Il Vangelo secondo Gamesource

No, non siamo impazziti e neanche vogliamo accostarci a un’opera come il Vangelo. In questo periodo di Pasqua però, ci sembrava interessante offrirvi un contenuto fresco e simpatico che potesse in qualche modo legarsi alla festività primaverile e al primo aprile, che in questo 2018 combaciano. La soluzione più azzeccata, quindi, ci è sembrata quella di creare un editoriale a quattro mani scritto da chi, nell’organigramma di Gamesource, possiede il nome dei quattro evangelisti (Luca, Marco, Matteo e Giovanni).

In questo editoriale ognuno di noi vi parlerà di una specifica saga videoludica che a suo parere è, oltre che molto rappresentativa del medium, una possibile fonte di avvicinamento al mondo dei videogiochi per chi vi si volesse avvicinare per la prima volta.

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Il Vangelo secondo Luca (di Luca Porro): Monkey Island

Un giorno di tanti anni fa mi chiesero: sapresti definire il videogioco? Non seppi rispondere. Ad oggi, con tanti giorni di gioco alle spalle e qualche conoscenza in più, probabilmente risponderei: Monkey Island. La saga videoludica pubblicata da LucasArts e sviluppata dalle geniali menti di Ron Gilbert e Tim Schafer è infatti l’essenza stessa del videogioco: divertente, dissacrante, emozionante, avvincente, ricca di humor dosato nei minimi dettagli e piena di richiami a grandi opere del genere piratesco e alla cultura contemporanea.

La saga di Monkey Island racconta la storia di Guybrush Threepwood, un giovanotto impacciato col sogno di diventare un pirata; ambientata in un arcipelago fittizio dei Caraibi, la saga vi porterà a salpare alla ricerca di una ciurma per salvare la figlia del governatore, Elaine Marley (in ogni capitolo in pericolo) e ad affrontare uno degli antagonisti più celebri di tutta la storia videoludica: il pirata fantasma LeChuck. Tra scimmie ubriache, pittori con l’uncino e Stan S. Stanman, verrete catapultati in un universo magico dal sapore unico ed emozionante, che saprà rimanervi impresso per molto tempo. Dal punto di vista della struttura, ogni capitolo di Monkey Island è un’avventura grafica in cui la risoluzione continua di puzzle ed enigmi (soprattutto attraverso la raccolta e l’assemblamento di oggetti) vi frà progredire nella trama. Intuitivo ma mai banale, lo stile di questa saga è risultato essere un prodotto dal successo assicurato che ad oggi ha tanti estimatori quanti emulatori. Essere immersi in questo turbinio di sensazioni contrastanti è forse il modo migliore, a mio avviso, per avvicinarsi al mondo videoludico per un neofita. Ridere per una battuta, emozionarsi per una sonorità o strabiliarsi davanti ad un immaginario così pittoresco, saranno i momenti che vi porterete dentro per molto tempo.

Insomma, Monkey Island in ogni suo capitolo è la scelta più logica per la mia visione del videogioco. La palette di emozioni che scaturiscono dal giocare a queste splendide avventure grafiche è qualcosa che ad oggi nessun gioco ha saputo più donarmi.

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Il Vangelo secondo Marco (di Marco Fazzini): Uncharted

L’avvicinamento al videogioco è un percorso del tutto personale: la bellezza del cabinato di Metal Slug, il fascino della partita a Turtles in Time fatta sullo Snes dell’amico d’infanzia, l’emozione di impugnare una light gun su PsOne con il primo Time Crisis… tutti momenti storici che – soprattutto per chi come me è uno stagionato videogiocatore over 30 – hanno lasciato un segno indelebile nel codice binario della propria nerd-esistenza. Qui però si va oltre, perché l’arduo compito non è parlare di videogiochi con chi li apprezza, ma scegliere un titolo o una saga in grado di evangelizzare chi, per scarso interesse o per chissà quale altro motivo, non si è ancora perso in questo affascinante mondo virtuale.

Scelta difficile, sì, ma fino ad un certo punto: nelle ultime due generazioni di console, senza nulla togliere agli altri titoloni scelti dai miei esimi colleghi per questo articolo a quattro mani, la saga più adatta per questa missione evangelizzante è quella di Uncharted. Il prodotto videoludico sfornato dai Naughty Dog nell’ormai lontano 2007 – ma grazie alla recente collection interamente fruibile sull’ultima arrivata PlayStation 4 – è un concentrato di emozione, azione, avventura e tecnica, tutti elementi perfettamente bilanciati che, se hanno esaltato così tanto noi appassionati, immaginatevi quanto possano far dilatare le pupille a chi non ha mai affrontato una simile esperienza. L’avventura di Uncharted è una di quelle in cui buttarsi a capofitto: Nathan Drake è il perfetto eroe senza paura – ma con macchia! – in cui immedesimarsi; i personaggi di contorno sono tutt’altro che di contorno e vantano la caratterizzazione e il dopiaggio (anche per quanto riguarda la localizzazione italiana) degne di un kolossal hollywodiano; i diversi livelli di difficoltà permettono un approccio che va dalle sparatorie arcade al realismo della modalità Hardcore di Uncharted 4, in un tripudio videoludico che può lasciare indifferente solo l’utenza veramente restìa alla tecnologia.

