Phantasy Star Portable – Recensione Phantasy Star Portable
Nel sistema di Gurhal, tre pianeti, Parum, Moatoob e Neudaiz, ospitano gli umani e le razze da loro create: CAST, Neoumani e Bestie. Entrate in conflitto, esse si sono battute per oltre 500 anni in una cruenta guerra che si è diffusa in ogni angolo del sistema. Alla fine di questo scontro, il trattato di pace firmato dalle specie ha permesso l’inizio di un lungo periodo di concordia, e gli abitanti hanno trovato il modo di convivere serenamente. Nel frattempo, orbitante nello spazio, la colonia dei Guardiani ha continuato ad accomunare giovani combattenti di razze diverse sotto un unico obiettivo, il bene del sistema Gurhal. 100 anni dopo il trattato di pace che aveva sancito la fine della guerra, però, il periodo di serenità di queste popolazioni è destinato ad essere bruscamente interrotto da una terribile minaccia: l’invasione degli alieni SEED.
A questo punto della storia hanno inizio le avventure del giovane Ethan Waber, un giovane di razza umana, che si lancia nella battaglia contro gli invasori per proteggere la sorella Lumia sino a divenire un guardiano protettore. Questa è la storia narrata in Phantasy Star Universe (PSU), capitolo “principale” della serie Phantasy Star, il quale percorre gli eventi più importanti della lotta contro i SEED. Solo qualche anno dopo aver cacciato gli alieni, invece, il pericolo si ripresenta su console portatile, dove stavolta il protagonista è un personaggio creato da zero scegliendo tra le combinazioni disponibili. La vicinanza cronologica agli eventi di PSU finisce con il coincidere con quella tecnica al sistema di gioco: Phantasy Star Portable, spin-off della serie, ma allo stesso tempo sequel di PSU e prequel dell’espansione PSU: Ambition of the Illuminus, pur dotato di una trama inedita, si presenta come una “modalità esterna” al titolo principale, al quale è profondamente ispirato in tutti gli altri aspetti.
Il primo incontro con la dolce Vivienne
La nuova minaccia SEED
Pochi anni dopo il punto di unificazione che ha permesso di isolare e allontanare i SEED, il ripresentarsi dei pericolosi mostriciattoli alieni metterà di nuovo in allerta la colonia dei Guardiani. Il protagonista di questi eventi, fatta la conoscenza della simpatica Vivienne (un modello superiore di CAST, robot antropomorfi tecnologicamente avanzati) inizierà lentamente la sua indagine sui nuovi avvenimenti, addentrandosi sempre di più in un’avventura sicuramente ricca di sorprese. Con a disposizione l’intero mondo di PSU, e insieme agli stessi protagonisti della guerra contro i SEED (Leo, Karen, Maya e altri, compreso lo stesso Ethan), il personaggio scelto dovrà destreggiarsi tra razze diverse, type di combattimento sempre più complessi e nemici di volta in volta più agguerriti.
L’inizio della modalità storia è ben sostenuto da un ottimo tutorial, capace di illustrare senza lacune l’intero sistema di gioco, tutt’altro che povero. Scelti la razza e il type di partenza, il personaggio creato presenterà già caratteristiche peculiari che si evolveranno nel senso delle scelte compiute, impedendo l’utilizzo di determinate tecniche e/o armi a favore di altre. Così come il personaggio, anche il type crescerà di livello, sino a raggiungere soglie limite che permetteranno l’accesso a nuovi modelli più potenti. Le armi e l’intero equipaggiamento saranno presenti in massa e con caratteristiche differenti: armi a una mano, a due mani, pistole, fucili, archi, piccoli robot di supporto, bastoni e staffe per le “magie” (TECNICHs) e tante altre, tutte facilmente gestibili grazie all’Action Palette, già vista in PSU. Con questo sistema, basterà collocare gli oggetti nel dispositivo di selezione rapida, per poterle avere velocemente a disposizione in battaglia tramite la semplice pressione di un tasto. Quest’accorgimento si rivelerà indispensabile soprattutto per la frenesia di alcuni scontri, nei quali riuscire a cambiare da un’arma all’altra in poco tempo potrà essere decisivo per la vittoria. Utile anche l’inventario, diviso per tipologie, anche se poco capiente: a meno di vendere gli oggetti meno utili alla fine di ogni missione, si dovrà spesso rinunciare a qualcosa sul campo proprio per via della scarsa capienza.
