Back in Time – Drakengard

In un modo o nell’altro, anche Drakengard ce l’ha fatta: lo scorso 11 settembre si è celebrato il quindicesimo anniversario di una saga che avrebbe potuto terminare molto, molto tempo fa, considerata anche la fine di Cavia. E invece, grazie a Square Enix, la serie è riuscita a proseguire, in un modo del tutto contorto (che abbiamo già illustrato l’anno scorso).

Per l’occasione, la nostra rubrica Back in Time torna a parlarvi del capostipite, uscito in eslusiva su PlayStation 2.

Descrivere le meccaniche del gameplay con l’etichetta “Action JRPG” sarebbe alquanto riduttivo e forse improprio, per cui è bene precisare fin da subito, senza andare a inalberarsi in infinite questioni di catalogazione, che Drakengard si compone di almeno due anime ben distinte, quella hack and slash e quella shooter, incarnate dal guerriero Caim e dal dragone a cui è legato da un patto.

La prima vede Caim massacrare migliaia di nemici in stile Shin Sangoku Musou. Evitando critiche banali e fuori luogo sulla ripetitività di fondo di tali fasi e sulla scarsa I.A., dal momento che ciò equivarrebbe a stigmatizzare l’intero genere, bisogna comunque constatare che Drakengard è inferiore alla serie Koei, che tra il 2003 e il 2005 viveva probabilmente i suoi anni migliori, con Dynasty Warriors 4 e 5. Il difetto principale consiste nel fatto che di rado si sente la sensazione di essere immersi in un’immensa battaglia campale, anche quando siano presenti più di mille nemici, e questo per i motivi più disparati: non c’è traccia di alleati a fare un po’ di scena, le battaglie sono sì sanguinose, ma silenziosissime a esclusione della musica, e i soldati si raggruppano in manipoli abbastanza piccoli e isolati dagli altri da tonnellate di nebbia.

Uno degli aspetti su cui ha puntato il developer è l’immenso arsenale di Caim, che si compone di sessantacinque armi suddivise in otto categorie. Peccato che il giocatore sia poco incentivato a sperimentare, sia perché gli spadoni funzionano sempre a meraviglia, sia a causa di un sistema di crescita delle armi penalizzante, basato sul numero di uccisioni: poniamo, come esempio, che voi arriviate al quinto capitolo con lo spadone iniziale, ormai a livello 3 (su 4), e troviate una mazza che potrebbe rivelarsi molto potente; ebbene, per potenziarla dovrete ripetere le missioni precedenti o svolgere quelle secondarie alla ricerca di tonnellate di carne da macello. Inoltre, un arsenale così vasto si è rivelato un’arma a doppio taglio (perdonate il gioco di parole, NdR) nella misura in cui si è deciso di vincolare il raggiungimento del quinto e ultimo finale al completamento dell’arsenale stesso. Un’impresa ben poco piacevole, che vi costringerà a finire tutte le missioni secondarie, spesso semplici “doppioni” di quelle principali.

L’ultima freccia all’arco di Cavia è costituita dalla possibilità di utilizzare il drago anche in queste sessioni (compatibilmente con lo scenario, ovviamente: se siete all’interno di una fortezza non potrete salire in groppa al vostro alleato), trasformando lo scontro d’arma bianca in un becero bombardamento: divertente, senza dubbio, non tanto per una realizzazione impeccabile, quanto per la sensazione di onnipotenza che si prova sterminando una dozzina di combattenti con una palla di fuoco. Attenzione, però, ché gli arcieri e la catapulte possono rivelarsi una spina nel fianco…

Il secondo momento ludico è rappresentato dalle sezioni di volo, in cui bisogna polverizzare tutto. Si tratta di un ottimo arricchimento alla formula di gioco, nonché di una trovata di impatto, ma qualcosa è andato storto: il sistema di controllo “pigro” rende alcuni frangenti abbastanza frustranti. La sensazione è quella di non essere padroni del drago come si vorrebbe, non essendo possibile rallentare la velocità di crociera o effettuare in scioltezza manovre elusive, invero piuttosto impacciate. Quasi tutte le boss fight, purtroppo, andranno affrontate in sella alla bestia alata e potrebbero produrre una certa frustrazione, soprattutto nei casi in cui vogliate sbloccare tutti i finali, siccome vi sarà imposto un limite di tempo per avere la meglio sul nemico di turno. Nel caso in cui l’impresa vi sembri impossibile, potete sempre allenare un po’ Caim, per ottenere un incremento dei punti vita, oppure il dragone stesso, per aumentarne la potenza di fuoco. Così, intanto recuperate pure qualche arma…

Se a quanto detto sopra aggiungiamo pure una realizzazione tecnica approssimativa (fogging, pop up, compenetrazioni, scenari spogli, animazioni legnose…), qualcuno potrebbe chiedersi dove risieda il fascino di Drakengard: la risposta sta nel comparto narrativo. Più che un mero discorso di trama, bisogna farne uno sull'”anima” del gioco, un’anima oscura e malvagia, sadica e perversa, ben diversa da quella che classicamente caratterizza un JRPG. Cavia non ha lesinato sulla violenza efferata, né su temi delicati, quali l’incesto, la pedofilia e l’infanticidio, che sono passati attraverso le “Forche Caudine” della censura, lasciando solo intuire cose che anche nella versione giapponese erano appena accennate. Musiche sconnesse, cacofoniche talvolta, dialoghi e doppiaggio a tratti deliranti, bizzarrie stilistiche di vario genere… un po’ tutto concorre a rendere Drakengard l’apoteosi del grottesco e del raccapricciante.

Il bello è che per vedere e godere (?) di quanto il gioco ha da offrire nella sua interezza non basterà arrivare al finale, che, anzi, è appena sopra le righe: per sbloccare i capitoli successivi all’ottavo e, di conseguenza, gli altri quattro finali, è necessario soddisfare requisiti vari, fra cui completare i capitoli extra, dedicati ai tre alleati che poi sarà possibile invocare pure in battaglia. Inutile dire che si tratta di innesti fondamentali che arricchiscono un plot particolare e appassionante, anche grazie agli ottimi filmati.

Piccole precisazioni sui finali: essi non si completano tra di loro, bensì sono alternativi. Fra i requisiti per sbloccarli, purtroppo, come abbiamo già accennato, ci sono richieste davvero scoraggianti, come quella di completare tutto l’arsenale o sconfiggere in un certo limite di tempo alcuni boss: si tratta di espedienti utili ad aumentare la longevità (che, da una quindicina di ore, può tranquillamente raddoppiare), ma è impossibile negare che siano abbastanza tedianti, obbligando il giocatore a completare tutte le missioni secondarie, che riciclano semplicemente il materiale della main quest senza aggiungere nulla in termini di trama e gameplay.

Drakengard


Drakengard è un gioco particolare, penalizzato pesantemente dalle pecche del gameplay e da alcune scelte discutibili. Chi abbia il coraggio di avvicinarvisi ugualmente, troverà una vicenda cupa, a tratti raccapricciante, e personaggi al limite del grottesco. Chiunque cerchi un’esperienza eccentrica troverà quel che cerca: alla fine Drakengard è un titolo con buone idee e premesse, che soffre a causa di una realizzazione non accurata. Ma forse anche questo fa parte del suo fascino deviato, decadente, scalcinato. Ma magari anche no.

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