivela inefficace e invita il giocatore a padroneggiare con criterio le varie opzioni a disposizione.
L’avventura richiede la padronanza dell’intero set di mosse: dai due attacchi base, al colpo speciale a energia non consumabile e di combo che, associate alla parata e al colpo caricato, ampliano l’arsenale offensivo oltre ad una mossa finale che richiede tempo per essere caricata ma dal potere devastante.
L’idea di varietà è presente, ma il sistema di combattimento fatica a evolversi, palesando una notevole inferiorità di fronte ai benchmark di attuali. Se da un lato il gioco supporta combinazioni a terra di notevole lunghezza, dall’altro l’inspiegabile limitazione ai combattimenti aerei risulta anacronistica. Dopo un solo colpo, gli avversari cadono a peso morto, frustrando qualsiasi tentativo di estendere l’azione in verticale.
In contrasto, la cura meticolosa riservata al combattimento a terra lo rende più gratificante e strategico. Tuttavia, si registra la mancata inclusione di molte mosse avanzate introdotte in Double Dragon Gaiden, una scelta che privilegia probabilmente l’accessibilità immediata e la fluidità generale rispetto alla complessità tecnica. A integrazione, il sistema di combattimento presenta alcune peculiarità problematiche. In primo luogo, l’impossibilità di “cancellare” (annullare) le mosse con gli attacchi speciali, una rigidità aggravata dalla lunghezza delle animazioni che sovente induce la sensazione di comandi non responsivi.
Ancor più singolare è, in secondo luogo, l’impossibilità di reagire efficacemente (tramite parry) alle mosse non parabili dei nemici; queste possono essere interrotte solo con un colpo speciale tempestivo, costringendo il giocatore a subire passivamente il danno quando bloccato in un altra animazione limitando la libertà tattica. In definitiva, il combat system si configura come un’esperienza interessante ma palesemente incompiuta e grezza, con ampi margini di miglioramento. Nonostante le lacune, riesce comunque a intrattenere.

Freak on a Leash
Laddove il combat system già manifesta una sconcertante rigidità, le sezioni di platforming incluse nell’avventura, concepite per offrire varietà all’azione, si rivelano un autentico elemento di calvario ludico, esacerbando in modo esponenziale il giudizio negativo sulla reattività dei comandi.
In tali frangenti, che interrompono maldestramente il flow del combattimento, l’interazione del giocatore con l’ambiente diviene ulteriormente goffa e imprecisa. Il tentativo di calcolare distanze e traiettorie si scontra con una inspiegabile inerzia e con un’esecuzione dei salti che risulta terribilmente poco responsiva.
Il gioco, che già fatica a trasmettere la necessaria fluidità nell’azione diretta, collassa completamente nel momento in cui richiede la precisione millimetrica propria del platform, trasformando il semplice superamento di un ostacolo in una fonte di frustrazione inattesa che distoglie dal pur tiepido divertimento offerto dalle risse.
Fortunatamente, lungo i livelli sono stati opportunamente collocati numerosi checkpoint che consentono il pieno recupero dell’energia vitale; una scelta saggia, poiché in loro assenza i danni provocati dalle inevitabili cadute nel vuoto avrebbero finito per bilanciare, in modo fin troppo severo, la scarsa aggressività e la limitata pericolosità dei nemici.
È doveroso sottolineare che l’importanza strategica dell’interazione ambientale si rivela notevole, conferendo al giocatore la facoltà di sfruttare attivamente lo scenario per infliggere danni ingenti e aggiuntivi ai nemici.
Questa meccanica diviene un elemento imprescindibile per la vittoria in più di una circostanza: i personaggi possono proiettare gli avversari contro ostacoli quali reti elettrificate, colonne o muri, innescando reazioni a catena che infliggono danno vitale o, in specifici casi, li eliminano istantaneamente (ad esempio, lanciandoli oltre una vetrata).
Tale approccio strategico si dimostra cruciale in almeno due delle principali boss fight, dove lo sfruttamento ambientale è essenziale per infliggere il quantum di danno necessario. A completamento dell’arsenale offensivo, il giocatore dispone di un discreto assortimento di armi bianche, dalle classiche mazze da baseball a oggetti meno convenzionali, che possono essere sottratte agli avversari e impiegate attivamente.
Un elemento non meno trascurabile di biasimo è rappresentato dalla ridotta longevità dell’opera. La modalità narrativa principale si conclude in meno di quattro ore di gioco effettivo, anche procedendo con calma (a fronte di un costo di lancio non irrisorio).
Sebbene una modalità extra offra un’estensione dell’esperienza con missioni a difficoltà crescente che sbloccano biografie ed informazioni addizionali, la scarsità e la poca ispirazione del roster giocabile limita drasticamente l’incentivo alla rigiocabilità, mettendo in discussione il valore intrinseco complessivo del prodotto.
A queste riserve si aggiunge una severa nota di disapprovazione proveniente dagli autori stessi della saga: i membri dell’originario team di Technōs Japan, storici creatori di Double Dragon, hanno pubblicamente espresso il loro dissenso, dichiarando di non riconoscere questo capitolo come un autentico Double Dragon e accusando esplicitamente la produzione di mancare di rispetto al retaggio della serie, un giudizio che appare pienamente condivisibile.

Double Dragon Revive, in conclusione…
In sintesi, Double Dragon Revive si attesta come uno dei candidati più forti a peggior capitolo recente della saga, pur non raggiungendo il fondo toccato da Rosetta Stone e Double Dragon IV, ma risultando inferiore ai moderni Neon e Gaiden.
Il gioco offre gli stilemi essenziali del beat ‘em up: personaggi iconici, interattività ambientale e un ritmo arcade in cooperativa risultando gradevole unicamente per chi persegue una rapida e nostalgica evasione ludica, particolarmente se condivisa. Accettabile unicamente per gli inguaribili nostalgici, la sua sufficienza è a malapena raggiunta.
Non può che limitarsi a osservare con malinconica distanza opere che lo surclassano in ogni aspetto, persino con la presenza dei celebri fratelli Lee e soci, quali River City Girls 2 e i suoi contenuti scaricabili dedicati, senza neppure osare disturbare quel miracolo videoludico di recente uscita che risponde al nome di Absolum.
Accettabile solo per gli inguaribili nostalgici, Double Dragon Revive si candida al peggior capitolo recente
Pro
- Sistema di combattimento a terra
- Interazione Ambientale Strategica
Contro
- Veste Grafica e Direzione Artistica
- Longevità
- Sistema di combattimento aereo