Il battle system è in terza persona e in tempo reale: man mano che si proseguirà nei vari dungeon si incontreranno gli avversari “a gruppi” e si potrà decidere se attaccarli usando normalmente l’arma equipaggiata oppure sfruttando le “Photon Arts”: queste sono tecniche speciali “linkate” all’arma capaci di rilasciare una potenza maggiore, sfruttando i Photon Points (PP) dell’equipaggiamento (variabili e ricaricabili sferrando attacchi normali o con il tempo). I PP sostituiscono un po’ il ruolo dei classici “MP” e, più generalmente, rappresentano la fonte di energia specifica del sistema di Gurhal: ciò che più conta è che gli attacchi speciali si riveleranno decisamente più potenti di quelli standard, assumendo un’importanza sempre maggiore durante il gioco. Ciò condizionerà a sua volta anche la scelta di un’arma, ciascuna dotata di quattro parametri principali: PP, Attacco (o TECNICH), Precisione e un ultimo dedicato alle proprietà elementali (non sempre presenti).
Il resto dell’equipaggiamento viene completato dalle “armature” da indossare (divise per zone del corpo) e dal vestiario, quest’ultimo ininfluente in battaglia.
In ogni caso, in ciascuna battaglia si potrà sempre contare su almeno un compagno di squadra (fino a quattro massimo), imposto dalla CPU nelle Story Missions e scelto/i dal giocatore nelle Free Missions.
Queste ultime costituiscono le varie quest da affrontare: dopo la prima missione del gioco diventeranno disponibili sempre più Free Missions (FM), compiti secondari da portare a termine parallelamente alla storia principale. Ogni FM presenterà quattro livelli di difficoltà accessibili ciascuno solo dopo aver raggiunto i requisiti richiesti (quasi sempre un livello minimo ritenuto adeguato ad affrontare i mostri presenti), mentre varieranno anche gli oggetti e le ricompense ottenibili, sempre più rari.
Manca un sistema di strategia del party, per cui in ogni missione i compagni scelti si muoveranno senza un comando preciso e cercheranno di dare il massimo. Fortunatamente, ogni volta che cadranno in battaglia basteranno loro pochi secondi per ritornare in gioco al massimo della salute, sollevando così il giocatore dall’onere di prendersi cura dei compagni feriti o incapacitati.
Tipico caos da combattimento per i type che preferiscono il corpo a corpo
Una storia secondaria
La difficoltà complessiva si mantiene adeguata per tutta la durata del gioco, salvo poi innalzarsi esponenzialmente nel finale, costringendo il giocatore a lunghe e numerose sessioni di FM per raggiungere livelli ed equipaggiamenti adeguati. La trama, totalmente inedita, si mostra sin da subito “secondaria” rispetto a quella di PSU, nel quale la minaccia aliena era sicuramente più vasta e pericolosa. L’antagonista si scopre a brevi passi e riesce ad assumere un carattere ben preciso, ma nel resto del gioco mancano personaggi di spessore o nemici degni di tale nome: quasi sempre i boss sono mostri enormi o un gruppo di nemici più potenti del normale, altre volte, risultano ancora più anonimi.
Questi ultimi aspetti sarebbero potuti essere, tutto sommato, poco rilevanti, ma ad essi si aggiunge quello che è il difetto principale di Phantasy Star Portable: la ripetitività.
