Simon the Sorcerer Origins Recensione
Scrivere di Simon the Sorcerer Origins oggi rappresenta per me un piccolo privilegio. Il primo incontro con Simon, nel 1993, fu una scoperta condivisa con mio padre, un momento di complicità che colma il vuoto che c’è nel mio cuore. Ritornare in questo mondo significa rivivere quella meraviglia, ridere e sentirmi nuovamente bambino davanti a uno schermo.
La storia di Simon the Sorcerer Origins comincia nel 1993, quando la britannica Adventure Soft lanciò il primo Simon the Sorcerer. Era una delle gemme dell’età d’oro delle avventure grafiche, un viaggio bizzarro e ironico in un mondo fantasy che mescolava Tolkien e fiabe europee, il tutto condito da una generosa dose di umorismo britannico.
Ciò che rese, e rende tutt’oggi, Simon the Sorcerer unico non è tanto la trama, tutto sommato canonica, quanto il tono. Simon è figlio del suo tempo, e quale tale sarcastico, irriverente, quasi insofferente verso l’assurdità del mondo che lo circonda. I dialoghi sono intrisi di un umorismo squisitamente inglese, più vicino ai Monty Python o a Discworld di Terry Pratchett che alle fiabe tradizionali.
La sceneggiatura, scritta da Simon Woodroffe, è ancora oggi considerata una delle più brillanti dell’intero genere e gli enigmi, per lo più basati sull’inventario, oscillano tra il logico e l’assurdo, talvolta richiedendo soluzioni creative, altre volte rasentando la pura follia.
Valeva la pena fare un passo indietro, perché da quelle origini nasce Simon the Sorcerer Origins, il nuovo progetto di Smallthing Studios, team ligure che, forte della passione per il titolo del 1993 e della creatività che li contraddistingue, ha ottenuto il benestare dei fratelli Woodroffe per realizzarne un prequel ufficiale.
Va premesso che Smallthing Studios non si limita a una mera operazione nostalgia: costruisce un vero e proprio ponte tra il classico del 1993 e un pubblico moderno, riportando in vita l’ironia, il fascino e le atmosfere della serie, ma con una veste grafica contemporanea e un ritmo più accessibile. L’obiettivo è raccontare come Simon sia diventato lo stregone che conoscevamo, senza tradire lo spirito originale.
Simon the Sorcerer Origins: solita trama, insoliti enigmi
La trama delle avventure punta e clicca (eccetto rari casi), in particolare quelle svincolate da tematiche prettamente investigative, non brilla per originalità. È risaputo, e Simon the Sorcerer Origins non sconfessa questo dogma. Essendo un prequel del primo capitolo (1993), il titolo vuole informare il giocatore su come il giovane Simon sia entrato in contatto con il mondo magico e con il mago Calypso.
L’avventura ha inizio nella cameretta di Simon, (una parte introduttiva che funge da tutorial del gioco), il quale, sconsolato, é reduce da una cocente delusione scolastica. Un attimo dopo, un paradosso temporale lo trascina nel villaggio di Fleur de Lys e il confine tra la normalità e il fantastico si dissolve in un istante.
Per i vecchi giocatori, l’interazione con questo mondo magico assume le vesti del deja vù. Calypso, la taverna, Sordid e i Goblin hanno la funzione di instillare nel giocatore la tranquillità nel sentirsi a casa, nel ritornare a vestire panni già vestiti, nel riprendere i contatti con un vecchio amico il cui ricordo ci tormenta da parecchio.

Nulla è stato lasciato al caso nella (ri)costruzione di un mondo di gioco che sprizza tradizione ma al tempo stesso modernità, animato dall’intenzione di rendere omaggio a un classico che funge da sequel ispiratore. Si respira, si guarda, si assume. Non può toccarsi, certo, eppure Simon the Sorcerer Origins, quando è possibile, butta l’occhio al passato.
Il titolo riproduce difatti la classica “escalation” verso il nemico numero uno, Sordid. Simon è un mago, o forse sarebbe più corretto dire Simon “fa” il mago, inesperto. Ha bisogno di una bacchetta magica (lo strumento più inutilmente utile del gioco) e di una via per entrare nell’Accademia dei maghi.
L’obiettivo principale è scoprire qualcosa di più sul Primo Mago, ovverosia colui che la magia l’ha utilizzata per primo, una figura la cui aura riecheggia costantemente nelle varie aree che compongono il mondo di gioco. La magia si è persa, però, e quello che resta oggi è un misero ricordo di grandi maghi e grandi epoche.