Chiunque abbia amato un qualsiasi Indiana Jones o sia rimasto affascinato da uno dei tanti misteri delle civiltà antiche può andare sul sicuro: Uncharted riuscirà dove addirittura le curve della più avvenente Lara Croft non hanno sortito effetto e  vi proietterà in un’avventura videoludica che vi terrà incollati allo schermo per tutta la durata dei quattro mirabolanti episodi che compongono una tetralogia che è già entrata nella leggenda del marchio PlayStation.

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Il Vangelo secondo Matteo (di Matteo Scannavini): The Legend of Zelda

Nella mia storia di videogiocatore, nelle diverse fasi che l’hanno caratterizzata, nelle diverse console, nei diversi paesi e nei diversi controller, c’è sempre stata una costante, una risposta che ho sempre avuto pronta. “Hey Matteo, qual è la tua serie preferita” “Beh, TIZIOACASO, semplice: The Legend of Zelda.”

Il mio primo contatto con la serie è stato addirittura ai tempi del Game Boy, all’incirca nel 1997/1998. All’epoca i miei polpastrelli di bambino bolognese avevano soltanto avuto a che fare con una sola console, appunto la mai troppo lodata portatile della Grande N, in attesa di ricevere qualche mese dopo una PlayStation ed entrare nel mondo del gaming in tre dimensioni. Le mie esperienze fino ad all’ora si erano limitate a titoli sportivi (FIFA 1996), discutibili giochi su licenza (Star Wars) o scadenti port da SNES (Street Fighter II), ma incontrare la cassettina di The Legend of Zelda: Link’s Awakening rappresentò la svolta. In quei pochissimi KB di gioco di ruolo portatile c’era tutto: un’avventura originale e fantastica, personaggi e dialoghi al limite dell’assurdo, un gameplay che combinava combattimenti e puzzle, un mondo incredibile tutto contenuto in una piccola cartuccia.

E da quel momento fu amore, ed è rimasto amore fino ai giorni nostri, per quello che considero davvero l’epitome del videogame, si tratti della sua versione 2D o isometrica o quella in 3D, recentemente arrivata a un mini-reboot con il bellissimo (ma dalle scelte di design discutibili) The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Se dovessi davvero “iniziare” qualcuno al videogioco, non potrei scegliere altro alfiere al mio fianco, per una serie che non cerca di “scimmiottare” il cinema o raccontare storie degne di un libro di G.R.R. Martin, bensì si fregia del suo essere un videogame, con i suoi pregi e i suoi difetti e, soprattutto, l’unicità di un’esperienza audio visiva interattiva, quella che dai tempi in cui mangiavamo Crostatine e leggevamo il sussidiario ci ha cambiato la vita.

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Il Vangelo secondo Giovanni (di Giovanni Ormesi): Fire Emblem

L’ultimo Vangelo è di quelli belli pesanti. La serie di Intelligent Systems è stata per lungo tempo – prima della svolta “pop” avvenuta in epoca 3DS a partire da Awakening del 2013 – fra le più difficili e spietate dell’intero panorama dei JRPG tattici. Giochi lunghi e punitivi, in cui una leggerezza in fase di posizionamento può decretare la morte permanente – il famoso permadeath, croce e delizia dei fan – delle proprie truppe.

Eppure, Fire Emblem è Vangelo, videoludico ovviamente. Il suo gameplay ha fatto scuola e per moltissimi anni è stato in grado di offrire sfide variegate e impegnative, senza però aggiungere elementi astrusi che andassero a impattare negativamente sulle meccaniche complicandole. Vale a dire: regole semplici, ma gioco impegnativo. A differenza di moltissimi altri esponenti del genere (da Tactics Ogre a Disgaea), in cui sono principalmente equipaggiamenti, abilità e sottosistemi di vario tipo a decretare l’esito della battaglia, per almeno dodici episodi Fire Emblem è rimasto un tattico posizionale pressoché incontaminato, in cui la disposizione delle truppe e la loro classe sono quasi tutto. Ed è proprio questo a calamitare il giocatore: in pochi minuti si entra in un sistema intrigante, fatto di rischi, di calcoli e di rischi calcolati. Insomma, tutti gli elementi di un gioco (non necessariamente video-) appassionante. Io ho cominciato a macinare tattici proprio grazie al mai troppo lodato Path of Radiance per GameCube; un titolo molto “evangelico”, non trovate?

Negli ultimi anni la situazione si è in parte modificata: esigenze commerciali hanno spinto Nintendo a “riammodernare” la serie (che ha addirittura rischiato la cancellazione), che ha perso alcuni dei suoi focus storici – anche negli intrecci, in passato più squisitamente bellici – in virtù di elementi quali la personalizzazione e il power playing, prima banditi dalla serie. Con questo non vogliamo dire che Fire Emblem abbia perso la sua forza evangelizzatrice; semmai, gli ultimi capitoli sono un po’ spuri…

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Concludendo, è chiaro che il mondo dei videogiochi è pieno di saghe bellissime ed emozionanti che non sono state citate all’interno di questo articolo (una su tutte Final Fantasy); nella scelta però, una componente fondamentale è stata sicuramente l’emozione personale e soggettiva che ha contraddistinto la crescita videoludica di ognugna delle firme di cui sopra. L’amore per questa forma d’arte chiamata videogioco nasce e cresce in modo diverso da persona a persona, ma se anche una sola frase di ciò che avete letto vi ha acceso una fiammella di interesse, allora la nostra missione sarà pienamente riuscita. Buone festività Pasquali dalla redazione di Gamesource!

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