Indipendentemente dai nemici anonimi o dalle ambientazioni poco curate e originali di ogni missione, queste ultime diventano, dopo poche ore di gioco, terribilmente simili e monotone, oltre che a lungo andare logoranti. Lo schema è sempre il solito: si inizia dalla prima zona, si sconfiggono i nemici, si ottengono le “key” per liberare il passaggio e proseguire, si arriva alla seconda zona, si ripete tutto fino alla terza zona e alla fine di questa si incontra il nemico finale, bello grosso e pronto al combattimento. Dopo averlo sconfitto, la missione finisce. Già ripetitiva in questo caso, la storia diventa davvero pesante a causa della divisione di ciascuna Story Mission: dopo aver finito la “parte 1” della missione (e aver già affrontato il procedimento sopra riportato), il giocatore sarà costretto ad affrontare quasi sempre la parte 2 (identica, ma con un diverso boss finale) e talvolta anche un’eventuale parte 3, arrivando in questo caso a desiderare ardentemente la fine (definitiva) della missione. Tuttavia, anche ritornando alla colonia, il copione non cambia: anche le FM presentano questa struttura, seppur ridotta ad un’unica parte. Si può facilmente concludere che tecnicamente i sistemi di combattimento, crescita ed equip sono ben realizzati, ma messi in pratica con questa tipologia di missione non bastano per convincere il giocatore a continuare il gioco. Conoscere già il mondo di PSU potrebbe aiutare ad apprezzare meglio gli interventi dei vari personaggi o alcuni avvenimenti della storia, ma allo stesso tempo si avrebbe un modello di paragone con il quale il capitolo per PSP non potrebbe assolutamente competere.
Tra l’altro l’intero gioco coincide (trama a parte) con l’Extra Mode dello stesso PSU, addirittura ridotta in quanto il movimento esterno alle missioni è limitato a cursori e menù. Solo la trama rimane dunque l’unico motivo per il quale si potrebbe giocare a questo capitolo portatile, soprattutto per le informazioni riguardanti gli Illuminus (utili nell’espansione PSU: Ambition of the Illuminus); la trama, ma anche la multi-mode.
Più si è, più ci si diverte
Phantasy Star Portable è ispirato così ampiamente al capitolo Universe da presentarne in maniera quasi identica le due modalità secondarie: l’Extra Mode di PSU diventa la Story Mode del Portable, mentre il multiplayer da online diviene locale, tramite connessione ad hoc. Così, mentre prima era possibile formare squadre composte da un massimo di sei membri, adesso bisogna limitarsi a quattro: tuttavia, considerando il carattere “locale” di questa modalità, quattro utenti PSP connessi ad hoc fra di loro sono anche difficili da trovare.
Questo rappresenta di fatto l’unico vero limite ad una modalità che, se fosse maggiormente accessibile, potrebbe risollevare le sorti di un gioco fin troppo monotono e sfruttare davvero la moda del multigiocatore che ultimamente si sta diffondendo sulla console portatile Sony. Con due o tre amici al proprio fianco, le combinazioni in battaglia potrebbero diventare molteplici (anche a seconda dei type e delle razze di ciascun personaggio) e l’esperienza di gioco arricchirsi quanto basta per superare l’onnipresente ripetitività. Seppur non eccellente, rimane comunque un’ottima opzione, da non sottovalutare, che potrebbe da sola cambiare il valore finale del gioco e convincere all’acquisto chi sarebbe in grado di sfruttarla.
In una sessione della Multi-mode, quattro amici affrontano i SEED di Raffon Meadow
Alla fine?
La Multi-mode, per quanto interessante, rimane comunque una modalità secondaria rispetto alla Story Mode. Quest’ultima, a sua volta, si presenta ben realizzata tecnicamente, con una grafica discreta, una trama accettabile (seppur povera), un battle system dinamico e una gamma di armi non indifferente, ma non riesce a superare l’ostacolo della ripetitività, il quale diviene fin troppo evidente dopo alcune ore di gioco. Ciò che dispiace è che le premesse per un ottimo gioco ci sono tutte, ogni parte sembra curata quanto basta e l’insieme si mostra più che piacevole, ma questo monotono sistema di missioni impedisce davvero di provare ad iniziare nuovamente la Story Mode con una nuova razza. Un titolo che resta da provare per chi ha apprezzato Phantasy Star Universe, ma che non farà perdere nulla a chi deciderà di dedicarsi ad altro.