Tu, giocatore, sei un mago inesperto, oberato di oggetti all’interno del tuo inventario, che servono a risolvere enigmi apparentemente impossibili sino a quando vengono risolti. Quindi provi a spremere le meningi, realmente immaginando che una piuma, in combinazione con un petardo, possa realmente dare vita a un oggetto utile per risolvere un enigma.
Quando le meningi risultano oramai decotte, vai un po’ a tentativi, richiudendoti in una coltre di vergogna mista a sottovalutazione, aspettando il lampo di genio, che arriva, fidati di me. La soluzione di ogni enigma è proprio sotto i tuoi occhi: a volte, basta cambiare la prospettiva con cui si intendono alcuni oggetti, altre volte è sufficiente cambiare il cappello (ci torneremo, promesso).
È un modo di ragionare che richiama i fasti delle vecchie avventure di LucasArts, nelle quali assurdo e logico convivevano in perfetto equilibrio, ma anche nello spirito stesso delle prime scorribande di Simon: un mondo nel quale ogni oggetto nascondeva un significato e ogni interazione costituiva un piccolo atto di ribellione all’assurdità della vita quotidiana.
Simon the Sorcerer Origins riprende quella filosofia nella proposizione degli enigmi, restituendo al giocatore la gioia, simile a quella di una serrata partita di scacchi, di sentirsi al tempo stesso smarrito e geniale, sospeso tra certezze e supposizioni. È una fusione che, a mio parere, centra perfettamente il cuore di tutte le avventure grafiche.
Apri l’inventario, oggetti, incantesimi, cappelli
Simon the Sorcerer Origins rimane, nell’accezione più profonda del termine, un esercizio di logica travestito da fiaba. Dopotutto, come ogni avventura punta e clicca che si rispetti, anche questa trova nel suo inventario l’anima più autentica dell’esperienza di gioco, rappresentando il terreno in cui il giocatore si “sporca le mani”.
Gli enigmi rappresentano l’ossatura ludica del gioco, alla stregua di piccoli ingranaggi di un meccanismo più grande, che invitano a osservare, sperimentare, riflettere. Ogni ostacolo deve essere superato facendo ricorso agli oggetti raccolti durante il cammino attraverso l’interazione tra gli stessi e l’ambiente ovvero combinandoli tra loro per crearne un terzo.
Quella che viene proposta da Simon the Sorcerer Origins è una danza tra logica, a tratti carente nella mia esperienza (sigh), e intuito, largamente più efficace, un rituale che ha il compito di restituire al giocatore la sensazione di immergersi nel mondo di gioco e comprenderlo passo dopo passo, enigma dopo enigma.
Con l’avanzare dell’avventura, la componente magica entra in scena in modo più marcato. Simon, difatti, apprende una serie di incantesimi, legati principalmente ai quattro elementi (acqua, terra, fuoco, aria) che, da un lato, ampliano il novero di possibili metodi per risolvere gli enigmi e, dall’altro, introducono una nuova “dimensione” di gioco.

A questi si aggiunge un sistema di trasformazione degli oggetti, legato a due cappelli magici che il protagonista può ottenere completando una sequenza magica descritta nel mondo; strumenti magici, quindi, tanto eccentrici quanto utili, che mutano le proprietà intrinseche di determinati oggetti e la percezione degli stessi all’esterno, influendo sull’utilizzo.
Un semplice incensiere, ad esempio, può diventare “benedetto” cambiando copricapo, sbloccando così nuove possibilità di interazione. È una trovata brillante, ma anche una lama a doppio taglio: tale meccanica innalza notevolmente il livello di difficoltà, perché rende quasi impossibile affidarsi al classico metodo del “provare tutto con tutto”. Le variabili aumentano, e la logica degli enigmi richiede un’attenzione più profonda, un ragionamento che vada oltre la cieca sperimentazione.
In ragione di ciò, non tutte le sezioni scorrono leggere come una piuma e più di un enigma si rivela davvero intricato, tanto da richiedere uno sguardo attento e una mente lucida. È necessario, difatti, osservare con cura ogni oggetto in proprio possesso, coglierne i dettagli, esaminandoli con il tasto apposito, leggendo con precisione (e un pizzico di surrealismo) le descrizioni degli stessi.
Simon the Sorcerer Origins non perdona la superficialità! L’apparenza è un ostacolo da superare immediatamente per non farsi trovare impreparati, col rischio di abbandonarsi al caso. Il risultato è un’esperienza che, nella mia run, ha raggiunto le quindici ore di gioco, complice l’amore per l’universo di Simon, ma anche un pizzico di nervosismo al cospetto di enigmi ardui.
