Call of Duty: Modern Warfare 3 – Recensione Call of Duty: Modern Warfare 3

Uno dei brand più popolari degli ultimi anni ritorna in questo sfavillante terzo capitolo conclusivo. Modern Warfare è stato infatti fin dal principio concepito come una trilogia e in questo capitolo infatti troveremo molte risposte agli interrogativi posti nei capitoli precedenti. Il gioco vede ancora allo sviluppo i mitici Infinity Ward, anche se purtroppo orfani dei veterani West e Zampella, e l’esordio del promettente team dei Sledgehammer Games. Il titolo è stato accompagnato da un battage promozionale da parte di Activision senza precedenti, anche alla luce della sfida consumatasi con il prodotto EA Battlefield 3. Tutti si stanno chiedendo negli ultimi tempi quale sia il titolo migliore tra i due, quello che esce vincitore da questa sfida all’ultimo proiettile. Secondo il mio modesto parere i due titoli appartengono a due approcci e a due filosofie di gioco parecchio diverse. Mentre Battlefield 3 infatti ha puntato tutto sul realismo ai massimi livelli e su un multiplayer basato come sempre su mappe parecchio estese, Modern Warfare 3 è invece tutto azione e velocità come un successo holliwoodiano, trama ricca di colpi di scena compresa, dal multiplayer mordi e fuggi. La maratona e i cento metri insomma non si possono mettere a paragone.
 


La Terza Guerra Mondiale

Il gioco, al livello di trama, è il naturale proseguimento di quanto visto nel secondo capitolo e si compone di tre atti. Il terrorista russo Vladimir Makarov infatti, grazie al fondamentale aiuto del generale Shepard, è riuscito a scatenare un conflitto a livello globale che vede coinvolte le maggiori superpotenze. I focolai di battaglia sono dappertutto, dagli Stati Uniti  alla Germania, dal Regno Unito alla Francia, fino in Africa e in Siberia. Va da sè che in questo capitolo gli scenari saranno tutti prevalentemente a sfondo urbano con ambientazioni come New York, Londra, Parigi, Amburgo, Berlino e Praga, ma anche digressioni più esotiche come la Somalia o la già citata Siberia. Nella lotta finale contro Makarov torneranno in scena con tutto il loro carisma i capitani Soap McTavish e John Price. E pure Nikolai, il rinnegato infiltrato nel gruppo dei terroristi, questa volta dalla nostra parte. Come comprimari troveremo anche Derek Frost Westbrook, a capo della Delta Frost appunto, Marcus Burns del SAS, ossia le forze speciali britanniche, Harkov, una guardia del corpo del presidente russo e Yuri, un potente spetznaz. Non ci dilunghiamo oltre per evitare i rischi di spoiler e rovinare quindi le svariate sorprese di una trama molto ben congegnata e sviluppata dal grande Paul Haggis, sceneggiatore tra gli altri di Lettere da Iwo Jima. Possiamo dire però che di spiragli narrativi ne rimangono aperti ancora parecchi e che quindi non siamo proprio certi che questo sia il capitolo definitivo della serie.
 


In campagna

La campagna in single player non si discosta di molto da quanto visto nei titoli precedenti. Il gioco seguirà delle dinamiche strettamente correlate con la trama, con l’azione e l’adrenalina che scorreranno a fiumi e alcune scene realmente ad impatto, create ad hoc per tenere i giocatori incollati allo schermo. Lo script è come sempre piuttosto lineare e ingabbiato anche se avremo a disposizione diverse situazioni belliche con cui cimentarci, passando dal cecchino al mitragliere su un Black Hawk. Saremo quindi coinvolti in azioni più corali e movimentate mentre in altri casi ci ritroveremo a combattere in solitaria, con tutti i vari breach del caso. In single player il gioco ci è apparso ancora di più livellato verso l’arcade che in passato. Le armi ad esempio sono molto varie e numerose anche se il comportamento delle stesse appare parecchio simile per tutte le nostre scelte. Il rinculo ad esempio non esiste  e  sparare con un lanciagranate o un mitragliatore semiautomatico sarà un po’ la stessa cosa. L’intelligenza artificiale sia dei vostri compagni che dei nemici è stata lievemente migliorata, con operazioni di copertura più efficaci e una mira generale molto buona.  Un difetto che però abbiamo riscontrato è purtroppo il respawn a catena dei nemici in alcune sezioni che risulterà spesso oltremodo noioso. La campagna potrà essere giocata in quattro livelli di difficoltà differenti, da easy a veteran e in totale non ci porterà via più di quattro o cinque ore. Un single-player piuttosto breve come sempre, ma comunque sempre molto intenso e spettacolare data la varietà di situazioni che ci troveremo a vivere all’interno di esso.
 


