Il Wii e la teoria della Natural Funativity

Vi starete chiedendo perché, se questi fattori sono sempre esistiti, solo ora il mercato videoludico sta avendo un’espansione così forte con persone di tutte le età che non hanno mai giocato prima? La risposta è nella sofisticazione che i videogames hanno sempre avuto. Fin dai primi prototipi, il videogioco si è sempre evoluto graficamente fino a diventare quasi fotorealistico nella grafica. Questo progresso non è stato però simile nei controlli: abbiamo sempre avuto il concetto del gamepad (o joypad, o joystick, arcade stick, pad…) che permetteva l’interazione con il gioco, e questa interfaccia “strana” non ha permesso l’avvicinamento al mondo videoludico a tutte quelle persone che, analizzando il medium, hanno ritenuto che non ci fosse divertimento nel giocare davanti ad uno schermo. Chi non giocava non poteva capire a prima vista il divertimento nascosto, perché il videogame costituiva una “maschera tecnologica” messa su una cosa che in realtà abbiamo fatto per millenni: giocare. Quello che il Wii ha messo in luce sono proprio gli aspetti fisici e sociali del videogioco che, privato dell’interfaccia complessa e “fredda” che è il joypad, appaiono anche all’occhio inesperto di un osservatore. Fra l’altro, il metodo di controllo è così immediato che chiunque può iniziare a giocare e dopo 20 minuti riuscire, se non a vincere, almeno ad essere alla pari di un giocatore abituale.

 

Ovviamente non tutti i software sono validi (su Wii c’è un sacco di shovelware): sto parlando di titoli come Wii Sports, Wii Fit, Boom Blox, Wario Ware… Questi permettono la scelta di diversi livelli di bravura, ma la cui curva d’apprendimento è relativamente bassa (anche una persona potrebbe prenderli in mano e giocare, ma poi ci vuole comunque tempo per diventare bravi). In questi giochi la componente mentale è abbastanza bassa, mentre è forte quella fisica e  quella sociale.
Dall’altra parte il DS… su di esso non si può certamente applicare il concetto del Wii, anche se il pennino risulta comunque più intuitivo di tasti e d-pad. Il DS, dal canto suo, ha puntato tanto sulla combinazione di divertimento fisico (anche se relativo solo alla mano) e divertimento mentale. Per quanto quest’ultimo sia sempre stato l’anima di puzzle game, strategici, giochi di quiz, ecc…, al pari degli altri anch’esso è sempre stato “nascosto” sotto una maschera di storie, scenari, personaggi che hanno finora attirato solo chi era già giocatore. Qui Nintendo, forte del suo appeal sui giocatori di console portatili (il Gameboy nelle sue varie forme non ha mai avuto problemi), ha catturato un’altra parte di audience grazie ai giochi della linea che ha battezzato “Touch Generations“. Sono tutti titoli basati sulla componente del touch screen (quindi anche qui un controllo immediato), che in più mettono in luce tutto il loro valore di videogames capaci di sviluppare la mente, risultando quindi appetibili anche per persone che hanno rinunciato alla componente fisica del gioco. Vengono in mente Brain Training, Big Brain Academy, Picross, Flash Focus, English Training, Math Training…

Dopo questa analisi, si potrebbe dire che il successo di Nintendo era già preannunciato. Ovviamente per la storica casa è stata una grande scommessa puntare su Wii e DS perché, come si sa, non sempre il grande pubblico rispetta le logiche di mercato, figuriamoci le logiche evoluzionistiche…

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Per chi avesse dormito negli ultimi tre anni facciamo un breve riepilogo.
Alla fine del 2005, la Microsoft ha lanciato una console molto potente, la Xbox360. La console ha riscosso successo: è poderosa, vanta (al giorno d’oggi) molti bei giochi, ha un servizio online fantastico (anche se a pagamento), è multimediale. L’anno dopo, nel mese di novembre, Sony e Nintendo hanno commercializzato nello stesso tempo le loro console, rispettivamente la PlayStation 3 e il Wii. Le due piattaforme vertono su diversi punti di forza: mentre la PS3 si avvicina molto all’Xbox come funzionalità e potenza, il Wii ha introdotto un controller “rivoluzionario” che è il punto centrale dell’esperienza di gioco.