Alla fine, il gioco ti tiene per mano solo fino a un certo punto. Il resto lo devi guadagnare con attenzione, pazienza e momenti di frustrazione, in particolare poiché non è presente alcun sistema di aiuto. Quando finalmente la soluzione arriva, il sorriso che ti strappa è più dolce di qualsiasi facilità, elevando il mix di sfida e soddisfazione per rendere Simon the Sorcerer Origins un’avventura da vivere fino in fondo.
Eppure, da circa metà gioco, ho avvertito un leggero cambio di passo. Gli enigmi, inizialmente ingegnosi e surreali, tendono a semplificarsi, quasi come se il titolo volesse evitare di mettere troppo alla prova il giocatore. Alcuni puzzle risultano più espliciti, talvolta persino guidati, riducendo quel margine di sperimentazione e assurdità che rappresenta il cuore pulsante del punta e clicca.
È una semplificazione che ho trovato contrastante con l’evoluzione narrativa del titolo, aspettandomi che, a fronte della possibilità di utilizzare incantesimi e cappelli diversi, il titolo innalzasse notevolmente la difficoltà verso il finale. Al contrario, ho avuto la percezione che Simon the Sorcerer Origins abbia scelto la via più sicura, una via più vicina all’avventura, intesa nell’accezione più classica del termine, e meno sperimentale.
Una scelta che può essere spiegata anche dal diverso approccio tecnologico rispetto al titolo originale. Il titolo, infatti, non si basa sul celebre motore SCUMM, cuore delle avventure LucasArts e del Simon del 1993, la cui struttura più rigida e macchinosa contribuiva a rendere l’esperienza più complessa e, in un certo senso, meno immediata.
Questa nuova impostazione, più fluida e moderna, semplifica inevitabilmente alcune dinamiche, restituendo al giocatore un titolo certamente più accessibile, ma anche meno “spigoloso”, dove il margine d’errore e di sperimentazione risulta maggiormente più contenuto, a fronte di un sistema di controllo innovativo.
There ain’t no mistaking, It’s true love we’re making
Chiuso il taccuino degli enigmi, tocca ora osservare ciò che circonda Simon. È qui che il lavoro di design e rivisitazione realizzato da Smallthing Studios si impone: Simon the Sorcerer Origins si concede la libertà di reinterpretare il classico, costruendo un mondo che ha quale obiettivo primario quello di rivivere nuovamente.
Il viaggio di Simon si articola in tre luoghi principali (il villaggio di Fleur de Lys, l’Accademia dei maghi e la Palude), tre spazi distinti, ma posti in continuità tra di loro (la presenza del viaggio rapido facilita), anche narrativa, che raccontano le tappe della crescita del protagonista e del giocatore, costituendo il mezzo con cui il gioco introduce un meccanismo di progressione.
Il villaggio accoglie, l’Accademia forma e la Palude mette alla prova il giovane Simon. Ci troviamo, quindi, dinanzi a un tentativo, ben riuscito, di omaggiare la scuola artistica del titolo originale, mantenendo una leggibilità moderna, un gusto rappresentativo il più vicino possibile all’illustrazione nonché lo spirito del capitolo che tanto ha divertito i più vecchietti.
Il tutto viene scandito da una colonna sonora che accompagna senza mai risultare invadente, uno strato musicale che si adagia sui momenti di scoperta con naturalezza. Le composizioni originali realizzate da Mason Fischer si alternano tra melodie più leggere e attacchi maggiormente malinconici, sposando perfettamente il tono ironico dell’avventura.
Simon the Sorcerer Origins si apre con Together Forever, celebre canzone di Rick Astley, e la mente velocemente corre in direzione di un passato ricco di musica pop e dance. Anche il doppiaggio, in particolare quello inglese (che vede il ritorno di Chris Barrie come voce di Simon), contribuisce a restituire un senso di familiarità che i fan della saga percepiranno all’istante.
La realizzazione artigianale di Simon the Sorcerer Origins colpisce, a partire dai frame disegnati a mano (circa 15.000), fino agli ambienti e ai personaggi, animati con grande cura. Il mondo di gioco trasmette coerenza: i personaggi si spostano, cambiano posizione a seconda della progressione e contribuiscono a creare la sensazione di trovarsi in un luogo realmente vivo. Tuttavia, a fronte di questa accuratezza visiva e di movimento, ho percepito un limite nella costruzione narrativa del contesto.
La presenza o assenza di certi personaggi, o di specifici oggetti, non incide realmente sull’esperienza. È come se la loro funzione rimanesse confinata a un ruolo predefinito, senza quella naturale evoluzione che potrebbe rendere il mondo ancora più reattivo. Si tratta, va detto, di un’impressione personale, che emerge proprio perché il resto del lavoro è così curato da far desiderare un ulteriore passo in avanti nella caratterizzazione del mondo e dei suoi abitanti.