Sono un bambino speciale

Tornano anche in questo terzo capitolo le cosiddette operazioni speciali già viste in Modern warfare 2, in una versione ampliata, riveduta e corretta. Questa volta avremo a disposizione due modalità differenti, ossia le Missioni e il Survival. Le Missioni, come accadeva in passato, ci consentiranno di cimentarci in speciali compiti in singolo o con un amico sia in rete che offline. Avremo a disposizione ben 16 missioni, ognuna con tre livelli di difficoltà e un tempo determinato per portare a termine il nostro compito. Questa esperienza di gioco risulta molto  divertente in virtù soprattutto della varietà di proposte che vanno dal salvataggio di ostaggi, all’infiltrazione fino al recupero in sordina di informazioni scottanti o della distruzione di qualche obiettivo. Vi ritroverete quindi ad esempio a coprire un vostro amico con un fucile da cecchino mentre lui sarà impegnato a disinnescare bombe dietro le linee nemiche. La modalità Survival è invece una “new entry” anche se ricorda parecchio da vicino quanto visto sia nella modalità zombie dei Call of Duty ad opera di Treyarch sia nel concept Orda di Gears of  War. Anche in questo caso quindi, assieme ad un vostro compagno, dovremo riuscire a resistere agli attacchi a ripetizioni di nemici sempre più numerosi. Fondamentale in questo caso sarà l’uso di tattiche diverse a seconda dei nemici che ci troveremo di fronte. Dovremmo fronteggiare infatti da kamikaze che vi si getteranno contro a tutta velocità a energumeni carenati di tuta anti proiettile che incederanno verso di voi tanto lentamente quanto inarrestabilmente. In nostro soccorso ci sarà un arsenale molto fornito e spesso anticonvenzionale, e tutta una serie di bonus che verranno attivati ondata dopo ondata.
 


Il cuore pulsante

Eccoci dunque giunti ad analizzare il vero fiore all’occhiello della produzione targata Activision. Tanto per cominciare diciamo che le mappe a disposizione sono 16, tutte ispirate alla modalità in giocatore singolo, tutte originali e divise in spazio aperto e campo chiuso con diverse features, tra dislivelli, posizioni da cecchino e quant’altro. Il level design è quindi di estrema qualità. La progressione del nostro alter ego è stata implementata e innovata e in questo ambito è stata inserita anche la gestione delle armi. A seconda dei punti esperienza infatti potremo equipaggiare tutta una serie di arnesi per il nostro arsenale per renderlo ancora più letale come ad esempio tutte le ottiche a disposizione per essere ancora più precisi nella mira. Per quanto concerne i perk ne sono stati introdotti di nuovi come Marksman o Stalker,  mentre rimossi quelli più odiosi, su tutti il Last Stand. Le Killstreak invece sono state rinominate PointStreak e per la prima volta si potranno accumulare punti anche attraverso il completamento degli obbiettivi di gioco. Le tre tipologie differenti sono Assault, Support e Specialist in cui nel primo caso guadagneremo punti attraverso distruzioni spettacolari, nel secondo aiutando i nostri compagni mentre nel terzo sbloccheremo un perk aggiuntivo. I punti che raccoglieremo in Assault e Specialist verranno azzerati alla nostra morte, mentre quelli di Support rimangono attivi. Questo comporterà una maggiore collaborazione all’interno delle squadre piuttosto che la ricerca forsennata della catena di kills. Le varianti di gioco disponibili sono ben 14, divise in standard  e avanzato. Senza soffermarci troppo su quelle classiche possiamo sicuramente citare due particolarissime novità, ovvero Kill Confirmed e Team Defender. La prima è un death match a squadre in cui le piastrine di riconoscimento dei soldati avranno un ruolo fondamentale, perchè se non raccolte dai cadaveri potranno dare modo alla squadra avversaria di negare l’uccisione. Nel Team Defender invece dovremo riuscire a mantenere la bandiera il più a lungo possibile, ottenendo punti doppi per le uccisioni. Sono presenti anche in  questo capitolo i match privati naturalmente, con ad esempio il Gun Game o il One in the Chamber presi direttamente da Black Ops. Un multiplayer  di stampo classico, ricco e in piena sintonia con quanto visto in passato con alcune interessanti innovazioni che abbiamo illustrato.
 

 

 

La guerra è bella anche se fa male

Il gioco fa affidamento sotto il profilo grafico sul motore IW Engine, ribattezzato per l’occasione MW3. L’aspetto estetico è ancora di tutto rispetto anche se il gioco, ad ogni nuovo capitolo, inizia a risentire un po’ il peso degli anni sotto questo aspetto. Il sistema di streaming delle texture è stato rinnovato dagli sviluppatori, soprattutto per via della nuova ambientazione urbana. Il design e l’effettistica sono ancora superlativi e danno il meglio di sè in sequenze come quella del lungo Senna nella capitale francese. I nei sono invece da ritrovarsi nell’aliasing diffuso e in alcune texture in bassa definizione. Il frame rate si dimostra sempre stabile a 60 frame al secondo e non rallenta mai anche nelle situazioni più caotiche. Il sonoro è buono, piuttosto migliorato rispetto ai primi capitoli, ma ancora non perfetto come nel caso della produzione di Electronic Arts per esempio. Il gioco come sempre vanta anche un buon doppiaggio in Italiano.

Un Call of Duty che colpisce ulteriormente nel segno e rappresenta ancora una volta un acquisto obbligato da parte di tutti gli aficionados del brand. Un titolo solido e ricco, che non rivoluziona nulla però e che quindi continuerà a non piacere a tutti coloro che lo hanno odiato fino ad oggi.

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