Il Wii, infatti, viene venduto con un controller a forma di telecomando da TV che permette di giocare con gesti della mano (detto in parole molto povere). Esso è dotato anche di un sensore infrarosso, grazie al quale si può puntare lo schermo con la precisione di un mouse. Tutto questo ha permesso la creazione di giochi con funzionalità che coinvolgono i movimenti del corpo, come videogames di guida in cui si simula la rotazione del volante; di guerra, in cui si punta allo schermo per sparare; di calcio, in cui si dirige la squadra con il puntatore come un manager; giochi di lotta, in cui si mima il gesto di dare pugni.
Ora, dopo tre anni, il Wii fa ogni mese vendite maggiori di entrambe le altre console messe insieme, e praticamente è sempre stato così. La ragione di queste vendite è da ricercarsi nel target di persone che compra la console, sorprendentemente ampio, che va dal ragazzino di 8-10 anni che la chiede ai genitori, a coniugi di 40-50 anni che se la regalano per un occasione. Ma perché questo successo? Cosa spinge persone che non hanno mai giocato prima a prendere in mano un controller?

Nintendo predica da 3 anni che la persona media ha paura dei controller tradizionali e che il Wii, al contrario, permette un avvicinamento indolore al mondo del gaming grazie a controlli intuitivi. Questo è stato preso come pretesto dalle altre case (e relativi fan) per accusare i giochi Wii di troppa banalità. La cosa a volte è vera, perché quando una console riscuote tanto successo fioccano i titoli di qualità medio-scarsa, ma il pubblico non sembra pensarla allo stesso modo. Questa teoria che vado a proporre si chiama “Teoria della Natural Funativity”, pensata da un signore di nome Noah Falstein, un veterano del settore. Egli afferma che il divertimento (che non andremo a definire ora) si divide in tre componenti fondamentali, ognuna legata a giochi di un certo tipo. Falstein si aggancia ad alcune teorie riguardanti la nascita dell’uomo e la sua evoluzione…

Alla base di tutto c’è il concetto stesso di gioco (per ora non tocchiamo ancora il VIDEOgioco), la cui nascita si perde nella notte dei tempi. Il gioco veniva usato dai primi uomini come metodo per affinare le proprie capacità in un contesto sicuro, in vista dell’utilizzo in un ambiente ostile. Nel mondo preistorico, infatti, un movimento sbagliato poteva fare la differenza fra la vita e la morte, quindi era di fondamentale importanza essere pronti all’azione (e ad altri test più “mentali”, come vedremo) nel momento in cui ce ne fosse stato bisogno. Così i giovani giocavano alla lotta, in modo da sviluppare tutta una serie di movimenti e coordinazione del corpo, potenziando inoltre muscoli e riflessi. Questo rappresenta il divertimento fisico.

 

 

Inoltre il gioco sviluppa le capacità mentali, la memoria, la capacità di riconoscere pattern (si pensi a giochi come Scarabeo, i giochi di carte, gli scacchi).
Anche un gioco come Tetris, all’apparenza privo di qualunque riferimento alla realtà, può essere ricondotto alla seconda forma di divertimento, che è il divertimento mentale. In Tetris, infatti, il cervello deve lavorare al massimo per riconoscere al volo la sagoma del pezzo (in una frazione di secondo) e trovare al più presto il posto ottimale in cui incastrarlo, elaborando quindi la superfice dei pezzi già messi e incrociando questo dato con la conoscenza del pezzo successivo. Sembra complesso detto così, no? Tornando indietro nel tempo potremmo vedere i giochi mentali come un allenamento volto a sviluppare memoria e abilità nel riconoscere pattern, tracce, ecc… Quanto poteva essere importante ricordare a memoria le varie specie di piante per distinguere quelle velenose da quelle commestibili? E riconoscere le impronte di un animale a prima vista?

Altri giochi invece permettono di affinare un terzo campo di abilità, che sono quelle sociali. A tutti piace giocare in gruppo per dimostrare di essere il più forte o primeggiare anche solo per 5 minuti. E’ una voglia/necessità che colpisce anche i caratteri meno ambiziosi. I giochi “socializzanti” permettono inoltre di intraprendere rapporti sociali e lo scambio reciproco d’informazioni. Questo è il divertimento sociale. E’ lo svago e il piacere di chattare, di aggiungere amici su Facebook, su Myspace, di ricevere commenti sulle proprie foto ai quali rispondere, di postare un video su Youtube e ricevere un feedback.

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