Il risultato è un mondo incantevole da guardare e in cui perdersi, ma leggermente passivo, a tratti privo di entità, in cui le interazioni sembrano seguono schemi prevedibili. Sia chiaro, si tratta di un “difetto” che non intacca l’esperienza di gioco ma che ricorda, invero, quanto l’avventura punta e clicca costituisca principalmente un esercizio di ragionamento misto a immaginazione, più che imprevedibilità.

Simon, oggi, può funzionare?
Simon the Sorcerer Origins si colloca oggi in un panorama in cui le avventure grafiche hanno vissuto un periodo di forte sperimentazione. Negli ultimi anni, il genere ha visto titoli che cercano di distinguersi per una narrazione più matura, estetiche bizzarre e puzzle sempre più complessi, combinati spesso con elementi di esplorazione libera o meccaniche innovative.
In questo contesto Simon the Sorcerer Origins si presenta come un titolo conservativo ma consapevole, che punta sulla solidità dei classici del punta e clicca senza cercare rivoluzioni. La sua forza, dopotutto, risiede nella coerenza interna, nell’umorismo britannico e nella capacità di far convivere logica e creatività in modo accessibile.
Il design dei puzzle è uno degli aspetti più riusciti. Il titolo non complica inutilmente le sfide e la difficoltà del titolo cresce in modo graduale e mai artificioso, con momenti di frustrazione bilanciati da piccole soddisfazioni quando la soluzione si rivela evidente ma ingegnosa. Alcuni limiti sono evidenti, come accennato, pur tuttavia questi aspetti non compromettono l’esperienza di gioco, che resta centrata sugli enigmi e sulla narrazione.
Dal punto di vista della fruibilità nel mercato moderno, Simon the Sorcerer Origins funziona perché parla sia ai nostalgici sia a chi cerca un’avventura punta e clicca solida e comprensibile. Chi desidera innovazione estrema o gameplay complessi potrebbe trovarlo conservativo, ma questa scelta consapevole lo rende accessibile e fedele alla tradizione. Il titolo dimostra che il fascino del punta e clicca classico è ancora valido, capace di offrire sfida e divertimento.
Francamente, il titolo funziona perché mantiene saldo ciò che rende il genere speciale ovvero enigmi che stimolano la mente, ambienti coerenti, un tono ironico e una narrativa comprensibile ma coinvolgente. È un titolo che sa parlare a due pubblici diversi, preservando il patrimonio delle avventure grafiche classiche senza rinunciare a una veste contemporanea.

Il ritorno a Fleur de Lys
Ritrovarmi davanti a Simon the Sorcerer Origins è stato come riaprire un vecchio libro illustrato, le cui pagine sono intrise di ricordi. Smallthing Studios è riuscita in un’impresa tutt’altro che semplice ovvero restituire vita e identità a una delle avventure più emblematiche degli anni Novanta, mantenendo intatto lo spirito originale e adattandolo al linguaggio di oggi.
Simon the Sorcere Origins non tenta di reinventare la ruota, e forse è proprio in questa sua onestà che risiede la sua forza. Tutto, dall’artigianalità della realizzazione al tocco pungente dei dialoghi, concorre a evocare la sensazione di tornare a casa dopo molto tempo. Certo, non mancano limiti e momenti di stanchezza, tuttavia, risultano marginali di fronte alla coerenza complessiva dell’opera e alla sincera passione che traspare in ogni dettaglio.
Per chi ha amato l’originale del 1993, Simon the Sorcerer Origins rappresenta un atto d’amore nonché un ritorno consapevole e rispettoso che non si limita a citare, ma rinnova. Per chi invece si avvicina per la prima volta a Simon, costituisce una porta d’ingresso ideale a un genere che continua a sopravvivere grazie alla sua intelligenza e all’innovazione.
Simon the Sorcerer Origins rappresenta un ponte ben saldo tra passato e presente, combinando enigmi ardui, una ironia britannica e un mondo splendidamente disegnato a mano.
Pro
- Ironia e spirito del 1993 perfettamente preservati
- Enigmi creativi e stimolanti, tra logica e assurdo
- Mondo disegnato a mano e colonna sonora immersiva
- Magia e cappelli ampliano le possibilità di gioco
- Progressione narrativa chiara
Contro
- Alcune aree e personaggi appaiono statici
- Difficoltà decrescente dei puzzle
- Ritmo a tratti lento e prevedibile